Quante volte nella nostra vita pensiamo alla morte? Tante, ma quasi mai alla nostra. Tantomeno da giovani. Samantha D’Incà per le complicanze di un intervento chirurgico a una gamba è rimasta in stato vegetativo dal novembre 2020. I familiari, dopo mesi di consulti per capire l’eventuale esito di un risveglio e di trattamenti di riabilitazione, avevano chiesto di interrompere le cure per rispettare le volontà della giovane donna, espresse a voce a familiari e amici: nessun accanimento terapeutico. «Lei lo aveva confidato più volte, a noi e ai fratelli» racconta la mamma al Corriere Veneto. Il 19 marzo hanno ottenuto di poter staccare i macchinari che la tenevano in vita in una Rsa di Belluno.

Le ultime volontà vanno scritte

Il problema è che Samantha ne aveva solo parlato, come può capitare a casa, o con gli amici, in quei momenti in cui ti senti toccato da qualche vicenda che ascolti o in cui ti imbatti. Sono quei momenti in cui ti esprimi a bassa voce, mentre gli altri sgranano gli occhi e fanno gesti scaramantici. E siccome il solo fatto di averne parlato ti fa già sentire sollevato, archivi il tutto e pensi che questo basti. Purtroppo non basta perché occorre essere così risoluti da passare all’azione. Ma a 30 anni è difficile avere questa risolutezza.

Oggi il testamento biologico è legge

A 80 è sicuramente diverso. A 80 anni alla morte ci pensi di più, e così forse è più facile tradurre un pensiero quasi indicibile e che crea angoscia in te e negli altri, in un documento tangibile. Un documento che ti consenta di avere l’ultima parola anche quando magari non ce l’hai più, come sta accadendo a Samantha. Sarà proprio perché fino alla fine lei vuole avere l’ultima parola su tutto, che ho accompagnato mia mamma 83enne a depositare il suo testamento biologico, cioè le DAT, le Dichiarazioni Anticipate di Trattamento. È questo il documento che consente di far rispettare – un domani che può essere più o meno lontano – le proprie volontà, per esempio sospendendo la nutrizione e l’idratazione. È questa la carta che manca a Samantha. E manca perché in Italia la legge che lo consente è ancora giovane, nonostante se ne parli da vent’anni. È la legge 219 del 2017 approvata dopo anni di battaglie legali, a partire dalla vicenda di Eluana Englaro. Sarà tra le pieghe di questa legge che l’avvocato della famiglia di Samantha cercherà di far rispettare le sue volontà, in un iter legale che è appena iniziato.

Farlo è facile: io ho aiutato mia mamma

Chissà che il caso di questa giovane donna possa spingere sempre più persone a occuparsi del proprio testamento biologico, così come facciamo per i nostri beni. D’altra parte, la vita è il nostro bene supremo, perché quindi non lasciare le nostre disposizioni in merito? Per noi (mia mamma e io, suo fiduciario) non è stato così farraginoso farlo, segno che a volte le barriere sono più mentali e culturali che burocratiche. Potevamo andare da un notaio ma abbiamo scelto la soluzione meno costosa, ovvero gratuita: dal sito dell’associazione Coscioni si scarica il modulo (appunto le DAT), si compila e si fissa un appuntamento con un impiegato dell’ufficio di Stato Civile nel proprio comune di residenza. Davanti all’impiegato si firma, il modulo viene acquisito ed entra a far parte, oltre che del fascicolo sanitario elettronico, di una banca dati nazionale depositata presso il Ministero della Salute. Da cui arriva una mail di conferma. Con questa mail, e un codice assegnato, in qualsiasi momento si può consultare il documento, anche modificarlo o revocarlo. Ma soprattutto possono accedervi i medici quando eventualmente ci si trovi in una condizione di incapacità mentale. Quello che nessuno di noi riesce a immaginare oggi, ma che non possiamo escludere, a 30 come a 80 anni.