L’idea è nata dopo l’ennesimo caso di controllo in una scuola superiore veneta da parte dei carabinieri, che insieme a polizia di stato e polizia locale, effettuano controlli a campione negli istituti, anche con l’ausilio di cani antidroga. La scoperta è stata la conferma della presenza di sostanze stupefacenti all’interno della scuola: “Negli zaini i ragazzi ormai portano libri, quaderni, astuccio e canne. O anche altre sostanze. La situazione è fuori controllo, inquietante” dice a Donnamoderna.it Elena Donazzan, Assessore regionale all’Istruzione del Veneto. È stato proprio partendo da questa considerazione che Donazzan ha proposto test antidroga su tutta la popolazione studentesca delle superiori.
I test antidroga a scuola
Controlli su tutti gli studenti delle superiori, due volte all’anno, tramite le analisi delle urine. È a questo che pensa Donazzan, che spiega: “L’idea è nata solo pochi giorni fa, ma ho già dato mandato al settore sanità di valutare la fattibilità in termini di costi di questi test. Stiamo analizzando anche l’aspetto di privacy e autorizzazioni, dal momento che si tratta di minori, dunque ci sarà bisogno del via libera dei genitori”.
L’Assessore, però, insiste sulla necessità di un intervento: “I dati dell’Osservatorio sulle Dipendenze della Usl di Verona parlano chiaro: l’80% dei ragazzi ha ammesso di aver fatto uso di sostanze stupefacenti. Il vero problema è che le attività di prevenzione e sensibilizzazione per aumentare la consapevolezza dei rischi finora non hanno portato risultati, neppure quando sono stati chiamati a parlarne esperti delle Asl, dei servizi sociali o carabinieri e finanzieri. Anche le testimonianze di ragazzi che hanno avuto problemi con la droga, che pure sono coetanei e risultano più efficaci e ascoltati degli adulti, riescono a far cambiare strada: è come una tela di Penelope tessuta faticosamente di giorno e disfata di notte” spiega Donazzan.
I contrari
Come prevedibile le reazioni negative a questa proposta non sono mancate. Tra i primi a opporsi c’è stato Tommaso Biancuzzi, coordinatore regionale della Rete degli Studenti Medi che ha definito l’idea “grave e inaudita” e i test antidroga “invasivi e repressivi”.
Contrario, ma per ben altri motivi è invece Don Antonio Mazzi, fondatore della Comunità Exodus, da sempre in prima linea del recupero di giovani da tossicodipendenze: “La trovo un’idea folle, ma soprattutto inutile. Il problema della droga c’è ed è gravissimo. In realtà c’è sempre stato, ma non è così che si può risolvere. Non è usando i cani antidroga nelle scuole o prelevando le urine che si interviene, non servono azioni clamorose ogni tanto, quanto piuttosto un cambio di strategia più ampio e generale”.
Don Mazzi, che nel 1984 ha aperto il primo centro a Milano (oggi sono una quarantina anche fuori Italia le realtà legate alla Fondazione) ritiene che l’obiettivo sia quello di riuscire ad “arrivare prima” che si manifestino i primi segnali di disagio: “Non si tratta solo di droga: i ragazzi cercano le sfide. Non c’è una sola droga e non c’è solo la droga tra le dipendenze e le forme di disagio: occorre però ripartire dalle scuole e fare squadra”.
Droghe e scuola
Il problema della droga nei ragazzi, con il primo approccio in età sempre più giovane, ha comunque a che fare con la scuola, nonostante le soluzioni siano molto diverse. Donazzan punta sull’effetto deterrenza, ma non solo: “Il primo obiettivo del test antidroga è quello di mettere preoccupazione ai ragazzi, anche perché il solo timore di una segnalazione ai servizi sociali non serve più. È per questo che secondo me occorrerebbe, come secondo passaggio, intervenire con sanzioni a livello scolastico, in particolare con un abbassamento del voto in condotta e dunque il rischio di essere bocciati” spiega l’Assessore. “Purtroppo convocare i genitori abbiamo visto che non ha effetto, perché spesso essi reagiscono negando che i loro figli possano fare uso di sostanze stupefacenti, oppure minimizzando l’accaduto e dicendo che qualche spinello non ha mai fatto male a nessuno” dice Donazzan.
Ben diversa l’idea di Don Mazzi: “Lo spauracchio delle analisi delle urine non serve a nulla. Io credo che si debba cambiare mentalità e secondo me occorre agire in tre modi: prima di tutto occorre che i presidi escano dai loro uffici e inizino a conoscere la realtà delle loro scuole. È inutile spendere soldi regionali per i test antidroga, bisognerebbe invece che la Regione convocasse una volta al mese i presidi per fare il punto della situazione. Un secondo passaggio sarebbe quello di organizzare incontri settimanali tra i presidi stessi e gli insegnanti, per lavorare in gruppo. Non è possibile che i ragazzi sappiano chi usa droga e i professori no o che ne sia a conoscenza solo uno particolarmente sensibile. Tutti dovrebbero essere a conoscenza delle situazioni, possibilmente prima che diventino gravi, dovrebbero saper cogliere il disagio che sta dietro il ricorso alle sostanze stupefacenti” dice don Mazzi, che non esclude un terzo passaggio: “Io credo bisognerebbe dedicare al tema del disagio almeno una pagina al mese di un giornale o di un altro organo di informazione, con una lettera ai genitori per fare prevenzione, possibilmente coinvolgendo testimonial credibili”.
Chi deve fare prevenzione?
“Non bisogna confondere i ruoli”, “la scuola rimane un luogo in cui si cresce, si imparano regole, contenuti e corretti stili di vita” fa sapere il Miur, il ministero dell’Istruzione dopo la bufera sulla proposta veneta. Il ministro Bussetti, insomma, frena, pur ribadendo l’importanza che “a scuola si faccia prevenzione contro gli abusi di alcol e droga, e che vengano evidenziati gli effetti di droghe e alcol sulla salute”. D’accordo anche Don Mazzi: “Non tocca agli insegnanti o alla scuola fare controlli medici sui ragazzi, quanto piuttosto alla sanità” risponde Don Mazzi, secondo il quale non bisogna né usare la repressione né sottovaluta il problema.
Quante droghe e come contrastarle
“Quello con la droga è ormai un problema che abbiamo a livello di collettività: ormai è socialmente accettabile l’uso di sostanze stupefacenti. Si insiste nella distinzione tra droghe pesanti e leggere (dicendo che queste ultime non fanno male) o tra quelle chimiche e quelle naturali (quali sarebbero poi?). Occorre, invece, un cambio di rotta, assumendo posizioni decise” insiste Donazzan.
“Non è giusto reprimere” risponde a distanza Don Mazzi “ma neppure beatificare lo spinello, perché dopo la marijuana spesso inizia un percorso che porta a conseguenze disastrose. Il problema non è demonizzare, ma parlare in modo serio non di droga, ma di droghe (sono tante e cambiano tutti i giorni) e del disagio da cui nascono: la droga è diffusissima, non solo a scuola, ma anche a casa e in oratorio. Per questo occorre agire subito e nel quotidiano, non con azioni clamorose, ma con la vicinanza e l’ascolto per cogliere le situazioni” dice Don Mazzi.