In Sicilia si è aperta una nuova frontiera per i trapianti d’organo. Ed è nata una speranza in più per tante donne che fino a oggi non potevano nemmeno immaginare di restare incinte.

Il primo trapianto di utero in Italia

Il 22 agosto, al Policlinico di Catania, si è concluso con successo il primo trapianto di utero: a riceverlo una 29enne con la sindrome di Mayer Rokitansky Kuster Hauser, malattia rara congenita che colpisce una neonata su 4.000-5.000 e che comporta l’assenza o il mancato sviluppo dell’utero. L’organo trapiantato arrivava dalla Toscana, donato da una 37enne morta per arresto cardiaco. «Un evento storico per la trapiantologia italiana e per il Servizio sanitario nazionale, che ancora una volta dimostra il proprio livello di eccellenza sotto il profilo scientifico e organizzativo» commenta orgoglioso Massimo Cardillo, direttore del Centro nazionale trapianti. Ma come si è svolto l’intervento? «Prima abbiamo asportato gli abbozzi di utero, poi siamo passati al trapianto, con la delicata connessione di vene e arterie, e infine abbiamo provveduto alla stabilizzazione dell’organo e al collegamento alla vagina» raccontano i due medici, che hanno eseguito a quattro mani l’intervento insieme a un’équipe chirurgica. Sono il professor Pierfrancesco Veroux, direttore del Centro trapianti del Policlinico catanese e dell’Unità operativa complessa di chirurgia vascolare e il professor Paolo Scollo, direttore della divisione di ostetricia e ginecologia all’Ospedale Cannizzaro.

La gravidanza con l’utero trapiantato

Dopo il trapianto la strada per diventare mamma è ancora lunga ma ben definita. «Per due mesi la paziente farà biopsie quindicinali al collo dell’utero, per escludere un’eventuale rigetto, e visite ginecologiche di controllo. A 6-8 mesi dal trapianto si potrà procedere con l’impianto di massimo 3 ovuli fecondati» spiega il professor Scollo. E alla fine della gravidanza il parto sarà cesareo. «Qualche mese dopo la nascita del bambino, oppure dopo una seconda gravidanza o prima della menopausa, la paziente potrà sottoporsi alla rimozione chirurgica dell’utero e quindi sospendere la terapia immunosoppressiva che è stata iniziata al momento del trapianto e che è necessaria per evitare il rigetto dell’organo» assicura il medico. Un percorso complesso ma rivoluzionario per le donne con un’anomalia dell’apparato genitale. «Se non vogliamo optare per l’adozione il trapianto d’utero è l’unica possibilità di avere figli per noi che nasciamo con la Sindrome di Rokitansky» racconta Maria Laura Catalogna, presidente della onlus ANIMrkhS (animrkhs-onlus.com), fondata sei anni fa per sensibilizzare su questa malattia rara e dare aiuto alle donne che ne sono affette. «Da pochi mesi è nata anche l’associazione di genitori mondoroki.it perché le ragazze non si sentano mai sole».

In lista di attesa ci sono 13 donne

Per ora il trapianto viene eseguito solo a Catania (per informazioni si può chiamare lo 0957262272-3-4 o scrivere una mail a questi indirizzi: [email protected], [email protected]). «I primi passi sono la conferma della diagnosi e una verifica per capire se ci sono le condizioni anche psicologiche: l’iter comporta un’attesa non quantificabile e non garantisce il successo della futura gravidanza» osserva il professor Scollo. «Dopo la valutazione dell’Ospedale Cannizzaro, segue quella finale del Centro trapianti del Policlinico. Se la paziente viene ritenuta idonea, viene inserita in una lista d’attesa nazionale, ad oggi composta da 13 donne». E qui comincia un nuovo capitolo del percorso.

L’iter di preparazione al trapianto

Il trapianto avverrà solo in caso di compatibilità con una donatrice deceduta. «Prima dell’intervento la paziente si sottopone alla stimolazione ormonale e al prelievo e congelamento di almeno 10 ovociti» prosegue il medico. «Lo può fare anche in una struttura nella sua città. Le probabilità che poi l’embrione attecchisca nell’utero trapiantato sono le stesse di una consueta fecondazione assistita: circa il 30 per cento».

Le esperienze negli altri Paesi «Al momento il protocollo sperimentale prevede 4 trapianti all’anno, ma se tutto andrà bene potremo chiedere di aumentarne il numero. Il rischio di rigetto dell’organo si aggira intorno al 40 per cento dei casi, ma con la terapia farmacologica di solito si risolve» aggiunge Veroux, basandosi sui casi finora studiati.

Le caratteristiche delle donatrici

L’operazione è stata tentata per la prima volta 20 anni fa in Arabia Saudita e consolidata nella tecnica chirurgica solo nel 2014; finora nel mondo sono circa 60 i trapianti effettuati, l’80 per cento da donatrice vivente, mentre in Brasile, negli Stati Uniti e ora nel nostro Paese si fa da donatrici decedute. Le donatrici in Italia devono avere da 18 a 50 anni e nessun parto cesareo. In Svezia, in 6 anni i trapianti da vivente hanno registrato 8 nascite su altrettante gravidanze in 11 pazienti. «In questi casi l’intervento può avvenire anche tra consanguinee, come madre e figlia, ma per ora in Italia non è autorizzato» conclude il professor Scollo.

Le caratteristiche delle riceventi

Secondo il protocollo sperimentale approvato dal Centro nazionale trapianti nel giugno 2018, alle potenziali candidate al trapianto di utero donato post mortem si richiede: età compresa tra i 18 e i 40 anni, niente figli, funzionalità delle ovaie, nessun tumore pregresso. Inoltre le pazienti devono essere affette da sindrome di Rokitansky (mancata o parziale formazione dell’utero) o di Asherman (aderenze che impediscono l’annidamento dell’embrione). Oppure devono aver subito un’isterectomia a causa di un’inadeguata contrazione dell’utero dopo il parto, con una conseguente emorragia che ha reso necessaria l’asportazione dell’organo.
La coppia deve rispondere ai requisiti legali previsti in Italia per la procreazione medicalmente assistita: dev’essere coniugata o convivente, eterosessuale, con entrambi i membri maggiorenni e viventi.