Ci sono regali talmente preziosi che si possono fare una sola volta nella vita, cambiando completamente quella di chi li riceve. Per questo la campagna di sensibilizzazione sulla donazione di organi e tessuti ha scelto lo slogan “Diamo il meglio di noi”.
E il tam tam non si ferma alla Giornata nazionale per la donazione e il trapianto di organi, quest’anno celebrata il 27 maggio, ma va avanti ogni giorno. Molte persone infatti non sanno che, oltre alla possibilità di sottoscrivere in vita il consenso al prelievo di organi e tessuti dopo la morte, si può donare anche quando si è in perfetta salute. Si tratta della donazione da vivente. Cerchiamo di capirne regole e potenzialità.
Che organi si possono prelevare?
«Un rene e una porzione di fegato, per quanto riguarda gli organi » spiega Alessandro Nanni Costa, direttore del Centro nazionale trapianti. All’Ismett di Palermo è stato appena effettuato il decimo trapianto di fegato da vivente in un anno. «Inoltre da viventi si possono donare le cellule staminali emopoietiche (contenute nel midollo osseo, nel sangue periferico e in quello del cordone ombelicale), alcune parti di osso (come la testa del femore) e la membrana amniotica» aggiunge Costa. Il donatore di cellule staminali emopoietiche può essere un familiare del ricevente, per caratteristiche genetiche simili, oppure una persona iscritta nei registri dei donatori di cellule staminali: quello italiano (Italian Bone Marrow Donor Registry) si trova presso l’Ospedale Galliera di Genova e gestisce la ricerca di donatori compatibili con pazienti che necessitano di un trapianto.
Chi può donare?
«In genere la donazione di organi da vivente avviene tra persone “affettivamente correlate”: parenti e affini e in qualche caso amici». E in rari casi, autorizzati solo per il rene, «assistiamo anche a donazioni “samaritane”, ossia nei confronti di persone sconosciute» chiarisce l’esperto. In quest’ultimo caso l’organo donato viene utilizzato per innescare delle “catene samaritane crossover”, incrociando coppie di donatori-riceventi tra loro incompatibili. Facciamo un esempio: la moglie di un paziente che ha bisogno di un rene lo dona non al coniuge, per motivi di bassa compatibilità, ma a una persona sconosciuta che però ha maggiore compatibilità genetica con lei, per garantire maggiori probabilità di successo del trapianto; a sua volta, una persona legata a quel ricevente rende disponibile il suo rene per il marito della donatrice.
Come si fa?
Per manifestare la propria volontà di donare un organo o un tessuto da vivente, basta andare presso il Centro regionale trapianti più vicino. Ma ci sarà il via libera alla donazione solo dopo esami clinici e visite mediche, colloqui con uno psicologo, «l’attenta valutazione di una commissione medica indipendente rispetto agli specialisti coinvolti nella cura del ricevente, infine una specifica autorizzazione del magistrato del tribunale competente» specifica Costa. La legge, quindi, «tutela al massimo sia il ricevente sia il donatore, che deve avere condizioni di salute ottimali e comunque non dovrà cambiare stile di vita dopo l’intervento o assumere farmaci». Nel percorso comunque è garantito un supporto psicologico. E i risultati parlano chiaro: quando a donare il rene è una persona viva «verifichiamo una migliore sopravvivenza del paziente» aggiunge Nanni Costa.
Qual è il prossimo obiettivo?
«Con il Centro nazionale trapianti abbiamo siglato un protocollo d’intesa per una campagna pro donazioni di rene da vivente, avviata lo scorso anno in Umbria, Marche e Puglia» dice Giuseppe Vanacore, presidente dell’Aned, Associazione nazionale emodializzati. «Sensibilizziamo operatori sanitari, pazienti, familiari e volontari». Concorda Flavia Petrin, presidente di Aido (Associazione italiana per la donazione di organi, tessuti e cellule): «Le donazioni da vivente sono in aumento. Ma non vanno considerate sostitutive alla donazione da cadavere, che per alcuni organi è l’unica possibile. E al momento siamo lontani dal garantire a tutti i cittadini in lista di attesa una risposta sanitaria adeguata».
I numeri
15 le donazioni di una porzione di fegato da vivente nel 2017 in Italia
128,6% l’aumento delle donazioni di una porzione di fegato da vivente nel 2017 rispetto al 2016 nel nostro Paese
276 le donazioni di rene da vivente nel 2017 in Italia. 10,7% l’aumento delle donazioni di rene da vivente nel 2017 rispetto al 2016 nel nostro Paese
36% la percentuale dei reni donati da donne al proprio compagno sul totale in 8 Paesi europei (Austria, Belgio, Croazia, Germania, Olanda, Ungheria, Slovenia, Lussemburgo)
2012 l’anno a partire dal quale in Italia sono autorizzati anche prelievi di una sezione di lobo polmonare, pancreas e intestino. Per ora non sono ancora stati effettuati trapianti di questo tipo
(Fonti: Eurotransplant, Cnt, Aido)
Le testimonianze
Marzia Cardillo, 45 anni, di Roma «Ho permesso alla mia nipotina di 8 mesi di rinascere» «La mia cicatrice, dallo sterno all’ombelico, è il tatuaggio che porto con orgoglio». Sul suo corpo Marzia Cardillo vede ogni giorno il segno che ha consentito alla sua nipotina Sara, nata con un’atrofia congenita delle vie biliari, di “rinascere”. Zia da parte di padre, 3 mesi fa ha deciso di donare alla piccola una porzione del suo fegato, il lobo sinistro. «Il trapianto, durato in tutto 13 ore, è avvenuto il 7 febbraio all’Ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma. La bimba, che ha 8 mesi, pesava 5 chili e non cresceva regolarmente; viveva con il sondino nasogastrico, aveva la pelle scura e la pancia gonfia, il catetere. Era stata operata a ottobre per evitare che il suo fegato andasse in cirrosi, malattia cronica che porta alla morte, ma l’intervento non ha avuto un esito positivo. La lista d’attesa per ricevere l’organo da cadavere è molto lunga. I suoi genitori hanno un gruppo sanguigno diverso e non potevano donarglielo, invece io ho lo stesso: sapendo che altrimenti Sara non sarebbe sopravvissuta, decidere di fare questo gesto per me è stato naturale. Non mi sono neanche posta la domanda» racconta Marzia, 45 anni, sposata e con una figlia 13enne. «Dopo aver dato il consenso, a dicembre e a gennaio mi sono sottoposta a una serie di accertamenti, tutti gratuiti. Poi l’operazione, la prima nella mia vita. Mi sono ristabilita lentamente e da poco ho ripreso il mio lavoro di impiegata; il mio fegato è tornato alla grandezza originale, è un organo che si rigenera da solo in poche settimane. Lei ora sta bene: vederla sorridere e giocare, aumentare di peso e statura è la gioia più grande».
Adriana Olimpio, 48 anni, di Lecce «Ho evitato a mio marito Amedeo anni di dialisi» «Positività è il nostro motto» dice Adriana Olimpio, 48 anni, da 17 sposata con Amedeo Mauro, di un anno più grande. Entrambi leccesi, da pochi mesi sono «una sola carne» anche grazie al rene di Adriana trapiantato nel corpo di Amedeo, nato con reni policistici. «Si tratta di una patologia genetica e asintomatica che gradualmente li atrofizza, fino a non farli funzionare più a causa delle cisti che s’ingrandiscono: l’ho ereditata da mio padre, in dialisi ormai da anni» racconta lui. Nonostante la vita sana, «è arrivato il giorno in cui mio marito ha iniziato ad avere i valori del sangue sballati. Non volevo che diventasse un dializzato, come mio suocero: vivi a metà, attaccato per ore a una macchina un giorno sì e uno no» riflette Adriana. «Ho dato subito la disponibilità alla donazione di un mio rene, ma i medici hanno riscontrato una bassa compatibilità, con un alto rischio di rigetto. Allora ho detto sì anche al cross-over: potevo destinare l’organo a un’altra persona compatibile con me, e a sua volta un suo familiare compatibile con mio marito lo avrebbe dato a lui. Ma queste “catene” sono saltate per 2 volte, a causa di problemi da parte dell’altro potenziale donatore». Infine i medici del Centro regionale trapianti di Bari danno l’assenso per l’intervento fra lei e Amedeo, perché nel frattempo, grazie a progressi nelle ricerche e a nuovi farmaci, si erano abbassati i rischi del rigetto. «L’operazione è avvenuta il 16 gennaio» dice lei. «Dopo 2 settimane ero di nuovo al lavoro. E ora siamo ancora più forti, uniti».