Aveva appena 27 anni ed era reduce da due notti consecutive di turno in ospedale, dove lavorava da tre settimane. Sara Viva Sorge era uscita dalla clinica alle 6 del mattino quando ha perso il controllo dell’auto in provincia di Brindisi. Questo l’ultimo Whatsapp al fidanzato prima di lasciare l’ospedale: «Ho finito ora, sono stanca morta»
Una morte sul lavoro, secondo i sindacati della struttura, che avevano denunciato più volte la pressione a cui sono sottoposti medici e infermieri: «Spesso il carico di lavoro è al limite, per questo è incomprensibile un turno di lavoro lungo e con due notti consecutive». Da qui anche la minaccia di uno sciopero a breve per la categoria dei sanitari, messa a dura prova dall’emergenza Covid in corso, ma anche tra le più colpite dagli effetti del lavoro su turno. Che questa condizione organizzativa sia pesante è ben noto, tant’è che la sindrome da turnisti è una vera e propria malattia professionale. Ma adesso uno studio dimostra che i turni che iniziano con la notte per poi proseguire il pomeriggio – e quindi al mattino – sono ancora più difficili da sostenere per l’organismo.
La nuova ricerca sui turni negli ospedali
Lo studio, pubblicato di recente, è stato condotto dalla Sapienza di Roma con il Santa Lucia IRCCS della capitale e l’Università dell’Aquila. Ha analizzato gli effetti e le differenze tra turni orari (mattino-pomeriggio-notte) e antiorari (notte-pomeriggio-mattino). È stato effettuato su 144 infermieri di 5 ospedali del Centro e Sud Italia – Lazio, Toscana, Campania e Basilicata – dove il personale sanitario è stato seguito per oltre due anni e mezzo, prima della pandemia, da luglio 2017 a febbraio 2020. C’è da immaginare che, se fosse condotto oggi, avrebbe risultati ancora più drammatici, visto il carico di lavoro e la pressione su tutti i sanitari. «Il lavoro su turni ha di per sé conseguenze già pesanti, ben prima della pandemia. Che sono maggiori quando si tratta di una rotazione antioraria (la cosiddetta BRS- Backword-rotating Shift), cioè la settimana che inizia con il turno di notte il primo giorno e poi prosegue con il pomeridiano e quindi con il mattutino» spiega Luigi De Gennaro, professore ordinario presso la Facoltà di Medicina e Psicologia dell’Università La Sapienza di Roma, coordinatore del lavoro.
Lavorare su turni fa ammalare
Si sa che lavorare su turni è pesante, ma dalla ricerca è emerso che la turnazione antioraria ha generalmente effetti peggiori rispetto a quella oraria. «Abbiamo visto – spiega De Gennaro – che provoca stanchezza e sonnolenza maggiori e, soprattutto, un minor livello di attenzione costante, che sono già le caratteristiche della cosiddetta sindrome da turnisti e che con i turni antiorari può aumentare». Ma cos’è la sindrome da turnisti? «Rappresenta una vera malattia professionale, che colpisce chi lavora per molti anni su turni con disturbi gastrointestinali, da stress o da sonno, alterazioni del sistema immunitario, ansia, a volte depressione o problemi relazionali fino ad arrivare a conseguenze “sociali”, come l’aumento di separazioni e divorzi» spiega De Gennaro.
Qual è il turno peggiore
Lo studio ha mostrato che questi sintomi sono generalmente più marcati in chi segue una rotazione antioraria, per esempio iniziando il turno dall’orario serale: per esempio dalle 20 alle 4 del mattino il primo giorno di lavoro, per proseguire con un turno pomeridiano il secondo, uno al mattino al terzo, ecc. È proprio quello che spesso accade negli ospedali, ma perché ci si stanca di più? Il motivo è semplice ed è legato a quanto accade con il jet leg, in particolare quando si vola verso est. Di solito l’effetto sono disturbi come insonnia o sonnolenza perché si va ad alterare il ritmo circadiano, ossia l’alternanza tra sonno e veglia nell’arco delle 24 ore. «In realtà siamo più propensi ad allungare la giornata, cioè è meno faticoso per il nostro organismo allungare la veglia di un’ora o anche di più, invece che anticipare l’orario del sonno. Per questo, volando verso est e dunque anticipando il nostro ritmo biologico, facciamo più fatica ad adattarci».
Gli errori in medicina sono la terza causa di morte
Il nuovo studio sottolinea l’importanza del rispetto di un corretto riposo, per evitare conseguenze sia a livello individuale che sociale: «Una ricerca condotta un paio di anni fa negli ospedali americani indicava che la terza causa di morte in assoluto, dopo problemi cardiovascolari e tumori, sono gli errori in medicina, la maggior parte dei quali imputabile al carico di lavoro e alla sua organizzazione. Negli Usa i turni orari sono perfino più lunghi delle 8 ore previste, ma è auspicabile anche da noi il ricorso a qualche contromisura» conclude l’esperto.