TikTok è oggi quello che sono state Snapchat e Instagram solo pochi anni fa: l’app usata solo dai giovanissimi, quella in cui gli adulti non trovano spazio. Snapchat, poi, è stata gradualmente soppiantata dalle Stories di Instagram mentre su quest’ultima piattaforma ci è approdato praticamente chiunque.
Così i ragazzi si ritrovano ora su quella che solo nel 2017 era ancora Musical.ly, e cioè una app che permette di registrare brevi clip da 15 secondi con sottofondo musicale. A differenza delle influencer di Instagram, che propongono un’immagine di sé così curata da sembrare spesso falsa, le nuove star di TikTok sono sì carine e alla moda, ma anche molto più scanzonate, o almeno lo sembrano.
Il caso del pedofilo di Modena
In Italia si è parlato di TikTok dopo la decisione di Matteo Salvini di debuttare sulla piattaforma, anche se non è chiaro con quali intenzioni politiche. È stato un altro caso, però, che ha attirato l’attenzione dell’opinione pubblica sull’app. Risale allo scorso ottobre e si è verificato a Modena, dove un papà ha denunciato un utente che mandava messaggi inequivocabili, così li descrive La Repubblica, al figlio che frequenta la quarta elementare: gli scriveva “Ti voglio bene”, “Sei il mio fratellino”, “Ti voglio conoscere”. Grazie alla prima denuncia le autorità hanno quindi individuato anche un altro alunno che aveva ricevuto messaggi simili e sono state in grado di identificare un uomo, ora accusato di adescamento di minorenni.
Come sempre in questi casi, il problema non sono i bambini e i ragazzi che si divertono su un’app tutto sommato innocua, quanto invece l’uso sinistro che possono farne certi adulti. Risale a metà ottobre la maxi retata contro un sito di pedopornografia frutto di un’operazione di polizia internazionale, che ha visto la collaborazione di agenti e funzionari degli Stati Uniti, della Gran Bretagna e della Corea del Sud. Una recente inchiesta poi, rilevava come nel 2018 fossero stati scambiati su internet 45 milioni di foto e video di minori abusati, un problema enorme che i giganti del tech stanno iniziando solo adesso, pressati dalle autorità e dal pubblico, a prendere in seria considerazione.
Trump, TikTok e la privacy
Di proprietà della società cinese ByteDance, guidata dal quarantenne Alex Zhu, e con all’attivo qualcosa come 800 milioni di download in tutto il mondo (dati 2018), l’app è ora però al centro di molte polemiche, soprattutto negli Stati Uniti. Come racconta il New York Times, infatti, il partito di Trump sembra avere un problema con la nazionalità di Zhu e, di consueguenza, della stessa app. Alcuni senatori repubblicani hanno recentemente sollevato la questione della privacy, insinuando che l’app raccogliesse indiscriminatamente i dati dei suoi giovani utenti per poi passarli “al governo comunista cinese”.
Sembrerebbe una teoria complottista, ma riflette bene il clima di diffidenza che oggi circonda le aziende del tech, le stesse che fino a qualche anno fa erano osannate come portatrici di nuovi modelli di comunicazione fra le persone. Al Nyt, Zhu ha ribadito che TikTok «non censura i video che non piacciono alla Cina. E no, non condivide i dati degli utenti con la Cina, né con la sua società madre con sede a Pechino. Tutti i dati sugli utenti TikTok in tutto il mondo sono archiviati in Virginia, negli Stati Uniti, con un server di backup a Singapore».