Una donna su quattro tra coloro che hanno tumore al seno soffre anche di annebbiamento mentale. A mostrarlo è uno studio, pubblicato su Pyscho-Oncology, che ha analizzato tutte le ricerche condotte finora su questo tema, cioè sugli effetti che il cancro – e in particolare quello al seno – ha sulla mente.
Si tratta di un approfondimento e una conferma sull’esistenza della cosiddetta fatigue da tumore, uno dei sintomi più debilitanti del cancro e delle terapie usate per combatterlo, come radio e chemioterapia, ma anche cure endocrinologiche. In alcuni casi scompare al termine dei trattamenti, mentre in altri può continuare a manifestarsi.
In cosa consiste e come ridurre gli effetti di annebbiamento e senso di confusione.
Cos’è la fatigue da cancro
In termini generali si tratta di una forma di stanchezza estrema e persistente che rende difficile svolgere le attività quotidiane più semplici, ma che in genere scompare dopo un periodo adeguato di riposo (in caso di fatigue acuta). Se invece persiste si parla di fatica cronica. Spesso è legata alla somministrazione dei farmaci, come la chemioterapia, ma oltre a portare con sé stanchezza, spesso è associata alla difficoltà nel concentrarsi, nel prestare attenzione, persino nel parlare o ricordare le cose. La sensazione, come riferiscono molte donne con tumore al seno, è quella di di “avere la testa vuota”. Si può arrivare anche ad avere disturbi del sonno e sentirsi emotivamente instabili o inadeguati.
I disturbi colpiscono il 65% delle pazienti
La stanchezza da cancro colpisce il 65% dei pazienti con tumore e non si limita al periodo delle cure: nel 40% dei casi la si avverte al momento della diagnosi, per poi crescere fino all’80/90% e rimanere un sintomo di malessere anche dopo la guarigione nel 20% dei pazienti. A essere particolarmente colpite sono le donne sottoposte a chemio e radioterapia o a cure ormonali per il tumore al seno. A confermare l’urgenza di interventi mirati a sostegno di chi soffre dei disturbi collegati ai trattamenti per cancro è l’arrivo recente delle prime “Linee guida europee sulla diagnosi e il trattamento della fatigue”, messe a punto da un team guidato da Alessandra Fabi, oncologa e responsabile dell’Unità di Fase 1 e Medicina di Precisione dell’Istituto Nazionale dei Tumori Regina Elena di Roma. Approvate dall’European Society of Medical Oncology, sono considerate uno strumento prezioso a disposizione dei medici oncologi: «Quello della stanchezza e affaticamento da cancro è un fenomeno importante che deve essere preso in considerazione per tempo, prima che diventi una vera e propria sindrome cronica. Purtroppo colpisce soprattutto le donne per motivi legati anche al tipo di cure» spiega il prof. Massimo Bonucci, oncologo, fondatore e Presidente dell’ARTOI (Associazione Ricerca Terapie Oncologiche Integrate).
Tumore al seno: le cause dell’annebbiamento mentale
Qual è il motivo per cui soprattutto il tumore al seno è associato a senso di confusione e annebbiamento mentale? «I motivi sono diversi, sia di natura fisica che psicologica. Per quanto riguarda il primo aspetto, è noto da qualche tempo che il tipo di cure seguite, come la chemioterapia, porta con sé una riduzione dell’attenzione, della capacità di concentrazione, ma anche in parte della memoria. Questo avviene perché durante il trattamento inevitabilmente si perde una certa parte di neuroni che, a differenza dei tessuti muscolari, non possono contare su una rigenerazione, quindi non si possono ricreare – spiega Bonucci – Lo stesso accade con le terapie ormonali utilizzate per il tumore alla mammella».
«Tra gli altri fattori che concorrono alla fatigue, però, ce ne sono di natura psicologica. Non dobbiamo pensare, infatti, che si tratti di semplice “fatica”, stanchezza o astenia, che pure ci sono e sono causate anch’esse dalle cure e dall‘anemia che ne consegue. A pesare è anche il solo pensiero del percorso di terapia che si deve affrontare, fin dal momento della diagnosi della malattia» spiega l’oncologo presidente di ARTOI.
Gli effetti possono durare anni
In genere con la fine della terapia si torna a una condizione fisica normale e si “recuperano le forze”. Ma fatigue mentale può proseguire per anni. «Lo studio della dottoressa Fabi ha analizzato il fenomeno nel tempo e ha mostrato come può persistere anche dopo 10 anni o più. A incidere, per esempio, può essere anche solo il ricordo dei luoghi frequentati durante la malattia e dove si torna per il follow up, i controlli post guarigione – spiega ancora Bonucci – Per questo è importante intervenire subito: in questo senso sta cambiando anche l’approccio da parte del medico, che in passato aveva una percezione differente del disturbo e lo sottostimava». Un esempio è un bando della Regione Toscana per finanziare progetti di aiuto ai pazienti e alle pazienti; tra quelli che hanno vinto ce n’è uno, messo a punto dal dottor Elio Rossi, responsabile dell‘Ambulatorio medico di Omeopatia dell’Ospedale di Lucca, sull’uso delle medicine complementari naturali: «È in corso uno studio e come ARTOI lo certificheremo, non appena terminato» spiega Bonucci.
Gli aiuti contro la fatica mentale
Cosa si può fare per ridurre il senso di stanchezza e affaticamento mentale durante e dopo una terapia? «L’intervento non può essere farmacologico, serve piuttosto l’aiuto dello psico-oncologo, figura ormai presente durante i percorsi di terapia. È lui a poter affrontare le problematiche nascoste nel paziente e a farle emergere prima che si stratifichino e diventino più serie, almeno quelle di natura psicologica. Sempre in questa direzione, possono essere d’aiuto tutte le tecniche di mindfulness e in genere le tecniche che fanno ricorso a mente e corpo: in particolare yoga e shiatzu che si basano su semplici esercizi fisici aerobici da seguire fin dalle fasi iniziali della malattia, anche in assenza di sintomi da fatigue» conclude Bonucci.