Il taglio dei parlamentari, dai 915 attuali tra Camera e Senato a 600, è una riforma fortemente voluta dal Movimento 5 Stelle sostenuto dal Partito Democratico. Sarà effettivo con il primo scioglimento delle Camere e le nuove elezioni.
La sforbiciata alle poltrone è molto discussa, tra chi ritiene rappresenti un significativo taglio di spesa e chi, invece, la considera solo un’operazione di facciata, per di più dannosa rispetto ai meccanismi legislativi del nostro Paese. Vediamo, nel dettaglio, di cosa si tratta e i pro e i contro della riforma.
Dalla legge al referendum
La Camera ha approvato la riforma con 553 voti a favore, 14 contrari e due astenuti alla quarta lettura del disegno di legge costituzionale che taglia il numero dei parlamentari. Trattandosi di una possibile modifica alla Costituzione, una legge come questa ha avuto un iter “rafforzato” e ha dovuto superare, appunto, due passaggi al Senato e due alla Camera. È uscita indenne da questo quadruplo esame e ora richiede un referendum confermativo, una chiamata alle urne per lasciare l’ultima parola ai cittadini con un voto secco: sì o no. Chi vota sì è a favore del taglio dei parlamentari, chi vota no è contrario al taglio. Il referendum si terrà il 20 e 21 settembre.
Il quesito del referendum
Sulla scheda elettorale verrà proposto il seguente quesito: «Approvate il testo della legge costituzionale concernente “Modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari”, approvato dal Parlamento e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 240 del 12 ottobre 2019?”.
Si tratta di un referendum confermativo, regolato dall’articolo 138 della Costituzione: per passare non deve raggiungere nessun quorum, quindi l’astensione e la scheda bianca non pesano. In pratica, se i “sì” superano i “no”, il taglio dei parlamentari verrà confermato. Se invece la maggioranza dei cittadini votanti dovessero esprimere un voto contrario alla riforma, la legge approvata dal parlamento non sarà valida e si rimarrà a 630 deputati e 315 senatori.
A quanto ammonta il taglio
Se la legge non venisse approvata dal voto popolare, alle prossime elezioni dovremmo eleggere non 600 deputati e 315 senatori, ma solo 400 deputati e 200 senatori – con non più di 5 nominati a vita. Cosa significa in termini di rappresentanza, cioè di numero di cittadini rappresentati da un singolo eletto? Scenderemmo dall’attuale 1/64 mila a 1/101 mila. Un parlamentare eletto ogni 101 mila cittadini (il calcolo è fatto sulla base dei 60,4 milioni di italiani stimati da Eurostat, 2018). Ci collocheremmo comunque ancora meglio (o peggio, dipende dal punto di vista) di Germania, Francia, Olanda e Regno Unito, quasi tutti Paesi con rapporto di rappresentanza intorno a 1/115 mila.
Pro: si risparmia, ma quanto?
Chi difende il taglio delle poltrone punta tutto sul risparmio di stipendi e spese legate ai parlamentari tagliati. Il ministro Luigi Di Maio ha più volte sostenuto che il taglio garantirà un risparmio di circa 500 milioni di euro a legislatura, dunque 100 milioni l’anno circa.
L’Osservatorio sui conti pubblici italiani diretto dall’ex commissario alla spending review Carlo Cottarelli, ha fatto i conti: considerando gli stipendi in meno da pagare al netto e non al lordo (imposte e contributi sono pagati dai parlamentari allo Stato stesso, quindi “tornano indietro”), il risparmio annuo diventa di 37 milioni per la Camera e 20 milioni per il Senato, complessivamente 57 milioni all’anno e 285 milioni a legislatura. Ossia, lo 0,007% della spesa pubblica italiana. Altre stime, ottenute considerando le spese indicate nei bilanci delle due camere, parlano di 80 milioni l’anno circa. Ma siamo sempre nel campo degli “0,0 virgola”.
Contro: il processo legislativo
La più significativa critica alla riforma riguarda il tema del bicameralismo perfetto. Avremo ancora, nonostante il famigerato taglio, due camere con le stesse funzioni. E saremo l’unico Paese europeo in questa condizione. Altre strade non sono state battute – come l’abolizione di una camera o la trasformazione del Senato in una “stanza” di rappresentanza regionale con pochi membri. Si sarebbe tagliato comunque, migliorando intanto il processo di formazione e approvazione delle leggi.
C’è poi il tema della rappresentanza dei singoli territori: per il doppio effetto della conformazione dei collegi elettorali, del taglio delle poltrone e del mix di maggioritario e proporzionale previsto dalla legge elettorale, alcune aree potrebbero sentirsi penalizzate più di altre. Nelle regioni più piccole potrebbero essere avvantaggiati i partiti più grandi e più in difficoltà a farsi eleggere quelli più piccoli.
Le prossime riforme
I partiti di maggioranza lo sanno bene, e nell’iter delle riforme da discutere nei prossimi mesi e collegate al taglio ci sono proprio questi correttivi: voto ai 18enni anche per il Senato, modifiche alla platea che elegge il Presidente della Repubblica, nuova legge elettorale e ridisegno dei collegi.