L’ultimo caso è quello di Gabriella, morta al Cardarelli di Napoli dopo un aborto volontario. E poi ci sono Giovanna a Brescia, Anna a Verona, Angela a Torino, Marta a Bassano del Grappa (Vi). Vorremmo non aver letto i titoli dei giornali che raccontano la loro tragica fine: 4 donne che, nell’ultima settimana del 2015, sono morte dando alla luce i propri figli. Gli ispettori inviati dal ministero della Salute avrebbero escluso responsabilità degli ospedali. Nel frattempo, però, crea sconcerto anche il caso del bambino nato senza gambe a Parma: i genitori promettono denunce perché nessun esame medico, in gravidanza, aveva evidenziato la malformazione.
I problemi non travolgono solo i reparti di ginecologia. Una 77enne milanese è deceduta a poche ore dalle dimissioni dal pronto soccorso dell’ospedale Sacco di Milano. Sempre nel capoluogo lombardo, all’Istituto clinico Città Studi, un paziente è morto dopo una notte di calvario perché in reparto non c’era un medico. Una sorte altrettanto triste è toccata a un 41enne della provincia di Napoli, dopo 2 ricoveri e un “pellegrinaggio” alla ricerca di una Tac funzionante. È inevitabile chiedersi cosa stia succedendo al nostro sistema sanitario, mentre fanno discutere i tagli decisi dall’ultima legge di Stabilità. Abbiamo indagato per capirne di più.
DIMINUISCONO I POSTI LETTO E I MEDICI IN CORSIA «Non esiste un nesso diretto di causa-effetto tra le recenti tragedie e la stretta sui finanziamenti» spiega Tonino Aceti, coordinatore del Tribunale per i diritti del malato. «Però vicende del genere sono la spia di un sistema che perde colpi. Le ultime 2 leggi di Stabilità hanno stanziato 7 miliardi in meno nel biennio 2015-2016 rispetto a quanto era previsto dal Patto per la Salute (l’accordo tra governo e Regioni sulla spesa sanitaria, ndr): significa meno servizi e minore qualità nelle strutture. Non a caso, il 58% delle segnalazioni che riceviamo riguarda le lunghissime liste d’attesa. E aumentano le persone che ci raccontano di ospedali che non possono ricoverarle per mancanza di posti letto, personale o macchinari».
La sanità, che era il nostro fiore all’occhiello, rischia quindi di trasformarsi in una pianta dai rami secchi? «Non c’è dubbio che stia attraversando un momento critico» nota Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe, organizzazione che si occupa di ricerca e formazione in ambito sanitario. «La principale conseguenza dei tagli è il blocco delle assunzioni. E la situazione oggi è amplificata dalla direttiva europea sui turni di riposo». La norma prevede 48 ore di lavoro alla settimana, con turni di 13 ore al massimo. Questo in teoria dovrebbe far diminuire il rischio di errori medici. «In pratica però lo fa aumentare» osserva Cartabellotta. «Perché se gli staff sono ridotti all’osso, quando tutti rispettano l’orario di lavoro c’è troppo poco personale. E quindi in corsia si lavora in affanno».
LE STRUTTURE DIVENTANO POCO SICURE Sulla carta vantiamo grandi eccellenze. Lo sottolinea la classifica mondiale sull’efficienza dei sistemi sanitari stilata dalla multinazionale dei mass media Bloomberg, che vede l’Italia al secondo posto dietro Hong Kong e prima tra i Paesi europei. «Questi dati potrebbero diventare presto un ricordo» obietta Domenico Montemurro, coordinatore Giovani dell’Associazione medici e dirigenti. «I pronto soccorso, i reparti di cardiologia e rianimazione sono quelli più in sofferenza. Non solo. Prendiamo i punti nascita, le strutture con un’équipe sempre a disposizione per i parti. Dal 2010 dovevano essere chiusi quelli dove non si arriva a 500 nascite all’anno, perché meno sicuri. Ma tantissimi sono ancora aperti e sono troppi quelli senza anestesisti 24 ore su 24. E il malessere è diffuso, come si nota in un’indagine che abbiamo appena svolto: il 70% dei camici bianchi intervistati si è detto pessimista, il 40% ha ammesso che è stato costretto a dimettere un paziente per problemi organizzativi».
Il vero tallone d’Achille, anche tra i paramedici, sembra proprio la carenza di organico. «Le assunzioni sono bloccate da anni e il personale invecchia» denuncia Ferdinando Iacuaniello, infermiere a Rimini e direttore di Nurse24.it, quotidiano sanitario online. «Facciamo un esempio: un’ostetrica over 60 vanta parecchia esperienza, ma avrà abbastanza forze per garantire al massimo la sicurezza nei turni più lunghi? Nel sistema sanitario italiano emergono le disuguaglianze, non solo tra Regioni, ma anche tra Comuni: quelli che hanno un budget risicato tagliano su prestazioni e assistenza. Qualche giorno fa, a Napoli, un gruppo di infermieri dell’ospedale San Paolo ha chiamato la polizia per denunciare la mancanza di colleghi».
AUMENTANO GLI ESAMI A PAGAMENTO Gli addetti ai lavori non usano mezzi termini: il 2016 sarà l’anno della verità per il nostro sistema sanitario. «I conti vanno guardati con occhio critico. Bisogna avere il coraggio di dire che la legge di Stabilità di fatto sottrae altri 4 miliardi di budget alle strutture ospedaliere e alla salute dei cittadini, togliendoli alle Regioni. Perché più del 70% del bilancio di questi enti viene destinato proprio alla sanità» aggiunge Vittorio Agnoletto, medico e docente di Globalizzazione e politiche della salute all’università degli Studi di Milano. «La mancanza di investimenti incide sul quotidiano, sulla qualità della vita delle persone. Senza i tagli, per esempio, tutti i malati di epatite C avrebbero potuto avere i nuovi farmaci, per ora destinati a meno della metà dei pazienti. Oggi, quindi, si stanno creando 2 sistemi sanitari paralleli: quello pubblico, in caduta libera, e quello privato, destinato a chi può permetterselo».
Aggiunge Nino Cartabellotta della Fondazione Gimbe: «La riorganizzazione degli ospedali è fondamentale. Per esempio, bisogna spostare negli ambulatori attività come la cura dei malati terminali, e chiudere o riconvertire le strutture più piccole, come quelle di chirurgia oncologica per il tumore della mammella che fanno meno di 150 interventi all’anno. A settembre il ministero della Salute ha stilato la famosa lista degli oltre 200 esami considerati “inutili” (tra cui la risonanza magnetica alla colonna vertebrale, i test allergici e l’esame per individuare il colesterolo, che il cittadino dovrà pagare, ndr). Ebbene, sono passati più di 3 mesi e l’elenco deve essere ancora approvato dalla Conferenza Stato-Regioni». Non è ancora chiaro quali di questi accertamenti saranno a carico del paziente. E soprattutto che conseguenze avrà questa rivoluzione sulla nostra salute.