Il Nordest, nella sua zona prealpina, ma anche la fascia di montagne che corre dall’Appennino Meridionale in giù, fino ad arrivare all’Arco Calabro e parte della Sicilia. Sono le zone più sismiche d’Italia, secondo la ‘Mappa di pericolosità nazionale’ che è stata emessa nel 2004 (e che sta per essere aggiornata, anche se non cambierà di molto).
«È una carta che mette insieme diversi dati: informazioni storiche del passato, la presenza di faglie (cioè di fratture rocciose profonde) e le conoscenze su come si è propagato il terremoto nelle aree circostanti. Questi tre elementi ci restituiscono il rischio preciso che una certa area possa essere soggetta a fenomeni sismici» ci spiega Laura Peruzza, dell’Istituto Nazionale di Oceanografia e Geofisica Sperimentale di Trieste.
La mappa di pericolosità sismica
Come si può vedere, sulla Mappa (scaricabile qui), abbiamo diversi colori. «Andando oltre i tecnicismi di che cosa quegli indici vogliano dire, le zone con i colori più caldi sono quelle in cui si attendono terremoti più forti e più frequenti, cioè dove lo scuotimento del terreno può essere più intenso», aggiunge Dario Slejko, sismologo dello stesso Istituto di ricerca. «Quei numerini invece sono importantissimi nel momento in cui bisogna costruire delle abitazioni. Quando si progetta e si costruisce una casa, la struttura e i materiali devono rispettare i criteri di sismicità del luogo. Ingegneri e geometri utilizzano quegli indici per realizzare strutture sufficientemente robuste per resistere a un possibile terremoto».
Perché a Nord-est il rischio è alto?
Tutto il settore orientale dell’arco alpino è una zona di contatto con le Alpi Dinariche (che si estendono lungo i Balcani). La sismicità è dovuta a due placche della crosta terrestre che si urtano. «Abbiamo uno spinta generata dalla microplacca adriatica che, con una rotazione antioraria, urta contro la placca europea. Parte della cerniera fra questi due sistemi viene a trovarsi proprio nella zona pedemontana alpina del Friuli Venezia Giulia: dalla zona del Cansiglio a Gemona del Friuli (Udine), per proseguire, oltre confine, fino a Bovec, in Slovenia. Lì infatti si sono manifestati grandi terremoti in passato, per esempio quello del 1348 ricordato come terremoto di Villach oppure quello del 1511 che colpì sia Gemona che Idrija, in Slovenia, e poi il terremoto del 1976 di nuovo in Friuli», chiarisce Dario Slejko.
Perché la fascia dell’Appennino meridionale?
«Di mezzo c’è sempre la microplacca adriatica – ci spiega il ricercatore triestino -. Che spinge verso Est, verso i Balcani, si allarga sull’Appenino e spinge poi a Nord. Proprio l’Appennino sorge lungo il dorso occidentale di questa microplacca adriatica». «E lungo l’Appennino centrale – aggiunge Laura Peruzza -, abbiamo anche una mappatura abbastanza dettagliata di quali sono i blocchi di roccia che si vanno a mettere in movimento».
Dal punto di vista storico, lungo questa area di particolare esposizione sismica si sono già avuti terremoti soprattutto in epoca medioevale. «Ricordiamo, poi quello avvenuto al Golfo di Sant’Eufemia, in Calabria, e quello di Messina, mentre la Sicilia è nota per il terremoto di Catania» dice Slejko.