Transizione ecologica è una parola di moda: un ministero ora è denominato così e molte aziende la mettono al centro della loro strategia. Il tema è connesso a una sfida enorme, per limitarci all’Unione europea: raggiungere entro il 2050 la neutralità carbonica, vale a dire l’equilibrio tra emissioni e assorbimento di CO2.
Per capire come gli Stati intendano centrare questo obiettivo la cosa migliore è raccontare il pacchetto “Fit for 55” adottato dalla Commissione europea a luglio, che implica la riduzione delle emissioni del 55% entro il 2030 rispetto al 1990, ossia un taglio di circa il 32% nei prossimi 10 anni.
Il piano di transizione dell’economia europea
Gli elementi più rilevanti del piano di transizione dell’economia europea verso la sostenibilità ambientale sono 5.
1. Energie rinnovabili al 38-40% sul mix totale entro il 2030, vale a dire più o meno il doppio di oggi.
2. Efficienza energetica al 36-37% nei consumi finali.
3. Riduzione entro il 2030 delle emissioni del settore Ets, il sistema di scambio tra Paesi delle quote di emissione di gas serra, pari al 60% rispetto al 2005.
4. Riduzione delle emissioni dei veicoli del 100% al 2035.
5. Introduzione di una tassa, chiamata Carbon Border Adjustment Mechanism, sul contenuto carbonico dei prodotti importati, al fine di proteggere l’industria europea da prodotti provenienti da Paesi con politiche ambientali meno severe.
La transizione ecologica è una rivoluzione
È una rivoluzione, e la questione è come passare dalle parole ai fatti. Sono 3 le difficoltà principali da affrontare.
1. La burocrazia: l’approvazione del pacchetto “Fit for 55” richiede una ratifica di Parlamento e Consiglio europeo e perciò servono tempo e negoziazioni. Quanto ci vorrà? Mesi, anni? E se i contenuti dell’accordo cambiassero in virtù proprio delle trattative? Una questione da chiarire è dove inserire il nucleare tra le fonti di energia: green o no? Servirebbe un dibattito serio fondato più sui numeri e meno sulle emozioni.
2. L’innovazione tecnologica: l’obiettivo di riduzione delle emissioni del 32% entro il 2030 non è solo ambizioso, è eroico, soprattutto se si pensa che si vuole raggiungere in 10 anni una diminuzione che è molto maggiore di quella del 20% raggiunta negli ultimi 30. La macchina della transizione deve andare 4 volte più veloce di come si è sempre mossa.
3. I comportamenti: l’economista Friedman diceva che nessun pasto è gratis. La domanda è cruciale: chi paga la transizione?
La transizione ha un costo
Inutile girarci intorno: la transizione ha un costo, come mostra anche l’aumento del prezzo della CO2 che, in parte, si è tradotto nel rincaro delle nostre bollette. Diventare più efficienti significa sostenere un prezzo: a parte gli annunci del genere «Perderò 10 chili in 5 settimane», siamo pronti ai sacrifici? Saremo capaci di reggere le proteste sociali che sorgeranno tra coloro i quali escono più svantaggiati dalla transizione? La transizione non è una gara a chi la spara più grossa, ma è l’impegno concreto di chi prova a modificare il sistema economico, possibilmente a parità di prosperità raggiunta.
L’autore dell’articolo
Luciano Canova insegna Economia Comportamentale al master della Scuola Enrico Mattei. Il suo ultimo saggio è Favolosa economia (HarperCollins).