Domenica sera a Torino una dodicenne, anoressica e solitaria, si è lanciata dal balcone di casa dopo aver discusso con la madre perché non voleva mangiare. Un gesto estremo, irrimediabile. Un volo di tre piani. La ragazzina è morta pochi minuti dopo. Un dolore senza misura. I sensi di colpa. Le domande che tolgono il sonno e il respiro. L’angoscia che contagia altri genitori. Una città ammutolita.
I genitori devono chiedere aiuto anche per se stessi
“Un caso dolorosissimo” è il commento di Augusto Consoli, neuropsichiatra infantile e direttore del Dipartimento di prevenzione e cura delle dipendenze dell’Asl Torino due ” e non semplice da comprendere e provare a spiegare. Il suicidio di ragazzini piccoli è ancora più complesso che tra gli adolescenti. C’è un mix di cause, che vanno oltre il disturbo alimentare, sintomo di una sofferenza più profonda. I preadolescenti non hanno la piena consapevolezza delle proprie azioni, sono più suggestionabili, tendono all’imitazione e all’emulazione”.
Mamma e papà della giovanissima suicida, lei insegnante e lui medico, seguivano la figlia, si erano rivolti a specialisti, mesi fa avevano accettato che venisse ricoverata a lungo in ospedale ed erano essi stessi in terapia. “Adesso, dopo aver fatto il possibile e anche l’impossibile, si sentiranno in colpa, sgomenti. Ma in situazioni simili – sottolinea Consoli – c’è sempre un margine di imprevedibilità, indipendente dalla volontà, dai comportamenti e dalle parole degli adulti. Le madri e i padri di ragazzine con problemi simili non devono essere lasciati soli”.
L’età dei primi disturbi è sempre più bassa
I genitori, di fronte a figli che manifestano difficoltà e disagi, secondo l’esperto tendono infatti a “chiedere aiuto e consigli per i loro ragazzi ma non per sé, pur avendone bisogno in prima persona per affrontare situazioni complicate e pesanti”. La psicologa Maria Rosa Bovero, esperta del Servizio Asl di patologia delle dipendenze, anche lei torinese, concorda. E aggiunge, parlando di anoressia e bulimia: “Si è abbassata l’età in cui si manifestano i disturbi alimentari. Una volta i pazienti di dieci-dodici anni erano una eccezione, adesso non sono così rari. Oggi la prevenzione comincia dalle scuole medie”.
Le “resistenze” dei genitori
Ma è molto più difficile raggiungere i genitori e renderli consapevoli. “Mamme e papà faticano a cogliere i disagi nei figli, in parte perché è doloroso riconoscere la sofferenza nei piccoli, in parte perché pensano che la giovane età sia garanzia di spensieratezza” spiega la psicologa. “I preadolescenti e gli adolescenti, le ragazze in particolare, possono sentirsi inadeguati e la pesantezza del corpo diventa pesantezza dell’esistere. Ecco, allora, che smettono di mangiare per scomparire. O per adeguarsi a modelli considerati vincenti, esempi cui avvicinarsi per sentirsi accettati, non derisi, inclusi”.
Come captare i primi sintomi
Che fare per captare i segnali-spia ed evitare conseguenze estreme? “Non bisogna negare i problemi” risponde Consoli. “La miglior prevenzione – aggiunge la dottoressa Bovero – è coltivare una relazione autentica. Spesso, poi, si tende a sottovalutare i segnali di disagio, che non sono solo quelli turbolenti, ma possono corrispondere a un eccesso di silenzio o di isolamento. Occorre essere curiosi e attenti e accantonare i propri pregiudizi, perché aiuta a capire i figli e a conoscerli meglio. I genitori che non ascoltano spesso sono stati bambini non ascoltati a loro volta”.
Non rubiamo il futuro ai nostri ragazzi
I giovani e giovanissimi di oggi faticano ancora di più che in passato a trovare un proprio ruolo nel mondo. “Per questo la fiducia nelle loro capacità e in un futuro migliore è importante per far loro acquistare sicurezza” conclude l’esperta. “Abbiamo il compito di farli crescere in un mondo che dev’essere possibile anche per loro, anziché tarpare di continuo le ali prospettando panorami pessimistici, dove non c’è lavoro né futuro”.