Con questo articolo inizia la collaborazione tra Donna Moderna e The Submarine, il magazine online che si occupa di storie urbane, cultura, musica e tecnologia. Periodicamente pubblicheremo, sia sulla carta che online, contenuti ad hoc pensati insieme e scritti dalla redazione di The Submarine in esclusiva per il nostro giornale.
Ci concentreremo in particolare sul web, sulle sue novità e su come, pur non essendone il responsabile, sia diventato il veicolo di una serie di comportamenti a rischio: dal voyeurismo allo spaccio di stupefacenti sempre nuovi, dal cyberbullismo alla diffusione delle fake news. Buona lettura!
Il dark web, ovvero l’altra faccia della Rete
Quando pensiamo a Internet, è facile immaginarlo come una somma di Facebook e dei principali siti a cui accediamo attraverso le nostre ricerche su Google. Qualche blog di ricette, le homepage di una rivista o un quotidiano, magari Instagram dal cellulare. Fuori da questi sentieri battuti c’è però un altro mondo. Non solo la Rete che conosciamo è una percentuale infinitesimale di quella esistente, ma anche tutti gli spazi online che possiamo raggiungere tramite i motori di ricerca costituiscono la piccolissima parte di un universo ancora più vasto: è quello che sempre più spesso i media chiamano deep web o dark web, usando i due termini come sinonimi. In realtà le cose non stanno proprio così.
È nato negli anni ’90
Deep web e dark web sono spazi diversi. Il primo termine indica una moltitudine di siti aperti, anche se non raggiungibili dai motori di ricerca, ma non necessariamente associati ad attività illecite. Cosa che invece accade quasi sempre con il secondo. Molte delle storie terribili di cui leggiamo nelle pagine di cronaca e proprio su Internet si sviluppano, o almeno nascono, nel dark web, descritto come una sorta di vicolo malfamato di Internet, dove si annida il peggio dell’umanità: pedofili, spacciatori, terroristi e, secondo qualcuno, anche killer a pagamento. Ma persino il dark web come lo conosciamo oggi, che per ragioni stupide ha nel nome questa fascinazione gotica per l’oscurità (dark significa proprio “oscuro”), non è nato con intento criminale. Anzi, è stato creato con finalità opposte.
Che cos’è il Tor Project
Tutto nasce con l’invenzione di Tor (acronimo di “The onion route”, cioè la via della cipolla, termine statunitense che indica le strade di campagne meno battute). Si tratta di un software messo a punto dal matematico Paul Syverson e dagli ingegneri Michael G. Reed e David Goldschlang per la Marina militare statunitense. Erano gli anni ’90, e la necessità era garantire la piena sicurezza delle comunicazioni dell’intelligence americana. Tor fa proprio questo: «In pratica è un browser gratuito che permette all’utente di navigare online garantendogli privacy e anonimato» spiega Stephanie Whited, direttrice delle comunicazioni di Tor Project, organizzazione non profit che si occupa di creare e distribuire il software. «È costruito modificando Firefox, per cui è facile da installare e può essere trasportato di computer in computer con una semplice chiavetta usb» continua l’esperta.
Permette di navigare in incognito
Per ragioni che nessuno conosce, dopo i primi anni di utilizzo come strumento di intelligence militare, il governo statunitense decide nel 2002 di rendere Tor pubblico e gratuito, e nel 2006 il suo sviluppo viene assegnato alla Electronic Frontier Foundation, un’altra Ong principalmente finanziata da Stati Uniti e Svezia. Oggi Tor è per tutti e le stime più attendibili parlano di 6 milioni di navigatori anonimi che si connettono ogni giorno in tutto il mondo. Ma se nella maggior parte dei casi si tratta di persone “normali” che magari vogliono proteggersi dalla raccolta dati a fini pubblicitari, o di giornalisti e attivisti politici che hanno necessità di aggirare le censure politiche (è accaduto in Egitto e Tunisia durante le primavere arabe, in Turchia dopo la repressione governativa del 2016 e succede quotidianamente in Paesi come Cina e Pakistan), c’è anche chi è interessato soprattutto a un’altra funzione di Tor. «Installando Tor su un computer non solo è possibile navigare in più o meno completo anonimato » continua Stephanie Whited «ma anche raggiungere una serie di siti Internet altrimenti nascosti». Il dark web, appunto.
Qual è la differenza con il “deep” web
Spesso confuso con il dark web che, come abbiamo spiegato, indica siti criptati e raggiungibili con navigazione anonima, il “deep” (letteralmente “profondo”) web è invece solo l’insieme dei siti che pur essendo in chiaro, navigano sotto la superficie. Non sono cioè riconosciuti dai motori di ricerca, ma restano aperti e in teoria visibili a chiunque, anche se per raggiungerli occorre conoscerne l’indirizzo esatto oppure accedere da computer autorizzati a farlo (è il caso degli indirizzi con il prefisso https, dove la “s” sta per secured). Quello del deep web è un universo grande fra le 400 e le 500 volte l’Internet di massa, ma che non nasconde quasi mai materiale illegale. Fanno parte del deep web, per esempio, le nuove pagine che nascono quotidianamente e hanno bisogno di qualche tempo prima di essere indicizzate da Google. O ancora quelle che ospitano archivi, cartelle cliniche, banche dati, server di posta aziendali, forum accessibili solo agli iscritti e così via.
È un bazar dell’illecito
Molti dei “servizi nascosti” a cui si può accedere da Tor, però, sono davvero bocche dell’inferno. Colpa, o merito, di una particolare connessione detta “a nodi” che cancella l’ultimo tratto di strada digitale percorso, e di strumenti che, oltre a renderle anonime, spesso cancellano le transazioni in pochi minuti. Ecco perché, inevitabilmente, negli angoli più oscuri della Rete parallela si può comprare e vendere di tutto: droga, armi, esplosivi, auto rubate, materiale pornografico, medicinali, soldi falsi, password, auto rubate, finte lauree, piantine di edifici pubblici con tanto di codici per disattivare portone e telecamere. Per questo motivo Tor è monitorato, sempre in incognito, anche dalle forze dell’ordine e dai servizi segreti di tutto il mondo, oltre che dai criminali a cui stanno dando la caccia: la sua stessa esistenza è la prova della strettissima necessità di maggiore privacy su Internet, necessità che pubblicamente grandi aziende e governi disconoscono.
Pedopornografia e soldi falsi: due casi esemplari
Forse l’esempio piú recente del gioco di guardia e ladri che si consuma quotidianamente sul dark web è quello di Childs Play, il piú grande forum di pedopornografia online. In un’inchiesta senza precedenti, il giornale VG ha scoperto che l’intero sito era stato trasformato in un’operazione sotto copertura dalla polizia australiana, in collaborazione con le autorità Statunitensi. La polizia americana aveva arrestato i due creatori e gestori del sito internet, ma invece di chiuderlo, ne ha passato completamente la gestione ai detective australiani, i quali non si sono limitati a lasciare il sito accessibile, ma hanno vestito i panni dei due amministratori del sito, arrivando al punto di incoraggiare i produttori di materiale pedopornografico a caricarli su internet. In Italia è degna di nota l’operazione “fake money” (soldi falsi), condotta dalla squadra mobile di Napoli nel 2016. Due anni di indagini che hanno portato a sette arresti e al sequestro di 98mila euro di soldi falsi. Banconote contraffatte che sono tra i beni piú diffusi nei negozi del dark web italiano, insieme alla produzione di documenti falsi, per i quali era addirittura possibile “prenotare” online un servizio di appuntamento e consegna del materiale contraffatto.
È un male necessario?
Dopo essere stato cacciato da tutte le aziende che registrano domini e gestiscono spazi web, il sito di propaganda neo nazista americano Daily Stormer si è trasferito sul dark web, dove continua a pubblicare i propri articoli indisturbato e agisce come base organizzativa per eventi di strada o per operazioni di disinformazione, online e nel mondo reale. Il sito internet che per la prima volta ha reso “popolare” l’acquisto di sostanze sul dark web è stato Silk Road, chiuso dalle autorità anni fa, seguito poi da Alphabay e Hansa, anche loro in seguito chiusi. Oggi si stima che le attività illecite costituiscano circa il 40% del dark web. Eppure, la sua stessa esistenza rende il mondo piú sicuro e, in qualche modo, libero. Nel 2005, grazie a una guida tradotta in arabo e alla diffusione esplosiva dell’uso del servizio, la Mauritania decise di sospendere qualsiasi tipo di operazione di “censura” di internet, lasciando così che i suoi cittadini accedessero liberamente alla rete. Persino Facebook è sul dark web come servizio nascosto: l’azienda guidata da Mark Zuckerberg, infatti, da anni rende possibile l’accesso al social proprio attraverso Tor nei Paesi dove la censura di stato è particolarmente oppressiva. Potremmo dire che le pieghe di illegalità nel dark web sono una sorta di terribile male necessario: le tecnologie che le rendono possibili sono le stesse che garantiscono la presenza di canali di controinformazione e di organizzazione collettiva, strumenti che oggi possono fare la differenza nelle grandi battaglie democratiche in tanti Paesi nel mondo.
Le domande aperte
Sarebbe facile suggerire che la soluzione a questo dilemma passi da maggiori controlli di polizia, ma anche questo è un discorso complesso, considerando come l’accesso al web nei Paesi dove vigono regimi autoritari è essa stessa fondamentale alla democrazia. Per cui sì: sono tantissimi e giustificati i motivi per cui avere paura del dark web. Altrettante però sono le leggende metropolitane, che su stampa non specializzata o scandalistica spesso raggiungono toni da parodia. Le piú frequenti sono le storie che descrivono internet come il posto in cui è possibile assoldare assassini o assistere in diretta a omicidi trasformati in intrattenimento: niente di tutto ciò corrisponde alla realtà. Il dark web, insomma, è una contraddizione della nostra epoca e la sua storia, da arma segreta della marina statunitense a strumento pubblicamente indicato come il lato criminale di Internet, è un perfetto esempio della scivolosità delle tecnologie di informazione. Che sono un nuovo spazio della realtà e della nostra vita e che, come tali, comportano un complesso manuale d’uso di cui ancora, probabilmente, non siamo venuti a capo.