Seconda mamma, matriosca, terzo genitore. Oppure Mamala, neologismo con cui i figliastri chiamano Kamala Harris, da 7 anni felice moglie di un uomo separato, prima vicepresidente donna degli Stati Uniti e prima “step mother” alla Casa Bianca. Kamala è portabandiera di un piccolo esercito di donne che, anche in Italia, quotidiamente si prendono cura dei figli dei loro compagni o mariti.
«Nel nostro Paese le famiglie ricostituite rappresentano un arcipelago variegato e i numeri sono in continuo aggiornamento» dice Alessandro Rosina, demografo della facoltà di Economia all’università Cattolica di Milano. «Il dato Istat più certo è quello delle famiglie ricostruite conviventi: negli ultimi 20 anni sono passate da 196.000 a 512.000». Difficile dire quante siano le seconde mamme, più facile immaginare, tra nuove definizioni e vecchie dinamiche familiari da disinnescare, che abbiano una vita da equilibriste. Come testimoniano le storie che abbiamo raccolto qui.
«Da piccolo Leonardo mi chiamava “la mia grande amica”: aveva 3 anni, siamo cresciuti insieme. Sua mamma ha voluto subito bere un caffè con me».
Lucia Bosi, 48 anni, coach di Roma e blogger di “Vita da matrigne”. È sposata con Fabrizio, che ha un figlio 20enne.
«Quante corse in auto per recuperare libri o vestiti a casa della madre. E quanti weekend contingentati! Ho conosciuto il figlio di mio marito quando avevo 31 anni. Lui ne aveva 3, ora ne ha 20. Siamo praticamente cresciuti insieme, da piccolo mi chiamava la sua “grande amica”, e col tempo sono diventata la sua confidente. Al primo incontro ero terrorizzata e contenta insieme. All’inizio Leonardo, per assurdo, cercava più me che il padre, per il fatto che così piccolo aveva bisogno di una figura femminile di riferimento, anche se la mamma è sempre stata presente. Anzi, prima che conoscessi suo figlio mi chiese di vederci per un caffè, cosa che apprezzai. Da parte sua trovai un po’ di curiosità e quasi nessuna diffidenza. Forse perché con il mio futuro marito si erano lasciati prima che ci mettessimo insieme noi. “Io non sono mamma, ma farò il meglio che posso per collaborare alla crescita di Leonardo” le dissi, abituata a mettermi nei panni degli altri anche per lavoro. Quando però siamo andati a convivere ho chiesto aiuto a uno psicologo: davanti al bambino avevo timore anche di abbracciare il mio compagno. La presenza di Leonardo mi ha insegnato un altro modo di vivere la maternità. Avrei voluto un figlio “nostro”, ma quando ci siamo decisi a provarci ero già avanti con l’età e non è venuto. Parentesi chiusa, evidentemente doveva andare così. In questi 17 anni con Leonardo abbiamo costruito un rapporto così stretto ed equilibrato che qualche mese fa si è sentito libero di chiederci di venire a vivere da noi. L’abbiamo accolto molto volentieri perché soprattutto con il lockdown abbiamo recuperato uno degli aspetti che più ci sono mancati: la quotidianità, discussioni comprese».
«All’inizio suo figlio non mi cedeva il posto in macchina e abbassava le mie foto sulle mensole di casa. Oggi usciamo soli a cena».
Manuela Cascio, 43 anni, casalinga di Messina. Suo marito ha 2 figli: Alberto, 20 anni, e Giulia, 17.
«Quando ho incontrato per la prima volta i figli del mio futuro marito avevo 29 anni: la bimba, Giulia, ne aveva 3, Alberto 6. Avevamo organizzato una giornata al mare con altre famiglie di amici per diluire l’imbarazzo. Mi sentivo terribilmente sotto esame: “E se gli sto antipatica?”. Con la bambina, che mi si è attaccata fisicamente a una gamba, è scattata da subito complicità e affetto, mentre il fratello mi guardava sospettoso da lontano. In parte è il suo carattere, ma di fatto mi vedeva come il terzo incomodo: i suoi genitori si erano separati da pochi mesi. Io e il suo papà ci siamo conosciuti sui campi di tiro con l’arco, dove faccio l’arbitro per passione: dopo il colpo di fulmine e 4 anni da fidanzati abbiamo deciso di andare a convivere, con i ragazzi a weekend alternati e una notte a settimana. Una gestione senza intoppi anche grazie alla mamma, sempre rispettosa di tempi e spazi. Sfatiamo uno stereotipo: la differenza tra figli maschi e femmine dipende dal carattere e forse dall’età. Nel nostro caso, lei si fa scivolare tutto addosso, lui soprattutto all’inizio mostrava il suo disappunto. Per esempio a casa, in mia assenza, abbassava a faccia in giù le foto che mi ritraevano oppure in auto non mi cedeva il posto accanto al guidatore. Lo abbiamo lasciato fare fino a quando a 12 anni l’ho preso da parte dicendogli senza tanti preamboli: “Ora sei grande, devi smetterla di fare drammi”. In quel confronto mi ha confessato che sognava che i suoi genitori tornassero insieme: io gli ho fatto capire che non avevo colpa, e che anche io mi ero trovata in questa situazione senza volerlo. È stata la svolta. Oggi capita anche di andare a mangiare fuori noi 2 soli, parliamo di università, studia Farmacia come il padre, e serie tv. Con i ragazzi la coerenza è stata ripagata. Il resto è pazienza a tonnellate. Quando 5 anni fa ci siamo sposati, Giulia e Alberto hanno voluto organizzare con noi il matrimonio. Non è con le parole che capisci “ce l’ho fatta”, ma con i gesti. Figli nostri non sono arrivati, ma non è stato un problema, io mi sentivo già completa così».
«Ci siamo incontrati in un pub: la sera stessa mi ha detto di avere 5 bambini. Certo, ogni tanto vorrei scappare… Ma alla fine ci siamo accolti a vicenda».
Eleonora Tabacchioni, 40 anni, grafica illustratrice di Brighton, in Inghilterra. Il suo compagno ha 5 figli, dai 6 ai 13 anni, dal precedente matrimonio.
«Lo ammetto: certe volte non vedo l’ora che i figli del mio compagno, 2 maschi e 3 femmine, tornino a casa dalla madre. Per esempio, quando uno mi chiede un bicchiere d’acqua mentre le gemelle mi marcano come terzini in concomitanza con il più grande che, a 13 anni, riproduce suoni di giochi elettronici no stop. Un caos tremendo. Ho saputo che erano in 5 fin dalla prima sera in cui ho conosciuto il mio compagno, al bancone di un pub: ero in Inghilterra da 4 anni per migliorare la lingua. A fine serata ci siamo scambiati i numeri di telefono, ho visto che sulla sua foto di WhatsApp era con un bambino e ho pensato “Meglio!”, perché sapevo già di non potere avere figli. “Veramente ne ho altri 4” ha poi ammesso. Al momento non mi sono preoccupata, anche perché avere 5 figli in Inghilterra non è incredibile come in Italia, lo Stato supporta economicamente le famiglie numerose e poi, chissà, magari non ci saremmo più rivisti. Invece la relazione è andata avanti. Mi aspettavo che la mamma dei suoi figli fosse una specie di super chioccia, una wonder woman, invece i bambini stanno con noi tutti i weekend e 5 giorni consecutivi al mese in cui il mio compagno è libero dal lavoro. La gestione familiare è un’impresa, soprattutto da quando, causa Covid, lavoro da casa. In orario d’ufficio ho dovuto chiedere ospitalità al vicino perché i ragazzi non prendono bene il fatto che stia chiusa in camera a lavorare. Ma a parte questo, mi ritengo fortunata: certo, il numero 5 spaventa, ma alla fine ci siamo accolti a vicenda. I problemi da risolvere sono soprattutto tra adulti, tra il papà e la sua ex, sposati per 12 anni ma non in ottimi rapporti. Io e lei a malapena ci conosciamo. Contavo su un rapporto amichevole anche perché – da figlia di divorziati – so cosa significa doversi mettere in relazione con un altro genitore. Con i miei 5 figli acquisiti sono entrata in punta di piedi, oggi un’ora, domani un’altra e il giorno dopo solo se chiedevano di me».