Che fossimo di fronte a una spaccatura profonda nel Paese e non a una semplice divergenza di idee me ne sono accorta alla vigilia del primo grande ritrovo di famiglia. Nei giorni febbrili che lo hanno preceduto, la circostanza di alcuni parenti non vaccinati ha creato più scompiglio della scelta del menu. La loro presenza, sia pur subordinata a esibizione di green pass, è stata a lungo oggetto di discussione. Sospetto non tanto per la paura del contagio, quanto per quella della conversazione.
Se un anno fa a separarci erano i colori delle regioni, ma ci sentivamo uniti dal fatto di vivere un dramma globale, oggi si è alzato un muro. È come se avessimo abitato non solo gli ultimi due anni ma la vita intera su pianeti diversi senza essercelo detto. «Possibile che non riusciamo a stare una giornata senza parlare di Covid?», sono sbottata a un certo punto. «No, non riusciamo», mi è stato risposto. Ed è vero: ho iniziato a farci caso e mi sono accorta che in nessuna conversazione lunga più di un’ora negli ultimi giorni sono riuscita a dribblare il tema, tanto più alle porte della quarta ondata. E non è per mancanza di altre novità interessanti di cui parlare, ma per il fatto che ogni argomento, dalla quotidianità al futuro, si interfaccia con cio che più di ogni altra cosa sta condizionando le nostre esistenze. «Possibile allora che non riusciamo a parlarne civilmente?», ho chiesto. Silenzio. E in quel silenzio ho dovuto realizzare che i vaccinati convinti, e mi ci metto dentro, hanno iniziato ad attribuire una valenza morale alla scelta di farlo o meno. Se giornali e tv ci rimandano immagini di manifestazioni no vax poco affollate ma piuttosto aggressive, la maggioranza di loro è silente, preferirebbe non parlarne e non dover esprimere il perché della propria scelta. Chi sta davvero perdendo la pazienza sono i vaccinati.
Leggo che è stato affidato ai medici di famiglia il compito di dialogare con gli ultimi no vax, come se fosse un caso di analfabetismo, a cui porre paternalisticamente rimedio ricorrendo all’autorevolezza della scienza. Non credo che funzionerà. Penso piuttosto che il tavolo su cui porre la questione sia proprio quello delle riunioni di famiglia. Lo stesso dove da bambini, a furia di No, abbiamo imparato a distinguere l’interesse dell’individuo da quello della collettività. Oggi dobbiamo metterci d’accordo mesi prima per vederci tutti assieme, tanto siamo lontani nello spazio e nel tempo delle nostre vite. Questo acuisce la sensazione di poter vivere per sé e di non dover rispondere a nessuno delle proprie scelte. Quella di vaccinarsi o meno, però, non è una scelta individuale. È la più grande “questione di famiglia” che abbiamo mai dovuto affrontare. Parliamone, dunque.