Se non ci sorprende vedere l’Italia ancora una volta tra gli ultimi paesi riguardo alla parità di genere (lo dice la sesta edizione del Gender Equality Index), invece ci incuriosiscono una nuova classifica e un nuovo titolo: quello delle “città per le donne”.

Da dove viene la nuova classifica

La nuova classifica proviene da quella annuale de Il Sole 24ore sulla qualità della vita nelle nostre città. Nell’edizione 2021 sono stati scorporati alcuni indici che hanno composto la nuova mappa dell’Italia amica delle donne. Il risultato è che al primo posto si trova Treviso, a seguire nella top ten province medie e piccole del centro Nord. Le uniche grandi città sono Firenze (al quinto posto) e Bologna (al decimo).

Gli indici utilizzati

Gli indici di cui si è tenuto conto sono parecchi e variegati: la speranza di vita alla nascita, il tasso di occupazione delle donne e l’occupazione giovanile; il gap occupazionale di genere; il tasso di mancata partecipazione al lavoro; il gap retributivo tra uomini e donne; il numero di imprese femminili; gli amministratori donne, sia nelle imprese sia nei Comuni; le violenze sessuali; le performance nello sport; le prestazioni olimpiche.

Da dove arriva il primato

Treviso è al primo posto per speranza di vita alla nascita, al quarto per le performance femminili nello sport, al quinto per tasso di occupazione giovanile, al sesto per medaglie olimpiche, al nono per numero di amministratrici donne. Una donna, non a caso, è all’Assessorato alle Politiche sociali, Famiglia e Pari opportunità, Gloria Tessarolo. Ci spiega che Treviso investe da anni nelle donne, a partire dalla politica, con tante amministratrici ai vertici: «Il sindaco ha aspettato che io tornassi dalla maternità per iniziare i lavori della Giunta». Non sempre – va detto – in Italia accade, anche se per legge una donna mantiene il posto durante la maternità. «Abbiamo avviato diversi progetti soprattutto per aiutare le donne over 40 a reinserirsi al lavoro e sosteniamo la famiglia e la genitorialità con tre consultori, due asili nido comunali e poi spazi gratuiti per genitori e nonni, con incontri di informazione e supporto psicologico». Il tempo pieno però nelle scuole di Treviso non è previsto. «Chi ha bisogno può contare sulle scuole paritarie o una fitta rete di associazioni». Si tratta di servizi a pagamento.

L’accesso al credito resta difficile e i servizi da migliorare

Forse le donne non lavorano a tempo pieno? O forse non c’è offerta perché non esprimono il loro bisogno? Lo chiediamo a Valentina Cremona, presidente di Terziario Donna di Confcommercio, il settore dove le donne lavoratrici qui sono più numerose: «Moltissime donne lavorano a tempo pieno e sono impiegate nel commercio e turismo. Delle 16mila imprese femminili (il 20 per cento rispetto a quelle maschili), più della metà sono nei settori moda e abbigliamento e nella ristorazione, i più colpiti dalla crisi. Molte imprese hanno chiuso. Sono in crescita le libere professioniste ma tra luci e ombre, perché è vero che da noi ci sono molte aziende e opportunità di lavoro, ma restano per le donne i problemi di conciliazione, accesso al credito e servizi di supporto per chi ha famiglia. Ancora oggi a una donna che chiede un prestito in banca per fare impresa viene chiesto di venire con il padre, il marito o il fratello».

Su lavoro e stipendi il podio non c’è

La realtà insomma è molto più sfaccettata di quanto i dati non rappresentino, anche perché per valutare la qualità della vita non conta solo quanto si vive, ma come, cioè le opportunità che si possono cogliere a partire proprio dal lavoro, il guadagno, la cosiddetta “conciliazione”, la cittadinanza attiva. E qui la città perde il podio, e di parecchi punti. Scopriamo infatti che Treviso è tra gli ultimi posti per il numero di amministratrici di imprese (con un indice di 101 sul totale di mille, che spetta invece a Savona) e come imprese femminili ha un indice di 99 (in cima troviamo Benevento). Il gap retributivo di genere (cioè la piaga non solo italiana del divario tra lo stipendio maschile e quello femminile a parità di lavoro) vede Treviso al 64esimo posto, al 50esimo per il gap occupazionale, al 29esimo per il tasso di occupazione femminile, al 20esimo per mancata partecipazione al lavoro. Com’è possibile?

Il calcolo è fatto su una media

Ci facciamo aiutare da Laura Oliva, Ceo (carica ricoperta in Italia da donne solo nel 23 per cento dei casi) di Ekuota, società fintech di Risk management. «II podio si spiega considerando il risultato come frutto di una media di dodici indicatori. Al primo posto di ciascun indicatore è attribuito un punteggio pari a 1000 e ai successivi piazzamenti vengono assegnati man mano sempre meno punti.. A Treviso quindi le donne vivono tanto, in media 86 anni: curioso che si rilevi questo indice, quando in Italia tutti accedono a cure d’eccellenza gratuitamente e comunque l’aspettativa di vita femminile nazionale è già altissima, 84,4 anni. Di sicuro le donne qui lavorano: il 62,7 per cento sono occupate, il 40 per cento delle giovani anche. Peccato che poi guadagnino il 33 per cento meno degli uomini e pochissime siano imprenditrici (solo il 20 per cento). Correggo, solo il 22 per cento sono amministratrici di azienda e solo il 20 per cento sono le imprese al femminile. Non viene poi considerato il numero di donne laureate o diplomate, né quelle che hanno un conto corrente o una carta di credito oppure una macchina. Invece ci sono tante donne in politica, il 39,5 per cento, ed è un valore alto. Speriamo che queste donne capiscano che occorre migliorare le condizioni delle lavoratrici».

Va sottolineato il lavoro delle donne artigiane

C’è un altro aspetto da considerare. L’alto tasso di occupazione giovanile (per cui la città è al quinto posto) è legato alla struttura del tessuto economico, come spiega Barbara Barbon, presidente del Comitato per l’imprenditoria femminile della Camera di Commercio, l’altra anima imprenditoriale del trevigiano. «L’humus economico è molto vario e ricco, si spazia dalle grandi alle piccole imprese. Moltissime sono medio piccole, a conduzione familiare. Vuol dire che l’intraprendenza e la capacità di lavoro si tramandano nel dna, per cui per molti giovani è normale aprire la propria attività dopo aver lavorato in famiglia». Il trevigiano, non a caso, è ricchissimo di incubatori e start up. «È proprio in queste attività medio-piccole, piuttosto che in una grande impresa o nell’industria, che i giovani possono esprimere talenti e vocazioni, sviluppando idee e progetti. E questo spesso vuol dire rinunciare agli studi che però, soprattutto le donne, riprendono magari a 50 anni, un fenomeno oggi molto diffuso. Come sempre più di frequente le donne chiudono e aprono attività, magari semplicemente per vendere artigianato creato da loro». Ma anche se le imprese femminili sono solo il 20 per cento, l’eccellenza artigianale è di casa. «La qualità delle imprese, anche piccolissime, è molto alta. Questo però l’indice non lo rileva».

La classifica è in evoluzione

La fotografia rilasciata della classifica dev’essere considerata un flash, uno scatto rubato a una realtà in rapidissima evoluzione perché sono molte le aziende femminili che chiudono, come quelle che aprono, soprattuto adesso. Ce lo conferma Francesca Neroni, leader in uscita della Rete al femminile, una serie di associazioni di donne attive sul territorio, che sta lavorando al “Festival Treviso Città per le donne”, un evento utile per celebrare i talenti della città ma anche per evidenziarne le criticità, con l’obiettivo finale di renderla sempre più “per” le donne e non solo “delle” donne. «Treviso è la candidata ideale per diventare la “città dei 15 minuti”, con i servizi a portata di mano. Ma i servizi ci devono essere: occorre tenere i negozi aperti in pausa pranzo, istituire il tempo pieno nelle scuole, potenziare le RSA (presenti ma molto costose). Come nel resto d’Italia anche qui il lavoro di cura è in capo alle donne, schiacciate tra il caregiving ai genitori e i figli». È sempre più chiaro, insomma, che la “città per le donne” è quella che deve conciliare, andando per prima incontro alle esigenze femminili: non sono le donne che devono adattarsi.