Non solo si può fare, ma il mix vaccinale o “eterologa” è più efficace. A dimostrarlo è il risultato di uno studio, pubblicato sulla rivista scientifica Nature, che ha preso in esame proprio la risposta immunitaria dopo la somministrazione di due dosi di vaccini di tipo differente. La ricerca ha anche un’altra importante novità: «L’eterologa non solo è più efficace rispetto a una doppia dose di AstraZeneca, come già pensavamo, ma lo è anche rispetto a due dosi di vaccino a mRna, come Pfizer o Moderna» spiega il professor Giuseppe Remuzzi, Direttore dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri IRCCS. Conferme all’efficacia dell’eterologa arrivano anche da altre ricerche, condotte in vari Paesi del mondo, che hanno dimostrato che il cosiddetto “mix and match” aumenta la protezione nei confronti della malattia Covid.

Questo risulta ancora più importante oggi, visto che si va verso la terza dose per tutti e la seconda per chi ha ricevuto il vaccino Johnson&Johnson (prodotto da Janssen come monodose) e per il quale, invece, si va verso un richiamo con siero differente. Anche la Food and Drug Administration, l’ente del farmaco americano, ha appena autorizzato la somministrazione eterologa per tutte le persone di età superiore ai 18 anni inizialmente immunizzate con J&J e per alcune categorie a rischio, come anziani, fragili, immunodepressi, ecc.

Eterologa sicura e più efficace contro le varianti

Lo studio appena pubblicato su Nature è chiaro: «I dati che avevamo disponibili fino a oggi indicavano che la vaccinazione eterologa (quindi prima dose di vaccino adenovirale di AstraZeneca seguita da vaccino a mRNA di Pfizer) era più efficace della vaccinazione con due dosi del solo vaccino adenovirale di AstraZeneca. Il nuovo lavoro aggiunge un tassello importante: dimostra che la vaccinazione eterologa è in grado di indurre dei livelli di anticorpi che, quantitativamente, sono simili a quelli indotti dalla vaccinazione con doppia dose di vaccino ad mRNA» spiega Remuzzi. Questo significa che anche il mix vaccinale offre una copertura adeguata nei confronti del Covid.
Ma non solo: emerge che gli anticorpi da vaccinazione eterologa «sono maggiormente in grado di bloccare l’infezione contro le diverse varianti di SARS-CoV-2 rispetto agli anticorpi generati dalla vaccinazione con due dosi di Pfizer» aggiunge l’esperto, confermando quindi che cambiare siero per la seconda dose sarebbe anche meglio.

Perché l’eterologa protegge di più

«Per capire la ragione di questo dato, i ricercatori hanno studiato le cellule del sistema immunitario che si occupano di produrre gli anticorpi, ovvero le cellule B. Hanno visto che la vaccinazione eterologa è in grado di indurre una migliore risposta delle cellule B della memoria (quelle “di lungo periodo”, in grado di produrre anticorpi nel caso in cui si torni in contatto con il virus, NdR), portando alla produzione di anticorpi più efficaci» spiega Remuzzi. Ma perché? Come mostra uno studio pubblicato su Science, il mix vaccinale fornirebbe al sistema immunitario più “strumenti” per riconoscere il virus: i vaccini a mRNA, come Pfizer e Moderna, finora sono risultati particolarmente efficaci nel generare risposte immunitarie sotto forma di anticorpi, mentre quelli a vettore virale, come AstraZeneca e J&J, aumenterebbero l’azione delle cellule T, anch’esse parte del sistema immunitario. Il loro mix, dunque, garantirebbe una maggiore copertura contro l’infezione.

Ci sono, poi, altre ipotesi per spiegare il motivo della maggiore protezione da vaccinazione eterologa: «Per esempio, quando si usa un vettore adenovirale il nostro sistema immunitario genera anticorpi contro il vettore stesso. Iniettando nuovamente lo stesso vettore virale per la seconda dose, però, gli anticorpi generati dopo la prima dose bloccano il vettore, ma limitano l’efficacia della vaccinazione. Un altro possibile motivo è che, quando si cambia tipo di vaccino, ci si immunizza con delle versioni della proteina spike leggermente diverse tra di loro. Questo sembrerebbe aumentare la capacità delle cellule B di generare anticorpi neutralizzanti verso proteine spike leggermente diverse. Considerando che le mutazioni della proteina spike sono alla base della formazione di nuove varianti di SARS-CoV-2, questa aumentata capacità delle cellule B di riconoscere diverse versioni della proteina spike, garantirebbe una maggior risposta immunitaria contro possibili nuove varianti – spiega l’esperto – In ultimo non è da escludere la possibilità che influisca anche il tempo di somministrazione tra le dosi eterologhe. Solitamente, infatti, la dose eterologa con vaccino a mRNA viene fatta a tempi più lunghi (12 settimane) rispetto alla somministrazione omologa in cui la seconda dose viene data dopo 3/4 settimane. Un tempo più lungo tra prima e seconda dose potrebbe favorire un miglioramento della risposta immunitaria».

Vaccinazione eterologa anche per Johnson&Jhonson (Janssen)

Naturalmente anche per chi ha ricevuto il monodose J&J si rende necessario un richiamo, necessariamente con vaccino a mRNA: «Chi ha ricevuto il vaccino monodose di J&J presenta un’efficacia che già si era vista essere minore negli studi clinici di Fase III. Ricevere una dose di Jhonson&Jhonson equivale a ricevere una sola dose di vaccino AstraZeneca. Per questa ragione un’ulteriore dose di richiamo è particolarmente importante per questi soggetti. Di conseguenza, nel nostro paese, anche chi ha ricevuto il monodose di Janssen riceverà un vaccino a mRNA a partire da sei mesi dalla dose iniziale – conferma il Direttore dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri IRCCS – Per quanto riguarda l’efficacia della risposta immunitaria eterologa in vaccinati J&J che ricevono un richiamo ad mRNA, i dati disponibili sono ancora pochi. Uno studio americano ancora in pre-print, cioè non ufficialmente pubblicato, ha esaminato 458 soggetti in cui venivano confrontate diverse combinazioni di vaccini e si è visto che il richiamo con eterologa dava una risposta anticorpale molto più forte e più neutralizzante rispetto a una dose aggiuntiva dello stesso vaccino J&J. Addirittura nel primo caso i titoli anticorpali (la quantità, NdR) era tra le 6 e le 76 volte, mentre in caso di omologa, con lo stesso tipo di vaccino, i titoli degli anticorpi neutralizzanti aumentavano solo tra le 4 e le 20 volte».

Terza dose tutti: perché?

Dopo i primi richiami per i soggetti a rischio e i sanitari, ora la strada verso la terza dose per tutti è stata confermata anche dalle autorità sanitarie: «Quello che abbiamo visto è che c’è una tendenza alla diminuzione degli anticorpi dopo sei mesi dalla seconda dose, che si associa a una ridotta efficacia del vaccino nel prevenire le infezioni nei vaccinati. Sembrerebbe però che la protezione contro le forme gravi di malattia, l’ospedalizzazione e la morte siano elevate anche dopo i sei mesi. Questo significa che, oltre agli anticorpi, ci sono anche altre componenti del nostro sistema immunitario, come ad esempio le cellule T, che garantiscano una protezione profonda contro gli esiti più nefasti dell’infezione. Se vogliamo limitare la diffusione del contagio, una terza dose per tutti è forse la soluzione più logica ed immediata» conferma Remuzzi.

Quanto a possibili ulteriori richiami, il professore chiarisce: «Il SARS-CoV-2 fortunatamente non muta velocemente come i virus dell’influenza per cui, per il futuro, è difficile fare delle previsioni sulla possibilità di richiami vaccinali a scadenza annuale. La speranza è che la terza dose ci dia una protezione sufficiente per ottenere un’immunità a lungo termine e che quindi eventuali future dosi vengano riservate a persone estremamente fragili o con un sistema immunitario compromesso. Altra incognita sono le varianti, non è da escludere che qualora emergesse una variante particolarmente aggressiva e resistente ai vaccini, si debba ricorrere a una versione “aggiornata” del vaccino attuale che, ricordiamo, è stato disegnato a febbraio 2020 sulla sequenza della proteina spike del SARS-CoV-2 isolato a Wuhan».