Di Maio: “Tempo pieno in tutte le scuole primarie”

“D’ora in poi in tutte le scuole elementari italiane ci sarà il tempo pieno”. Lo ha annunciato qualche giorno fa, con una dichiarazione su Facebook, il vicepremier grillino Luigi di Maio. “I bambini – ha spiegato  – potranno stare più tempo a scuola, avere un percorso di istruzione più lungo e approfondire ancora di più le materie”.  E ci saranno ricadute positive sull’occupazione, oltre che per le famiglie e i giovanissimi studenti.

Possibile? Un obiettivo epocale di questa portata, sintetizzato in un video postato su un social? Oppure una boutade, un’uscita da libro dei sogni, i conti fatti senza l’oste?  Al momento, restando coi piedi per terra, c’è “solo” un emendamento alla legge di bilancio presentato da 14 deputati pentastellati, approvato dalla commissione Cultura, ancora da sottoporre agli altri filtri della macchina legislativa.

Il passaggio aggiunto al provvedimento in lavorazione, in coda all’articolo 52, prevede di alzare i limiti di spesa fissati dalla “Buona scuola” per introdurre 2 mila nuovi posti di lavoro nelle elementari. E la palla – o la patata bollente, questione di punti di vista – viene passata al Miur. Il ministero dell’Istruzione sarà chiamato a stabilire per decreto “le modalità per la graduale generalizzazione del tempo pieno nella scuola primaria”, entro 60 giorni dall’entrata in vigore delle nuove norme, sempre che siano confermate nelle prossime tappe dell’iter legislativo e arrivino infine in porto.

Ora l’offerta è in un terzo delle elementari

Qualche dato, per inquadrare la situazione di partenza. I bimbi che frequentano le elementari in istituti pubblici e paritari sono circa 2 milioni e 700 mila (fonte Miur e sindacati, dati arrotondati sulla base delle rilevazioni dell’anno scolastico 2016/2017). Il 34,8 per cento di loro fa il tempo pieno, il 65,2 ha l’orario mattutino.

Le percentuali cambiano, e parecchio, spostandosi da nord a sud e dalle scuole delle grandi città a quelle dei comuni di provincia e dei piccoli paesi. Le classi di elementare sono quasi 130.500: il 33,6 per cento offre il tempo pieno (40 ore di lezione alla settimana), le altre propongono l’orario “normale” (con tre opzioni: 24, 27 e 30 ore alla settimana).

Con 2 mila insegnanti in più – lo dicono queste cifre e lo rimarcano gli addetti ai lavori – si potrà estendere il tempo pieno a un numero limitato di plessi. E resta da capire dove e come si troveranno le risorse per assumere anche personale Ata (personale non docente), per adeguare gli edifici sprovvisti di spazi per la mensa e attività extra e per far garantire i servizi accessori (pasti e trasporti) senza esborsi eccessivi per le famiglie.

La Sicilia fanalino di coda

Dalla Sicilia arriva la voce critica di Graziamaria Pistorino, segretaria generale regionale della Federazione lavoratori della conoscenza della Cgil. “Quella per il tempo pieno è una battaglia che stiamo combattendo da anni. Da noi le scuole a tempo pieno sono il 7,8 per cento, un tasso che oltretutto è in discesa, contro il quasi 50 per cento di Lombardia ed Emilia Romagna e molto al di sotto della media nazionale, pari a un terzo. È come se perdessimo 2 anni di scuola su 5, raffrontando le ore di presenza nelle nostre classi rispetto a quelle di altri territori”.

Poca offerta, poca domanda? “Non è vero – risponde la sindacalista – che al sud ci sono poche scuole con il tempo pieno perché le mamme disoccupate o casalinghe preferiscono tenere i figli con loro. Lo sostiene chi deve giustificare inerzie e mancanze. Il tempo pieno, le donne lo sanno, non è un optional, un parcheggio o un servizio di baby sitting. È un modello didattico operativo avanzato, uno dei migliori esistenti”.

“Classi full time insufficienti, soprattutto al sud”

“La verità – sempre a parere di Pistorino –  è che è insufficiente l’offerta. Ad Agrigento, ad esempio, non c’è alcuna scuola a tempo pieno, ma non perché tutte le mamme siano disoccupate. Le mense e i servizi di trasporto, necessari per garantire la permanenza pomeridiana a scuola e gli spostamenti, non sono a carico dello Stato, ma dei comuni. Dove le amministrazioni locali non hanno soldi da stanziare, o non li investono su questo fronte, per le famiglie i costi da sostenere diventano elevati, se non insostenibili. Non basta, dunque, un emendamento. Avere ovunque il tempo pieno sarebbe straordinario, ci metterei subito la firma. Ma è un obiettivo utopistico se non ci sono le risorse umane, strutturali e finanziarie necessarie. E non ci sono. Non è così semplice come Di Maio dice. Non si possono fare le nozze con i fichi secchi”, va giù dura la sindacalista.

E, ancora: “Ricerche scientifiche dimostrano che più alta è l’offerta di tempo pieno, più si innalzano l’occupazione, l’imprenditoria e la progettualità femminile. Attorno ai tempi scolastici si potrebbero costruire, come avviene nei paesi scandinavi, i tempi del lavoro, della vita in famiglia, della società: le scuole hanno gli stessi orari degli uffici”.

Che fare, allora? “Fissiamo delle priorità, obiettivi raggiungibili, realistici. Andiamo oltre le sperimentazioni minime, come quella che ci sarà in Sicilia a breve: una scuola a tempo pieno per provincia. Servono investimenti per il personale di tutti i livelli, per la realizzazione di spazi per le mense, per mettere in sicurezza e adeguare gli edifici scolastici. Non tutta l’Italia ha le stesse problematiche ed esigenze. Bisognerebbe cominciare dalle regioni, la nostra in testa, nelle quali l’offerta di tempo pieno è bassissima e il tasso di dispersione scolastica è elevato”.

“Servono docenti e collaboratori in più”

La Cisl risponde all’annuncio di Di Maio con un comunicato stampa: “Ragionare sul tempo scuola è fondamentale, ma non lo si può fare per battute a effetto, disancorate dalla realtà dei fatti. A spanne, per portare al tempo pieno le classi che oggi non lo adottano, servirebbero almeno 43mila insegnanti in più (140mila secondo la Cgil). E si dovrebbe considerare pure il fabbisogno aggiuntivo di collaboratori scolastici – il cui organico, già oggi insufficiente, è fermo da anni – in modo da assicurare assistenza e vigilanza per un arco di tempo maggiore. Ben vengano i 2mila insegnanti promessi dal Governo, ce ne sarebbe necessità già adesso, magari per decongestionare tante classi sovraffollate. Ma non si voglia far credere che siano sufficienti per dare a tutti il tempo pieno. Sarebbe una battuta totalmente priva di credibilità”.

“Ben venga una maggiore offerta formativa”

Mario Perrini, presidente della sezione piemontese di Anp, l’associazione nazionale dei presidi e dei dirigenti scolastici, sottolinea: “Ogni qualvolta si prospetta un ampliamento dell’offerta formativa, si va incontro alle esigenze di famiglie, bambini e ragazzi. Il progetto di estendere il tempo pieno è positivo. L’emendamento, sempre che alla fine si traduca in legge, è un primo passo, un’occasione per tornare a discutere di tematiche che interessano milioni di persone. Prendiamolo come l’inizio di un percorso e di un impegno. Duemila docenti in più non saranno sufficienti – concorda con altri commentatori – per coprire l’intero fabbisogno, molto alto, e colmare le disparità. Dare giudizi anticipati, però, è prematuro. Staremo a vedere”.

“Scelte calate dall’alto e rischio omologazione”

Il portale Orizzontescuola.it raccoglie e rilancia l’opinione di un insegnante liceale della provincia di Milano: “Il vicepremier Di Maio – scrive il prof in una lettera –  annuncia che alle elementari il tempo pieno diventerà obbligatorio e in questo modo si smantellerà un altro pezzo della Buona scuola. Nella realtà l’operazione è in perfetta continuità con quanto ha fatto Renzi, cioè usare la scuola come serbatoio di occupazione. Di Maio come Renzi sta operando in modo alquanto discutibile per due ragioni. La prima è che non si va a vedere la domanda delle famiglie, ma dall’alto si decide di fare il tempo pieno, ci sia o non ci sia bisogno, questo non interessa, il che è grave perché la scuola dovrebbe rispondere ad una domanda e non essere organizzata a tavolino. La seconda ragione per cui questo provvedimento lascia perplessi e preoccupati – prosegue –  è che quella che si sta disegnando è una scuola sempre più statale, di nuovo in perfetta coerenza con la Buona scuola. È lo Stato che decide come deve essere la scuola, con la possibilità di percorsi diversi ormai ridotta a zero. Una scuola così è quella che aveva profetizzato Pasolini, è una scuola che occupa tutto il tempo degli studenti per meglio omologarli. Manca sempre più l’educazione, con questo superpotere dello Stato che tutto decide e tutto pianifica”.

Leggi anche: Settimana corta alle superiori, pro e contro