«Guarda che devo fare un pezzo sui test d’ingresso all’università» gli dico mentre azzanna una piadina con le AirPods infilate nelle orecchie. «Ho bisogno di alcune informazioni» ribadisco mentre sguscia via verso la sua stanza-bunker. «Allora scrivo che ti ho prenotato io le date come un bebè!» gli urlo mentre il doppio giro di chiave preannuncia che dormirà serafico per almeno tre ore. Desisto. L’odissea di questi mesi che separano mio figlio dall’esame di maturità è al suo apice: siamo (meglio dire, sono) in pieno travaglio da prove di ammissione all’università.
L’università non è più “come una volta”
Se non lo vivi, non ci credi. Se l’ultima volta che hai messo piede in una facoltà erano gli anni ’90, non puoi capire. Se avevi bisogno di un’ulteriore conferma che il mondo è cambiato senza di te, eccoci qui: la galassia universitaria italiana ti si spalanca come un pianeta sconosciuto dove tu – madre, genitrice, donna apprensiva e al doppio giro di anta – non dovresti nemmeno esserci e invece ti aggiri come una faina cercando di decifrare un’offerta formativa che si è fatta XL e tu sei rimasta alla Small. Mentre tenti di fiutare il Sacro Graal del futuro per il tuo primogenito che ad aprile brancola ancora nel buio dei suoi talenti, se mai li avesse nascosti sotto al cuscino.
Parlano i dati: i genitori influenzano le scelte formative dei figli
L’unica consolazione è sapere di essere in buona compagnia: secondo l’ultimo report Almadiploma, nella scelta del corso di studi il 57,6% delle matricole è influenzato più dai genitori che dai corsi di orientamento in uscita dalle superiori, usufruiti comunque dal 78% degli studenti. Si affidano a noi per fiducia, per indolenza o per convenienza? Chissà: certo è che, in un’età in cui i figli non ti ascoltano mai, improvvisamente l’opinione di madri e padri bistrattati conta. D’un tratto abbiamo un ruolo e diventiamo “trust makers”.
E quanti più titoli possediamo, tanto più seguiranno il nostro esempio: dice il report che l’importanza attribuita ai pareri dei genitori è più elevata se questi sono laureati. Lo confermano anche i dati Eurostat: il 68% degli studenti ha più chance di arrivare alla tesi se almeno uno dei due adulti in famiglia ha frequentato con successo una università. Sembra un po’ la scoperta dell’acqua calda, e forse la dice lunga sul problema dell’ascensore sociale nel nostro Paese, ma pare che anche in Europa sia così.
Come funzionano oggi i test d’ingresso all’università
Dunque non ci resta che navigare insieme in questo oceano di possibilità accademiche oggi imprescindibili da una formula magica: il test d’ingresso. In un mondo ideale non dovrebbe esistere, visto che il diritto allo studio è garantito dalla Costituzione, ma lo spazio nelle aule è ristretto, gli uffici dove andranno a lavorare saranno una giungla e così le università sbarrano gli accessi. In modo random, potremmo dire, dato che – a parte le prove nazionali uniche di Medicina e Veterinaria, dove la fantasia è al potere e ogni anno il ministero cambia metodo – ciascun ateneo decide da sé.
Il 60% dei corsi triennali statali utilizzano il Tolc o un altro test del consorzio interuniversitario Cisia, che nel 2023 ne ha erogati 519.718 al prezzo “calmierato” di 30 euro a tentativo. Il restante 40% prevede solo prove attitudinali senza numero chiuso o le organizza in autonomia alla modica cifra anche di 70 euro a chance, senza considerare chi si prepara con i corsi organizzati dalle società esterne. La maggior parte delle prove di ammissione è poi incastrata tra marzo e settembre e piovono nel mezzo dell’esame di maturità che Boomer e Gen X sognano ancora oggi di notte e per la Gen Z passa in secondo piano come una fastidiosa tassa per scavallare all’immatricolazione. E pace se solo il 30% di loro arriverà alla laurea.
Il caso di Giulo Deangeli: 5 lauree in 6 anni
Non è quanto accaduto a Giulio Deangeli, neuroscienziato 28enne di Este (Padova) balzato alle cronache per aver preso in 6 anni 5 lauree che spaziano da Medicina a Ingegneria passando per Biotecnologie, nonché autore del saggio-guida La facoltà di scegliere (Mondadori), mentore della piattaforma web di orientamento “A Choice for life” e attualmente dottore di ricerca all’università di Cambridge. Inutile dire che lo venero come un semidio, anche se ammette con infinta modestia di aver solo seguito le sue passioni. «Sono stato fin da bambino un creativo, ho iniziato a programmare già a 10 anni e dopo il liceo scientifico mi sono iscritto a Medicina per fare ricerca e non il classico dottore» racconta.
«Penso che l’obiettivo di ogni studente dovrebbe essere trasformare il proprio mestiere in una festa, come accade a me oggi. E il metodo migliore è “esporsi” a un menu vasto di discipline, nella cerchia delle 4 o 5 che interessano, prima di decidere quale strada intraprendere. Come? Puntando sugli internati, una pratica anglosassone dove è normale fare “shadowing” seguendo anche solo per un paio di giorni il professionista che lavora nel nostro campo d’elezione. È una chiave per uscire dal nozionismo e dal peccato originale della scuola italiana dove alla teoria non segue mai la pratica».
Non ci si specializza più in un solo campo, serve flessibilità
Non tutti gli studenti, tuttavia, sono così determinati, molti si dicono spiazzati dalla scelta, tanto che una buona fetta del campione di Almadiploma si definisce «spaventato, intimorito, agitato». Che sia più difficile oggi rispetto a un tempo seminare bene il proprio destino? «Non penso» risponde Deangeli. «Non viviamo più in un’epoca in cui ci si specializza in un campo e per tutta la vita si seguirà quella strada: molti si aspettano ancora questo privilegio, ma il mondo sta cambiando e buona parte della mia generazione tra 10 anni si troverà a fare lavori completamente diversi. Questa dinamicità facilita anche l’orientamento, nella misura in cui un errore di percorso conta un po’ meno perché tutti saremo chiamati a essere flessibili in base ai cambiamenti repentini della società. Bisognerà avere sempre più competenze e skills di adattamento per essere competitivi». Bene. E ora chi glielo dice allo sfaticato del bunker?