Ora che è legge anche in Italia il biotestamento o Dat (Direttive Anticipate di trattamento) non si ferma l’impegno delle associazioni che da anni chiedono la legalizzazione dell’eutanasia, anche perché sono pressoché quotidiani i casi di persone gravemente malate, che invocano la libertà di scelta di poter accedere al suicidio medicalmente assistito. L’ultima in ordine di tempo è Irene, una trentenne morta due giorni dopo aver inviato la documentazione per poter accedere a questa procedura in Svizzera. Ora il marito, Andrea Curiazi, ha diffuso un video nel quale fa appello ai politici perché venga normata la materia:
Ma come si arriva a scegliere di andare a morire in apposite strutture oltre confine? Cosa prevede l’iter e quanto costa? Chi può rivolgersi alle “cliniche” che praticano il suicidio assistito e in quanti italiani lo fanno ogni anno e ogni mese?
La storia di Irene
A Irene avevano diagnosticato due anni fa un adenocarcinoma al polmone al quarto stadio, che aveva già interessato i linfonodi e colpito le ossa. La malattia non le ha impedito di viaggiare, adottare un cane e sposarsi, ma chemioterapia, immunoterapia e radioterapia non sono state sufficienti a salvarla, così la donna ha deciso di chiedere aiuto medico alla morte volontaria in una clinica elvetica. Non ha fatto in tempo, però, a raggiungerla: “È morta come non avrebbe voluto” racconta il marito su YouTube, in un filmato diffuso dalle pagine social dell’Associazione Luca Coscioni, Eutanasia Legale e di Marco Cappato.”E’ morta con la paura che il mostro potesse espandersi sempre di più, farla soffrire sempre di più, riducendone l’autonomia e privandola della sua dignità”. Proprio dignità è ciò che chiedono coloro che arrivano a prendere una decisione tanto drammatica e non sono pochi, neppure in Italia.
Gli italiani che vogliono morire all’estero
“Il trend sta aumentando vertiginosamente e ne siamo preoccupati: riceviamo una media di 90 telefonate settimanali di gente disperata. Nel 2015 in 50 sono partiti per la Svizzera senza fare ritorno, nel 2016 in 49, ma dal 1° gennaio del 2017 sono già in 67″ spiega a Donna Moderna Emilio Coveri, presidente dell’associazione Exit Italia con sede a Torino, che si batte per una legge che regolamenti la materia “altrimenti sempre più persone saranno costrette a partire per andare a morire in esilio lontano dagli affetti più cari”.
Analoga situazione per l’Associazione Luca Coscioni, che riceve in media 2 contatti al giorno: “Dal 15 marzo sono 454 le richieste di informazioni non anonime che ci sono arrivate e che abbiamo inoltrato a Marco Cappato, perché metta in contatto i malati con le strutture in Svizzera” spiega a Donna Moderna Filomena Gallo, Segretario Nazionale dell’Associazione Luca Coscioni. Solo i casi più eclatanti finiscono sotto i riflettori della cronaca, come quello di Irene o di Dj Fabo, per la cui morte ora proprio Marco Cappato è sotto processo per istigazione al suicidio. Un altro protagonista, suo malgrado, è stato Piergiorgio Welby, ricordato dal consiglio generale dell’Associazione il 20 dicembre a Roma, a 11 anni esatti di distanza, con la campagna #LiberiFinoAllaFine.
A che punto è la legge?
Una proposta di legge di iniziativa popolare, promossa dall’Associazione Luca Coscioni insieme ai radicali italiani, a Exit Italia e Uaar (Unione degli Atei e Agnostici Razionalisti) è stata depositata in Parlamento, alla Camera nel 2013, dopo aver raccolto quasi 70 mila firme. “Era stata calendarizzata per marzo 2016, ma non è mai stata discussa; questo ci consente di riproporla nella prossima legislatura” spiega Filomena Gallo “È un testo molto breve, composto di soli 4 articoli, nel quale viene identificato, ad esempio, chi può chiedere l’eutanasia: deve essere un cittadino italiano, capace di intendere e volere, maggiorenne, che può nominare un fiduciario e che chiede al personale medico di rispettare la sua volontà di una morte senza dolore. La proposta prevede che sia una persona vittima di malattia irreversibile, con prognosi infausta e che abbia un’aspettativa di vita orientativamente al di sotto dei 18 mesi di vita“.
L’obiettivo è quello di permettere a chi soffre di poter chiedere al medico l’eutanasia, informando i familiari, esentandolo dalle responsabilità penali oggi previste dalla legge.
Cosa dice la legge
L’eutanasia in Italia è vietata in qualsiasi forma e chi la sostiene rischia l’incriminazione per omicidio volontario (art. 575 del Codice Penale) o, nel caso in cui dimostri il consenso del malato, di omicidio del consenziente (art.579) con pene dai 6 ai 15 anni. Nel caso del suicidio assistito può essere applicato l’art. 580 sull’istigazione al suicidio, con pene fino a 12 anni, alle quali si possono sommare altri reati “minori” come l’omissione di soccorso. Nel vuoto normativo attuale c’è spazio per sentenze isolate, come quella del novembre 2017, quando il Tribunale di Milano ha stabilito che non si può ostacolare la volontà di chi vuole recarsi all’estero per ottenere il suicidio assistito.
Il rischio per chi “aiuta” a morire
Chi sceglie di rivolgersi a strutture oltre confine per una morte assistita, però, può andare incontro a due tipi di difficoltà: la prima riguarda i limiti fisici, la seconda quelli economici. “Spesso i malati non sono più in grado di affrontare il viaggio e a volte non hanno nessuno che possa accompagnarli nelle strutture apposite. Dj Fabo aveva chiesto a Cappato di portarlo in Svizzera per evitare le responsabilità legali a fidanzata e madre” racconta Gallo “Ma ci sono anche limiti economici, dati dal costo di accesso a queste procedure, che si aggira intorno ai 10mila euro, da anticipare alle strutture elvetiche”.
“Un prezzo dato dal costo della vita in Svizzera e che copre le spese per agenzia funebre, cremazione, trasporto al crematorio, medicina letale, visite col medico che accompagnerà al suicidio assistito, medico legale che firma l’atto di morte e sopralluogo degli ispettori di polizia che controllano la regolarità della procedura” spiega Coveri. “La cremazione, infatti, risulta quasi obbligatoria, sia perché far rientrare la salma costerebbe molto di più, sia per evitare che, una volta rimpatriata, qualcuno segnali l’avvenuto suicidio assistito alla Procura, che aprirebbe un fascicolo a riguardo” conclude Coveri.
Perché la Svizzera?
Il motivo è semplice: tra i paesi che hanno legalizzato il suicidio assistito è l’unico che accetta anche gli stranieri. Negli altri, ovvero soprattutto Belgio, Olanda e Lussemburgo, l’eutanasia è legalizzata, ma prevista solo per i propri cittadini.
Eutanasia o suicidio assistito?
Va fatta una distinzione tra l’eutanasia e il suicidio assistito: nel primo caso è il medico che somministra un farmaco letale a un paziente consenziente, che non abbia possibilità di guarire o ritenga di condurre un’esistenza non dignitosa (eutanasia attiva). E’ possibile anche sospendere tutte le cure e trattamenti che tengono in vita il malato stesso (eutanasia passiva). Il suicidio assistito, invece, prevede che sia il paziente che, dopo un percorso regolamentato e sotto stretto controllo medico, si somministri autonomamente il farmaco che porrà fine alla sua vita. E’ importante che ci sia capacità di intendere e volere. Nel caso di impossibilità a deglutire, per esempio in presenza di tumore alla gola, il mix letale è assunto per via endovenosa o con sonda gastrica, azionata dal paziente stesso.
I tempi della procedura
Per poter accedere al suicidio assistito occorre presentare una domanda a una delle 4 strutture che in Svizzera lo praticano: la Dignitas a Zurigo, LifeCircle-Eternal Spirit a Basilea, Ex- International a Berna e Liberty Life a Paradiso, alle porte di Lugano nel Canton Ticino, a circa 70 km da Milano. Una volta contattata la struttura, questa richiede la documentazione sanitaria del paziente, che attesta che si è in presenza di una malattia grave, irreversibile, clinicamente accertata e senza possibilità di guarigione. Occorre anche disporre di un testamento biologico, redatto davanti a tre testimoni, con cui si nomina un fiduciario e si dichiarano le proprie volontà sul fine vita nella piena facoltà di intendere e volere.
Una volta ottenuta la cosiddetta “luce verde” da parte di una commissione medica elvetica, viene fissata la data del suicidio assistito, indicata dal paziente e concordata con la struttura. Tutto l’iter richiede complessivamente almeno un mese, “anche se in alcuni casi ne possono passare anche diversi”, spiega Filomena Gallo. Capita che i pazienti scelgano di aspettare che la malattia sia in stadio avanzato, ma a volte la sua progressione è più rapida del previsto e non fanno in tempo a raggiungere le cliniche. In altre occasioni, invece, ci sono dei ripensamenti.
Come avviene il suicidio assistito
Fissata la data, il paziente raggiunge la struttura, che non è una vera e propria clinica, ma consiste piuttosto in edifici o piccole casette adibiti ad ambulatori, dove la degenza è solo di poche ore. Non ci sono infermieri, ma solo il medico che pratica il suicidio assistito e che per legge è tenuto a far desistere il malato dalla volontà di morire. Questo può dunque cambiare idea in qualunque momento. Se, invece, vuole proseguire gli vengono date due pastiglie di antiemetico, un medicinale che riduce il senso di nausea del farmaco letale. Questo, il Pentobarbital di sodio, viene preparato in una dose 4 volte superiore a quella letale e viene dato al malato che la ingerisce autonomamente (se tetraplegico, schiaccia un pulsante che ne attiva il rilascio). In 2/3 minuti induce un sonno profondo e dopo circa mezz’ora avviene l’arresto cardiaco, in stato di assoluta incoscienza del malato.
Dove è legale nel mondo l’eutanasia
I paesi che ammettono l’eutanasia, sia attiva che passiva, in Europa sono solo tre: il Belgio dal 2002, il Lussemburgo dal 2009 e l’Olanda, primo stato al mondo a legalizzarla nel 2000, rendendola poi effettiva due anni dopo. L’eutanasia passiva è ammessa anche in India, mentre in paesi come Canada, Messico e Australia esistono leggi che però hanno subito anche battute d’arresto.
Il suicidio assistito, invece, è legale in Svizzera e, fuori dall’Europa, in alcuni stati americani (Washington, Oregon, Vermont, Montana e California). Più variegata e difficile da inquadrare la legislazione in Europa. Ad esempio, in Ungheria l’eutanasia passiva è permessa se richiesta dal paziente; in Spagna eutanasia e suicidio assistito sono depenalizzati dal 1995, in Germania l’eutanasia è vietata, ma tollerata nella sua forma passiva. In Francia, non è ammessa quella attiva, mentre quella passiva è autorizzata solo con il consenso dei medici, come in Svezia. In Gran Bretagna e Portogallo sono vietati sia il suicidio assistito che l’eutanasia (attiva), ma è consentito interrompere le cure in casi estremi.