Gli screening per il tumore al seno non si interromperanno se dovesse esserci una terza ondata di Covid-19. Gli ospedali si sono organizzati sia per le pazienti sintomatiche, che per la prevenzione vera e propria
L’esempio di Bari
«A marzo 2020 non eravamo pronti a gestire la pandemia. In tutti gli ospedali italiani sono state sospese le attività non urgenti, inclusi gli screening delle pazienti asintomatiche. Ma ora ci siamo riorganizzati» afferma Marco Moschetta, direttore della Brest Unit del Policlinico di Bari. «Abbiamo trascorso l’estate a rivedere il modo in cui lavoriamo nella Brest Unit applicando i nuovi PDTA (Percorsi diagnostico terapeutico assistenziali) con regole di distanziamento, nuovi percorsi direzionali di ingresso e uscita, inserimento di altro personale in modo da aumentare i turni di lavoro e, di conseguenza, gli orari di erogazione dei servizi della Breast Unit».
Macchinari all’avanguardia
Proprio a febbraio 2020 nell’Unità operativa di senologia del Policlinico di Bari erano stati inaugurati quattro nuovi mammografi digitali 3D all’avanguardia, grazie ai quali ottenere immagini più nitide e diagnosi più rapide per il rilevamento del carcinoma mammario. «Durante la prima ondata di Covid abbiamo proseguito le prestazioni alle pazienti sintomatiche a ritmi serrati anche grazie a questi macchinari più performanti e veloci: nel 2020 la nostra unità ha svolto lo stesso numero di operazioni del 2019» aggiunge Moschetta. «E anche per quanto riguarda l’attività di screening non ci faremo cogliere impreparati: se ci sarà una ipotetica terza ondata, le donne potranno venire a fare gli screening in totale sicurezza come stanno facendo adesso. Noi siamo dalla parte delle donne, ed è bene ricordare che i tumori non si fermano a causa del Covid. L’attività di prevenzione è più importante che mai anche in questo periodo» conclude Moschetta.
Della stessa opinione è Saverio Danese, direttore dell’Ambulatorio Sant’Anna Breast Unit /Pelvi /DH Oncologico di Torino, il primo ambulatorio per la prevenzione dei tumori nelle pazienti ad alto rischo: «Nel caso in cui arrivi la terza ondata della pandemia non escludo il rischio di rallentamento delle attività di screening, ma non sarà ai livelli di prima perché ora siamo preparati: l’uso di dispositivi di sicurezza e il distanziamento sociale consentono di svolgere tutte le attività senza rischio di contagio. Non bisogna dimenticare che qualche screening in meno significa qualche tumore in più diagnosticato tardivamente».
Prima ondata: troppi ritardi nelle cure e nella prevenzione
Le cose non erano andate esattamente così a marzo 2020, quando la pandemia aveva costretto il Servizio Sanitario Nazionale a concentrare tutte le sue energie nel contrasto al virus e nell’assistenza ai malati di Covid-19, provocando inevitabili ritardi nell’erogazione delle cure ai pazienti oncologici. I ritardi si sono accumulati un po’ in tutti i settori legati all’oncologia, ma in particolare in quello della prevenzione del tumore alla mammella. Una situazione che non poteva protrarsi oltre: «I tumori non vanno in quarantena e ora dobbiamo recuperare il tempo perduto» scriveva il Ministro della Salute Roberto Speranza nella prefazione alla decima edizione de “I numeri del cancro in Italia”.
Prevenzione solo per un terzo delle donne
L’allarme relativo agli screening senologici era stato lanciato lo scorso autunno da un rapporto a cura di Fujifilm Europe GmbH, Medical System Division che aveva analizzato la situazione in Regno Unito, Germania, Francia, Spagna, Italia, Turchia, Portogallo. Durante la prima ondata, fra marzo e giugno 2020, tutti i Paesi europei avevano sospeso gli screening relativi al tumore del seno in seguito alla chiusura delle Breast unit degli ospedali: moltissime donne non si sono sottoposte alla mammografia, neanche in presenza di sintomi. Secondo i medici intervistati fra settembre e ottobre 2020, l’impatto del Covid-19 ha ridotto drasticamente l’accesso alle Breast unit. In alcune zone, le pazienti che si sono sottoposte fra gennaio e ottobre 2020 agli screening sono state solo 1/3 rispetto all’anno precedente.
Le donne avevano paura dell’ospedale
Questo trend è stato confermato da Giordano Beretta, presidente dell’AIOM (Associazione italiana di oncologia medica), durante l’ultimo congresso della Società Europea di Oncologia Medica (ESMO): nei primi 5 mesi del 2020 in Italia sono stati eseguiti circa un milione e quattrocentomila esami di screening in meno rispetto allo stesso periodo del 2019, di cui 2.099 relativi proprio alla mammella. A giugno 2020 sono ripresi gli screening, seppure a rilento e con una grande mole di lavoro da recuperare, ma molte donne non hanno partecipato ai programmi di screening per paura di contrarre il Covid in ospedale.
È emergenza anche per il tumore al colon
La situazione è simile in altri Paesi pesantemente colpiti da Covid-19: secondo le stime del National Cancer Institute (NCI), nei prossimi 10 anni negli Stati Uniti ci saranno circa 10.000 morti in più per tumore del seno e del colon-retto, dovuti ai rallentamenti di screening e trattamenti. Si ipotizza che nel Regno Unito il ritardo diagnostico causato dall’interruzione e dal rallentamento dei servizi sanitari potrebbe essere la causa di un aumento della mortalità nei prossimi 5 anni superiore fino al 16,6% per i tumori del colon-retto e al 9,6% per la mammella rispetto al periodo pre Covid-19.
Il tumore al seno è il più frequente tra le donne
Secondo il report Aiom-Airtum “I numeri del cancro in Italia 2020”, il tumore al seno è la neoplasia più frequentemente diagnosticata nelle donne in Italia, pur con percentuali diverse: dal 41% nelle donne sotto i 50 anni al 22% in quelle di 70 o più. Le nuove diagnosi del 2020 sono state 54.976, ossia il 30,3% di tutti i tumori femminili. Grazie allo screening e alla maggior consapevolezza da parte delle donne, la maggior parte dei tumori maligni mammari è diagnosticata proprio grazie ai controlli di prevenzione in fase iniziale, quando il trattamento chirurgico può essere più spesso conservativo e la terapia adottata più efficace permettendo di ottenere sopravvivenze a 5 anni molto elevate (87%).
Lo screening riduce del 25% la mortalità
Dobbiamo ringraziare anche gli screening se oggi sono 834.200 le donne viventi in Italia nonostante una diagnosi di tumore della mammella. I dati di uno studio pubblicato nel settembre 2012 sul Journal of Medical Screening e che ha passato in rassegna le ricerche sui programmi di screening per il cancro al seno attivi in Europa, mostrano che la mortalità si riduce del 25% per le donne che si sottopongono allo screening.
Come funziona lo screening gratuito
Lo screening per la diagnosi precoce del tumore mammario consiste in una mammografia che si svolge ogni 2 anni. È organizzato dalle Regioni, è gratuito e coinvolge la popolazione femminile di un’età compresa fra i 45 e i 74 anni, con fasce di età che variano a seconda delle Regioni. A seconda delle modalità previste dal programma regionale, la donna riceverà una lettera di invito dalla Asl di appartenenza per concordare le modalità e la data di esecuzione dell’esame. Se non sono già state contattate, le donne in questa fascia di età possono anche prenotare uno screening attraverso il CUP.
Presto faremo lo screening con una app
Presto sarà possibile diagnosticare il tumore al seno attraverso una semplice analisi dell’urina grazie a Blue Box, l’invenzione di Judit Girò Benet, ingegnere biomedico dell’Università di Barcellona che ha vinto il James Dyson Award 2020. Blue Box esegue un’analisi chimica del campione di urina e trasmette i dati tramite cloud. L’algoritmo basato sull’intelligenza artificiale reagisce a metaboliti specifici presenti nelle urine, fornendo all’utente una diagnosi. Il dispositivo è collegato a un’app che controlla tutte le comunicazioni inviate dal sistema alle utenti e, nel caso in cui il campione risulti positivo, le mette in contatto con un operatore sanitario.