D’un tratto resta in silenzio, aspetta qualche secondo, serra le mani e con un filo di voce dice: «Lo so, facciamo ancora paura. Ma non siamo dei mostri. Siamo persone come le altre». A parlare così è Jacopo, un ragazzo trans di 24 anni che vive a Reggio Emilia, «fidanzatissimo» come si definisce scherzando, e che a marzo dell’anno scorso ha iniziato la terapia ormonale. La paura di cui parla è un’emozione dura, appuntita come un’arma, che spesso molti di noi provano di fronte ai comportamenti diversi, alle relazioni affettive che scardinano gli stereotipi e l’appartenenza a un genere, a una categoria.
È la stessa paura tornata protagonista delle cronache qualche settimana fa, quando Michele ha ucciso sua sorella Maria Paola Gaglione, una ragazza di 20 anni, speronandola mentre era in moto insieme al suo ragazzo Ciro, transessuale. Per molti una storia d’amore diversa, impossibile, da nascondere, per Ciro una storia normale: «Semplicemente noi ci amavamo» ha raccontato in un’intervista. E in quel “semplicemente”, detto con il suo viso pulito e lo sguardo vuoto di chi ha perso la cosa più cara della sua vita, c’è racchiusa tutta la bellezza e la genuinità di queste relazioni. «Di solito i ragazzi trans investono molto nelle storie affettive perché diventano il sostegno, l’impalcatura per trovare il coraggio di esporsi, per non sentirsi più invisibili, per sconfiggere la paura di essere diversi» spiega Margherita Graglia, psicoterapeuta e autrice del libro Le differenze di sesso, genere e orientamento. Buone prassi per l’inclusione (Carocci editore).
A Milano, nel centro culturale “Tempio del Futuro perduto”, è stato realizzato un murale per ricordare Maria Paola Gaglione, uccisa da suo fratello perché amava un ragazzo trans
Storie forti, intense, sincere
Proprio come quella di Jacopo, che sta con un ragazzo, anche lui trans. «Lo amo. Quando l’ho conosciuto era una ragazza e mi è subito piaciuta. Adesso, che anche lui sta sperimentando il genere maschile, mi piace ancora di più. Io amo una persona, non un genere. Quindi per me che sia maschio o femmina non ha nessuna importanza. Che problema c’è?» ci racconta con un sorriso e una sincerità così belli e forti da essere disarmanti. La stessa sincerità che usa anche Muriel, 24 anni, di Milano, che dopo aver avuto una storia con una ragazza, da 2 anni sta con Ethan, ragazzo trans.
«L’ho conosciuto su una app di incontri e me ne sono innamorata. Di lui sapevo tutto fin dall’inizio, ma non gli ho chiesto niente: l’ho accolto silenziosamente, l’ho rispettato, ascoltato senza fare troppe domande. Non volevo costringerlo all’ennesimo coming out». Così Ethan si è fidato e il loro rapporto è cresciuto («Non ti dico le mie amiche: sono pazze di lui!» scherza) tanto che progettano, un domani, di andare a vivere insieme e di adottare un bambino.
E la parola fiducia la usa spessissimo anche Jacopo, quando parla del suo compagno. «Lui mi accoglie, mi fa sentire al sicuro e quando sono tra le sue braccia so che nessuno può farmi del male. È come fosse la mia corazza, il mio scudo». Uno scudo che lo protegge dagli sguardi degli altri, a volte così taglienti da fare male. Un riparo avvolgente, confortevole, che gli ricorda l’abbraccio che ha ricevuto da sua mamma quando le ha detto di essere transgender. «In realtà io ho fatto 2 coming out. A 14 anni come ragazza lesbica. A 20 come trans. E quella sensazione di essere protetto me la ricordo ancora. Impossibile dimenticarla». «Per questi ragazzi, così come per tutti, sentirsi capiti, accuditi, non giudicati è fondamentale. Perché purtroppo hanno imparato a diffidare degli altri, perché troppo spesso negli sguardi della gente hanno visto disvalore, sfiducia, disprezzo. Quindi sentirsi speciali, riconosciuti, unici per qualcuno è un aspetto importante» dice l’esperta.
Qualcosa sta cambiando
Un traguardo che per fortuna negli ultimi anni capita sempre più spesso di raggiungere, perché qualcosa sta cambiando. «I giovani di oggi vivono in un paradigma culturale diverso: non c’è più una visione dicotomica del genere e le categorie maschile e femminile non sono più rigide, nette. Al contrario c’è una fluidità di genere: i ragazzi vogliono sperimentare, non sentirsi intrappolati nel classico binarismo: bianco o nero».
E questa sperimentazione non è una moda o, ancora peggio, un capriccio ma il primo passo di un percorso che ha tante possibili uscite se perfino Facebook oramai offre oltre 70 identità di genere per rispecchiare una società in cui sempre più giovani si definiscono “non-binary”. A conferma di come le nuove relazioni siano a geometrie variabili c’è un altro dato interessante emerso da studi recenti: sempre più spesso il disagio riguardante il genere si trasforma in un’identità fluida, in movimento, non in qualcosa di definitivo. «Anche solo 10 anni fa il mandato sociale era molto più prescrittivo: se non ti sentivi femmina allora eri maschio e dovevi diventarlo a tutti gli effetti, sottoponendoti a diversi interventi» spiega la psicoterapeuta.
Quello che ha fatto Federico, 49 anni, di Cagliari, che questo “problema”, così lo definisce lui stesso, lo ha vissuto più di 25 anni fa quando la società non era ancora pronta ad accettare queste nuove categorie, quando anche solo le coppie omo facevano scandalo: «Ero stanco di guardarmi allo specchio e non riconoscermi. Ero stanco di sentirmi diverso. E allora appena ho potuto mi sono sottoposto a 4 operazioni che mi hanno “aggiustato”». Per fortuna ad accompagnarlo in questa trasformazione c’era la sua fidanzata, un’ex compagna di liceo con cui è stato 20 anni: «Non sono mai stato da solo, ho sempre avuto delle relazioni, ma avere qualcuno a fianco in quei momenti è stato bello, fondamentale. Io mi guardavo allo specchio e finalmente mi piacevo («avrei solo voluto essere un po’ più alto» scherza, ndr) ma soprattutto sentivo di piacere alla persona che amavo». Una sensazione intensa e gratificante quella di Federico. Che adesso sta con una nuova compagna, da 10 anni: «Lei mi ha conosciuto già così, come Federico. E mi ha accettato con le mie cicatrici e le mie insicurezze, facendomi sentire speciale».
Proprio come si sente anche Jacopo: «Visto che in questi rapporti c’è meno fisicità, il sentimento e il trasporto sono maggiori. La componente di testa, emotiva, è molto importante per noi. Bisogna piacere a una persona pur avendo un corpo non conforme» svela Jacopo con quella freschezza a cui ormai siamo abituati. Un corpo che non rientra nelle solite categorie ma che proprio per queste sue diversità è ancora più bello, unico. «Il momento più emozionante? Quando mi sono spogliato, il mio compagno mi ha abbracciato e non ho più provato imbarazzo». Un traguardo che può sembrare banale ma che per Jacopo e per tutti quelli come lui non lo è affatto.
Transgender: diamo (finalmente) i numeri
I dati della letteratura scientifica internazionale suggeriscono che la percentuale di popolazione transgender dovrebbe essere compresa tra lo 0,5 e l’1,2% del totale. Se confermata anche nel nostro Paese, sarebbe di circa 400.000 italiani. Ma al momento non ci sono numeri ufficiali.
Per colmare questa lacuna, Azienda ospedaliera universitaria Careggi, Università di Firenze, Istituto superiore di sanità, fondazione The Bridge con il supporto dell’Osservatorio nazionale sull’identità di genere hanno avviato uno studio di popolazione chiamato SPoT. Un gioco
di parole che intreccia la missione dell’indagine, cioè la stima della popolazione transgender adulta in Italia, e il verbo inglese “spot” cioè individuare. Tramite un brevissimo questionario del tutto anonimo da compilare online (www.studiopopolazionespot.it), i ricercatori sperano di quantificare per la prima volta le persone transgender.
Il docufilm da non perdere sul mondo transgender
È arrivato da qualche mese su Netflix il documentario Disclosure, presentato a gennaio al Sundance film festival: è la storia della rappresentazione trans nel cinema e in tv. Si parte dai film muti, passando per Psycho, Nip/Tuck, Sex and the city e Ace Ventura, fino alla produzione della serie televisiva Pose, del 2018, la prima con un cast a maggioranza transgender.