Il 24 febbraio 2023 ricorre il primo anniversario della guerra in Ucraina. Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky continua a resistere grazie al sostegno militare ricevuto dall’Occidente, mentre Vladimir Putin ammassa truppe sul campo e si prepara a una nuova offensiva. Noi vogliamo ricordare l’anniversario del conflitto con tre testimonianze, tra film e documentari.
Sean Penn: Il coraggio di Zelensky
Kiev Sotto attacco. L’intervista al presidente Volodymyr Zelensky realizzata il giorno stesso dell’invasione russa, il 24 febbraio 2022. La città di Mariupol prima e dopo le bombe. Sono alcuni momenti di Superpower, il film di Sean Penn presentato in anteprima in questi giorni alla Berlinale. Il 62enne attore e regista stava girando un documentario sul presidente ucraino quando la Russia ha attaccato. La sicurezza statunitense lo sollecitava a rientrare immediatamente, ma lui ha voluto continuare il reportage, insieme al coautore Aaron Kaufman, raccontando la stessa avventura della troupe e spostandosi gradualmente verso i confini. Ci è tornato altre volte, in seguito, per raccontare l’evolversi del conflitto.
Sean Penn e Volodymyr Zelensky
«Il mio primo appuntamento con Zelensky era proprio il 24 febbraio. Quando ci siamo visti era appena iniziata l’invasione e lui si chiedeva come tenere testa ai russi» ha raccontato Penn, che inizialmente si era interessato alla storia dell’attore diventato presidente dopo aver interpretato una serie tv profetica: Servitore del popolo, dove Zelensky è un professore di storia chiamato a sorpresa a guidare il governo. Premio Oscar per Mystic River nel 2004 e Milk nel 2009, Penn è noto per i suoi interessi politici e umanitari. Dopo il terremoto di Haiti, ha fondato Core (Community Organized Relief Effort), organismo di aiuti che ha operato di recente anche in Ucraina.
Sean Penn ha portato il suo Oscar a Zelensky
«Mi sono chiesto se non avrei dovuto prendere le armi anziché filmare soltanto» ha confessato. «Il coraggio di Zelensky mi ha commosso: rappresenta i nostri valori, l’America deve sostenerlo se non ha perso l’anima». Lo scorso novembre, gli ha anche portato il suo Oscar dicendogli: «Ci tenevo a lasciarti qui un pezzo di me. Quando vincerai la guerra me lo riporterai a Malibu». Il presidente ucraino gli ha fatto dedicare una lastra nella “Walk of the Brave”, realizzata in onore di chi ha sostenuto il Paese in guerra nella Piazza della Costituzione della capitale. «Due luoghi mi riempiono di orgoglio nella vita» ha dichiarato Sean, ringraziandolo. «I posti dove sono nati i miei due figli e Kiev». E anche tutto questo è stato documentato. (Valeria Vignale).
Alice Tomassini: Kordon
È realista, violento, anche se non c’è nemmeno una scena di guerra. Ma fin da subito capisci che Kordon è un documentario di speranza. Grazie a un’immagine che rimane impressa negli occhi e nel cuore: un campo di fiori gialli che spezza il grigio dei palazzi bombardati, che stride con la tragedia. A cogliere la forza di quel campo fiorito è la regista Alice Tomassini, 35 anni, di Roma, inserita da Forbes tra le giovani film-maker più promettenti.
Nel suo quinto documentario (che si può vedere gratuitamente il 24 febbraio in tutte le ambasciate, i consolati e gli Istituti Italiani di Cultura nel mondo) ha voluto raccontare la guerra in Ucraina da un punto di vista diverso: quello delle donne che aiutano i loro connazionali a salvarsi attraversando il confine (“kordon”, appunto, in ucraino). «Questo documentario nasce un po’ per caso» racconta Alice. Due settimane dopo l’inizio della guerra, parte come volontaria e va al confine tra Ucraina e Ungheria, uno dei principali luoghi di esodo degli oltre 7 milioni di donne e bambini che hanno dovuto lasciare il Paese. «In quei giorni bui ho pensato che sarei stata più utile come regista che come volontaria, così ho iniziato a filmare». E a raccontare le storie di Olena, Ulianna, Anastasia, Iryna e Olena: donne ordinarie ma al contempo straordinarie, che nell’emergenza decidono di fare qualcosa per gli altri.
Ucraina: le donne al confine
«Penso che sia questa la forza del mio documentario: dare nella tragedia un segnale di umanità, speranza, fiducia. Nessuna paura, nessuna forma di violenza, solo persone che aiutano altre persone» spiega Alice, che è ancora in contatto con alcune famiglie che sono venute in Italia, superando quel confine. Un confine che non è solo fisico, ma anche emotivo, che ci dovrebbe far riflettere su che cosa significhi varcare una linea tanto invisibile quanto concreta come quella che divide due Stati, lasciandosi alle spalle il proprio mondo, la propria casa, i propri affetti. «Un confine con cui anche io ho dovuto fare i conti. Avevo paura di non essere all’altezza di rispettare il loro dolore. Non sapevo qual era il limite oltre cui non potevo spingermi» conclude la regista. Quando le chiediamo che cosa le è rimasto più impresso, oltre ai fiori e al dolore, risponde: «Il silenzio che c’era su quel confine». (Marta Bonini)
Mstyslav Chernov: Un tributo alle vittime
«Riprendi qui, tutti devono sapere cosa sta succedendo alla nostra gente». La voce, concitata, è quella di un medico nell’ospedale di Mariupol, durante l’assedio nel febbraio e marzo 2022. Le ambulanze trasportano senza sosta i feriti delle bombe cadute sulla città, dei proiettili sparati sulla popolazione dai cecchini. Ci sono uomini, donne, tanti bambini. Il loro cuore smette di battere sul tavolo operatorio, tra le garze insanguinate e le lacrime delle infermiere, mentre fuori i genitori non trovano un perché. Intanto le barelle vengono spostate lungo i corridoi, perché esplodono le bombe ed è meglio stare lontani dalle finestre. L’elettricità va e viene, le medicine scarseggiano, senza gli antibiotici non si può fermare l’infezione e bisogna amputare. E poi ci sono le mamme che stanno per partorire o che hanno appena avuto un figlio in un altro ospedale colpito da una bomba. Ci sono i palazzi distrutti, persone che tra i singhiozzi dicono di aver perso tutto, altre falcidiate mentre andavano a fare la spesa.
In 20 giorni a Mariupol, il documentario che ha vinto il Sundance Film Festival 2023, il regista e fotoreporter ucraino Mstyslav Chernov mostra l’orrore della guerra appena cominciata dall’interno della città assediata (che la Russia ha poi annesso con un discusso referendum a settembre). Chernov e i colleghi Evgeniy Maloletka e Vasilisa Stepanenko sono stati gli unici giornalisti a restare sotto le bombe per documentare quello che succedeva e mandare col satellitare le loro foto e video in tutto il mondo. Alla Cnn, alla Bbc, li abbiamo visti anche nei nostri tg. «Questo film è la storia della nostra comunità, della nostra gente» ha detto il regista al Sundance. «Siamo arrivati a Mariupol il 24 febbraio 2022, proprio mentre cominciava l’assedio e abbiamo fatto il possibile affinché le informazioni non venissero bloccate. Non sono immagini facili da raccontare né da vedere, ma è importante che rimangano nella memoria. Come testimonianza, avvertimento, tributo a tutti coloro che hanno perso la vita in questa guerra». (Isabella Fava)