Lo sconosciuto accanto a me sul tram ha dei bei capelli biondi e gli occhi verdi fissi sul suo cellulare. Filiamo dritti per la città senza che lui si accorga di nulla né alzi mai la testa: sbircio indisturbata cosa scrive o con chi chatta. Avrà sui 12 anni, è nella terra di mezzo della preadolescenza e sta passando in rassegna le foto su Instagram dei suoi 627 follower. Ha 3 profili, uno già vecchio, un altro finto in cui non posta nulla, l’unico attivo è zeppo di selfie in cui non sorride mai. Snobba Facebook («È da vecchi), non ha idea di cosa sia Snapchat, vive di WhatsApp e di parodie demenziali su YouTube. Lo sconosciuto che fa finta di non conoscermi sul tram è mio figlio grande e da circa 1 anno, cioè da quando gli abbiamo concesso l’uso dello smartphone, in casa è l’alieno. Per Natale mi ha chiesto 3 giga in più, negati. Di sera è tutto un viavai dal bagno, dove pensa di non essere visto mentre controlla le ultime notifiche.
Il sequestro del telefono è diventato la nostra arma di ricatto quotidiana
«Non studi? Dammi quel coooso! Rispondi male? Guarda che ti stacco il uaiifaaaiii (wifi)». E così via. Se un tempo gli scontri generazionali si giocavano su porte sbattute, oggi si va a finire contro un portale. E contro un equivoco di fondo: ai nostri 12-13enni le chat non servono per venire in contatto con chissà quali altri mondi – innocui o pericolosi che siano – ma per mantenere e alimentare i loro micromondi reali. Telefonare è passato di moda, ma una live chat su Instagram col compagno di banco alla sera è la prassi. Cosa si dicono? Boh: l’alieno mi sbatte fuori dalla camera. Ma così come ho deciso di non installare app di spionaggio sul suo telefono perché voglio, devo in qualche modo fidarmi di lui, mi faccio volentieri buttare fuori dalla stanza: porta o portale, una linea di confine tra i nostri mondi serve. A lui, per crescere. A me, per imparare a scontare il peccato originale dei genitori di oggi: l’ipercontrollo. Quello che ogni volta che leggo una ricerca sui pericoli del web e dell’abuso di smartphone (dal cyberbullismo alla depressione tra i teenager) mi fa venire voglia di tornare all’età della pietra, a quando a mio padre bastava un lucchetto sul telefono a disco per impedirci di appiccicarci troppo ad amiche, fidanzati e soprattutto alla sua bolletta. Sembra passato un secolo, ma non era poi tanto tempo fa.