Ti risolve un pranzo in ufficio, un sugo al volo, una cena last minute. Cosa c’è di più facile e veloce di aprire una scatoletta di tonno? Sarà anche per questo che gli italiani ne vanno matti. Il 94% di noi lo porta regolarmente in tavola (1 su 2 lo consuma almeno una volta a settimana) e, tra insalate, panini e paste fredde, finiamo per mangiarne, ogni anno, ben 2,5 kg a testa. Piace agli sportivi, a chi è attento alla linea, a chi vuole mettere sotto i denti un po’ di proteine senza passare dai fornelli.
Quella del tonno è una delle carni più sane e magre: ha poche calorie (solo 90 al naturale), ben 25 grammi di proteine nobili ogni 100 di prodotto e molti altri nutrienti (omega 3, iodio, selenio, fosforo). Nella versione al naturale, poi, non ha grassi (0,3%, contro i quasi 10% di quello in olio, comunque “grassi buoni” polinsaturi) ma ha un contenuto maggiore di sale. Meglio quindi sceglierlo in olio extravergine (anche bio) se soffri di ipertensione, ritenzione idrica o vuoi limitare il sodio. Ma cosa c’è dentro a vasetti e scatolette e, soprattutto, da dove arriva il tonno che portiamo in tavola?
Rosso o a pinna gialla?
L’Italia vanta una tradizione antichissima di pesca del tonno, come testimoniano le tonnare di Favignana e Marzamemi in Sicilia e Carloforte in Sardegna. Il tonno che trovi nelle scatolette, però, arriva da lontano perché quello rosso del Mediterraneo è tutelato da norme Ue che ne restringono la pesca a brevi periodi e a pochi esemplari. Questo perché, dopo lo sfruttamento intensivo degli anni Settanta e Ottanta, era a rischio estinzione, come anche il resto del tonno rosso nel mondo a causa della sushimania.
Il 90% di quello utilizzato dall’industria conserviera mondiale proviene dal tonno pinnagialla (Yellowtale o Thunnus albacares), tra i più pregiati, e dal tonnetto striato, più piccolo e meno prezioso. Anche il tonno che poi arriva sulle nostre tavole viene quindi pescato negli oceani (Atlantico, Pacifico, Indiano) e, subito congelato intero a bordo dei pescherecci, viene trasferito nei nostri stabilimenti per la trasformazione. Nessun allarmismo per quanto riguarda il mercurio: uno studio di Harvard della scorsa estate ha rivelato come il clima impazzito abbia contribuito a far aumentare i livelli di metilmercurio nei grandi predatori, mentre la specie pinne gialle, di piccola taglia, è ampiamente entro i limiti di legge.
Filetti, ventresca & Co.
Giunto in Italia, il pesce viene controllato, decongelato e avviato alla linea di sezionamento per essere tagliato e lavorato. Il tonno è “il maiale del mare” e di lui non si butta via niente: ogni taglio diventerà un prodotto (bottarga, ventresca tra i più pregiati, mentre lische e scarti diventano pet food). Il filetto vero e proprio, dopo la cottura in grandi forni a vapore, verrà confezionato e diventerà la nostra cena “apri e gusta”.
Le carni migliori, più sode e rosa, vengono lavorate a mano e messe nei vasetti di vetro. Tranci e pezzi piu piccoli finiscono nelle scatolette prima scelta del super, le “briciole” di questi due metodi di lavorazione andranno a riempire quelle destinate ai discount. Rimangono le parti più scure e sanguigne, che diventano bruzzonaglia (un prodotto da cuocere) o sono destinate ai mercati esteri. Le differenze di prezzo tra vetro, scatolette del super e del discount sono, quindi, date sia dall’artigianalità del confezionamento in vasetto (è un lavoro di grande abilità manuale, di solito affidato alle donne) sia dalla qualità del pezzo di carne che contengono.
Le sigle da conoscere
Spinte dalle campagne di Greenpeace (Tonno in trappola, Rompiscatole) e dalla crescente attenzione dei consumatori nei confronti della filiera e della sostenibilità dei prodotti, le migliori aziende italiane hanno etichette “parlanti”: sulla confezione trovi scritti la specie, gli ingredienti (tonno, olio o acqua, poco sale: non deve esserci altro) e la zona Fao di pesca. Presta attenzione alle sigle: l’Oceano Atlantico Nordorientale e il Pacifico Nordorientale, che corrispondono a Fao 27, 61 e 67, sono ad alto inquinamento, mentre sicuri e di ottima qualità sono i tonni pescati nell’Oceano Indiano e Pacifico centro meridionale (indicati rispettivamente con Fao 51-57 e Fao 71, 77, 81 e 87).
Le aziende più virtuose forniscono un codice sulla scatola da inserire sul loro sito, perché tu possa conoscere l’esatta provenienza, il periodo e il metodo di pesca del tonno. Il meno sostenibile è il Fad (Fishing Aggregative Devices), perché nelle ampie reti vengono intrappolati anche tartarughe e squaletti. Se ci sono le certificazioni Msc e Dolphin safe, significa che il tonno è stato pescato con un ridotto impatto ambientale e tutelando i delfini. I tonni spesso vengono intercettati dai pescatori proprio grazie ai delfini, che amano seguirne la scia con il rischio di condividerne la sorte una volta intrappolati anche loro nelle reti.
E poi c’è quello conservato nell’acqua di mare
Se sei attenta a gusto e salute, questa novità al super fa per te. Vincitore del primo posto nella categoria Innovazione di TuttoFood2019, Callipo lancia i Filetti di tonno al naturale in Acqua di Mare Aquamaris. «Da sempre» spiega Giacinto Callipo, titolare dell’azienda «i pescatori impiegano l’acqua di mare per mantenere fresco e naturale il sapore del pesce. Abbiamo deciso di tornare alla tradizione, innovandola, e utilizzare l’acqua di mare al posto della salamoia. Questo, oltre a esaltare il gusto del pesce, permette di ridurre il sodio (un terzo in meno di un tonno al naturale) e di arricchire il prodotto con oligoelementi e minerali di cui il mare è ricco (iodio, magnesio, potassio, calcio, ferro). L’acqua viene raccolta al largo delle coste Ioniche e microfiltrata da Aquamaris per renderla sicura».