Parliamo con Umberto Veronesi il giorno dopo che la massima autorità internazionale in tema di cancro, lo Iarc, ha messo per la prima volta nero su bianco che la carne può causare tumori. Molti oncologi hanno smorzato l’allarme e il professor Veronesi dell’Istituto europeo di oncologia e presidente della Fondazione Veronesi, convinto vegetariano, dice la sua: «Ormai ci sono pochi dubbi che un regime alimentare povero di carne e ricco di vegetali sia più adatto a mantenerci in salute».
Ma Veronesi non si occupa solo di promozione di corretti stili alimentari e di ricerca oncologica. Da anni si impegna per quella che lui ha battezzato “medicina della persona”: umanizzare gli ospedali per curare corpo e mente. Ne parla nel suo ultimo saggio Senza paura, appena uscito per Mondadori e scritto a quattro mani con Gabriella Pravettoni, docente di Psicologia delle decisioni all’università Statale di Milano e a capo della divisione di Psicologia dello Ieo. Lo stesso Veronesi spiega qui il messaggio che vuole lanciare con questo nuovo libro.
Cos’è la “medicina della persona”? «È una medicina nuova, che ci pone di fronte a una “persona” e non a un “paziente”. Solo mettendoci nei suoi panni, avendo empatia con lui, possiamo curarlo bene. L’università, invece, non insegna come dialogare. A un medico di fretta nel corridoio, bloccato da un malato che vuole chiedergli qualcosa, io dico: devi fermarti e dare una risposta, non importa se arrivi in ritardo alla riunione. La persona è il cuore dell’attività ospedaliera».
Quando ha capito l’importanza di curare anima e corpo? «Ci ho impiegato un po’ di tempo. Negli anni ’60, all’inizio della mia carriera, era persino difficile parlare di cancro. Di questa malattia si moriva e basta. Oggi che si sono allargate di molto le possibilità di cura, ho capito che al tumore non basta sopravvivere, bisogna elaborarlo nella mente e renderlo un’esperienza non infruttuosa, per quanto difficile. Chi supera bene un cancro è una persona più evoluta, completa, che contribuisce allo sviluppo intellettuale della società e affronta meglio il senso della vita».
Perché la mente può fare la differenza? «Il grande progresso nella cura deriva dal progresso della ricerca: nuovi farmaci, tecniche e conoscenze. Ma guarire dalla malattia nel corpo non è sufficiente. Bisogna guarire anche nella testa. Se la malattia si annida in qualche angolo del cervello, ci resta tutta la vita. Oggi è facile togliere un nodulo dal seno di una donna, è più difficile toglierlo dalla sua mente. Anche dopo anni può tormentarla, creare paure, angosce e quindi infelicità. Come diceva Platone, il corpo e l’anima vanno insieme. Curare solo il primo non basta».
CHE COSA SERVE PER SUPERARE IL TUMORE
«Le sofferenze e le gioie dei pazienti mi hanno reso una persona migliore». Gabriella Pravettoni, che ha scritto con Umberto Veronesi Senza paura, sostiene le persone malate di tumore e i loro familiari. «Quello che accade dopo la diagnosi è uno tsunami, è un’angoscia dilagante, è “la fine”» spiega. «Nonostante del carcinoma al seno si guarisca nel 95% dei casi, la parola cancro evoca ancora la morte. Ma, dopo la depressione e la rabbia, si può risalire facendo perno sulle nostre risorse interiori. Costruendo un recinto attorno alla malattia: il tumore è un problema, io non sono il mio tumore. E poi imparando a usarlo come una cicatrice a cui attingere per aumentare la nostra resistenza alle difficoltà. I giapponesi, quando rompono un vaso, ne ricompongono i pezzi con l’oro. Ecco, il tumore può diventare così prezioso per la nostra vita».