Quando il caso è destinato a fare scuola. In questo caso la storia arriva da Reggio Calabria e precisamente da Palmi, ma la sentenza del Tribunale è destinata a fare da apripista per episodi analoghi, che dovrebbero mettere in guardia chi usa i social e soprattutto finge di essere quello che non è, per esempio single quando invece è sposato. I giudici calabresi, infatti, hanno addebitato a un uomo la “colpa” della separazione per aver scritto sul proprio profilo Facebook di essere single, quando invece, mentre chattava, postava e metteva like era in casa con la moglie, magari semplicemente in una stanza diversa. Il tutto senza che il marito in questione avesse una relazione extraconiugale vera e propria. Lo stesso sarebbe accaduto se avesse scelto l’opzione “Mi piacciono le donne”. Il motivo? Ha leso la dignità del partner.
Non occore tradire fisicamente
Anche in assenza di tradimento vero e proprio, dunque, è possibile sia attribuita la “colpa” della fine di un matrimonio o di una relazione. Perché? Come ribadito dai giudici di Reggio Calabria, il fatto di presentarsi come single non è prova di tradimento, ma di un atteggiamento «lesivo della dignità del partner proprio nella misura in cui, pubblicamente e sin troppo palesemente, rappresenta ai terzi estranei un modo di essere o uno stato d’animo incompatibile con un leale rapporto di coniugio».
Messaggi e status provano l’infedeltà
«Non è la prima volta che le pagine social e i messaggi WhatsApp vengono prodotti in tribunale nelle cause di separazione. Tutto può servire a dimostrare l’infedeltà del partner: messaggi, fotografie, status del profilo. Quello che conta per l’addebito della separazione è non solo che il tradimento sia stato la causa della crisi coniugale, ma anche che abbia leso la dignità del coniuge. Pubblicare fotografie sui social con l’amante quando si è ancora sposati in totale disprezzo dei doveri che derivano dal matrimonio può far scattare l’addebito, così come dichiarare pubblicamente di essere single quando si è ancora sposati. Chattare con qualcuno facendo finta di essere single può integrare anche il reato di sostituzione di persona, punito dall’articolo 494 del codice penale, perché si mente su una qualità essenziale ingannando gli altri. Il profilo digitale oggi costituisce infatti una proiezione di diritti della personalità nella comunità virtuale e non deve essere sottovalutato» spiega l’avvocato Marisa Marraffino, specializzata tra l’altro nei reati commessi online.
Bastano i sospetti di infedeltà
La sentenza calabrese segue un pronunciamento analogo da parte della Cassazione, che nel 2017 si espresse proprio sul concetto di lesa dignità spiegando che possono considerarsi “colpa” quei comportamenti che «non rilevano esclusivamente le relazioni extraconiugali in senso stretto», ma anche quelli «univocamente a ciò indirizzati che possano giustificare da soli la lesione della dignità e dell’onore dell’altro coniuge». Insomma, oltre all’adulterio vero e proprio, possono bastare «plausibili sospetti di infedeltà» che comportino «offesa all’onore e alla dignità dell’altro coniuge». Attenzione, dunque, anche ad apparire traditori.
Anche chattare svilisce la dignità del coniuge
I giudici calabresi nella sentenza pilota sono stati chiari, spiegando che l’obbligo di fedeltà coniugale «deve intendersi caratterizzato non soltanto dall’astensione da relazioni sessuali extraconiugali, ma anche quale impegno di non tradire la fiducia reciproca». Ma cosa si intende per fedeltà coniugale e quando può venire meno? Se per il Tribunale di Palmi è paragonata al concetto di lealtà, Marraffino aggiunge: «Non sempre l’infedeltà è causa di addebito della separazione. Per esserlo deve venire considerata la causa della rottura del matrimonio. Viceversa anche il tradimento platonico può essere causa di addebito, se lede la dignità del coniuge. Così passare troppo tempo in chat con qualcuno o scrivere frasi romantiche sulla bacheca altrui può far scattare l’addebito perché i social network per la giurisprudenza sono piazze pubbliche virtuali, visibili a tutti. Chattare con qualcuno ripetutamente invece può ledere la dignità del coniuge che si sente svilito, offeso. Le persone, in genere, sottovalutano l’importanza di quello che pubblicano on line, non pensano che può essere prodotto in giudizio, ma non è così».
Attenzione a cosa si scrive sui social
Chi usa frequentemente i social, dunque, deve fare attenzione (ammesso che abbia qualcosa da nascondere) perché ciò che posta potrebbe diventare una prova o quantomeno un indizio, e non si tratta necessariamente di foto o video. In quali casi? «Di solito sono le fotografie pubblicate dall’amante, le frasi equivoche, ma anche i messaggi WhatsApp letti per caso dal coniuge – spiega l’esperta – Sempre più spesso queste prove documentali entrano nelle cause di separazione e possono essere rilevanti per l’addebito».
E la privacy?
Sbaglia chi pensa di poter scrivere ciò che vuole ed essere tutelato in nome della privacy: «Il principio a cui si sono rifatti i giudici per il caso calabrese ormai è consolidato: rendere pubblico un tradimento lede la dignità del coniuge e i social network sono luoghi aperti al pubblico, a prescindere dal numero di contatti che si hanno e dal fatto che si sia privatizzato il profilo o meno – conclude l’avvocato Marraffino – La relazione di un coniuge con estranei rende addebitabile la separazione, ai sensi dell’articolo 151 del codice civile. Lo ha precisato più volte la Cassazione e oggi il principio viene applicato soprattutto ai corteggiamenti ostentati sui social network. La privacy non c’entra: in questi casi prevale il diritto di difendersi in giudizio».