Francesco Melis, 28 anni, dopo la laurea triennale in Scienze politiche nella sua Cagliari e si è trasferito per la specialistica alla Statale di Milano. Per mantenersi in una città decisamente più cara ha dovuto cominciare a lavorare, togliendo tempo agli studi e finendo così tra i 700.000 universitari fuoricorso in Italia. E in un Paese come il nostro, in coda alla classifica dell’Unione europea per numero di laureati (poco più del 25% rispetto a una media del 40%), il fattore ritardo pesa come un macigno. «Soltanto la metà degli studenti chiude nei tempi previsti il ciclo universitario, il 53,9% per la precisione» sottolinea Davide Cristofori, ricercatore di AlmaLaura, il consorzio degli atenei italiani. Ma perché così tanti restano indietro?
Anche i piccoli impieghi serali portano via tempo e concentrazione
Sfatiamo il mito dei bamboccioni: in molti casi il rallentamento non è dovuto alla pigrizia suggerita dall’immaginario collettivo. Proprio come è successo a Francesco, l’emigrazione universitaria, con la conseguente necessità di pagarsi un affitto, rappresenta un ostacolo se alle spalle non c’è una famiglia che copre tutte le spese. «L’80% dei fuoricorso lo è proprio perché costretto a lavorare. Spesso si tratta di piccoli impieghi, come cameriere o promoter nei supermercati ma, portando via serate e weekend, erodono tempo e serenità per mettersi sui libri» continua Cristofori. E il diritto allo studio? «Le tasse le ho sempre pagate grazie alla borsa di studio che mi spetta per il basso reddito della mia famiglia» racconta Francesco. «Ma qui a Milano non ho avuto il posto letto perché non ce ne sono abbastanza. La Statale, per esempio, ne ha circa 700 per 60.000 studenti. Così molti idonei come me restano fuori e devono pagare un affitto. Inoltre la mensa chiude al pomeriggio e quindi anche la cena è a mio carico».
Mancano programmi efficaci di orientamento a partire dalle superiori
Nel restante 20% dei fuoricorso ci sono quelli frenati da problemi personali o familiari, come la bresciana Federica Bellina, 25 anni di età e 2 di ritardo a Scienze Infermieristiche. «Quando ho cominciato l’università mia madre era appena guarita da un tumore e mio padre si era appena ammalato. Difficile tenere la testa sui libri. In più, non ero neanche sicura della facoltà scelta: a 19 anni come fai a sapere cosa vuoi fare nella vita?». Problemi personali a parte, se tanti fuoricorso restano impigliati per anni all’esame di Diritto privato o di Anatomia spesso è proprio perché hanno sbagliato direzione. «In questo caso il problema è a monte, nel deficit di orientamento di cui soffre tutto il sistema di istruzione italiano, a partire da medie e superiori. Applicarsi su quello che piace è il primo fattore di accelerazione. Se il percorso di studi non è in linea con le proprie inclinazioni, il rischio è prima andare fuoricorso e poi abbandonare» spiega l’esperto di AlmaLaurea, che ha attivato percorsi di orientamento. «Proponiamo colloqui individuali e test preparati con gli elementi delle materie che il candidato studierà nel corso prescelto, così da capire se è in linea con quel tipo di studi».
Non sempre la laurea in ritardo è un ostacolo alla carriera
In realtà, una quota di anni fuoricorso è considerata fisiologica dallo stesso sistema universitario. «Che ci avremmo messo almeno 2 anni in più ce lo disse anche il nostro professore di Anatomia quando eravamo matricole» racconta Federica. «Del mio anno solo in 5 si sono laureati in tempo». Con quali conseguenze nella ricerca di lavoro? «Un recruiter penalizza chi ha solo studiato eppure è andato fuoricorso, ma apprezza chi nel frattempo ha fatto un’esperienza di lavoro, vissuto un periodo all’estero o svolto un’attività sportiva di alto livello. Perché così dimostra serietà, impegno e capacità di perseguire più obiettivi insieme» spiega l’head hunter Francesca Contardi, consigliere di Aiceo, l’associazione italiana degli amministratori delegati. Aggiunge Antonio Di Grado, ordinario di Letteratura italiana all’università di Catania: «La logica iper produttiva spesso allontana i ragazzi dalle loro inclinazioni e da certe esperienze formative che solo gli anni universitari garantiscono. I miei studenti fuoricorso sono impegnati nell’associazionismo, hanno preso sul serio la vita. Oppure si dedicano alla tesi come a un decisivo rito di iniziazione, ed è bene che lo facciano: non si tratta di una pratica burocratica da sbrigare al più presto. Io stesso sono stato un fuoricorso: facevo politica, dirigevo un giornalino, tenevo al mio tempo libero e a quelle letture eccentriche, estranee ai programmi universitari, alle quali devo la mia più autentica formazione».
Tutor, lezioni online e manuali appositi aiutano a riguadagnare tempo
Il problema diventa serio quando gli anni di ritardo sono più di 3 o 4. «In questo caso sfuma il 12% di opportunità di trovare lavoro subito dopo gli studi» afferma Cristofori. «E in più si entra nel loop della pressione psicologica. Quando ti laurei? Ti sei poi laureato? Sono domande che a un certo punto non si possono più dribblare. Soprattutto se nel frattempo si entra nel mondo del lavoro circondati da colleghi che la laurea l’hanno presa oppure in un ruolo che richiede un titolo che non si possiede» spiega Roberto Cavallo Perin, ordinario di Diritto amministrativo all’università di Torino, dove il dipartimento di Giurisprudenza ha attivato un progetto per recuperare i ritardatari cronici (anche in altre università ci sono tutor e sportelli ad hoc). «Noi abbiamo selezionato quelli con pochi esami alla laurea. Alcuni erano iscritti quasi da un ventennio e continuavano a pagare circa 2.000 euro di tasse l’anno: così abbiamo proposto un metodo di studio adatto ai loro ritmi di lavoratori, lezioni online, manuali appositi». In 3 anni di sperimentazione 450 studenti sono tornati sui libri e molti sono già arrivati alla laurea. «La loro felicità per aver raggiunto un obiettivo che sembrava così lontano ci commuove sempre».
LE TASSE AUMENTANO
Le università ricevono finanziamenti in proporzione al numero di studenti che si laureano in tempo. Per questo ogni ateneo, nell’ambito della sua autonomia, cerca di disincentivare i ritardi, prima di tutto aumentando le tasse. I fuoricorso, oltre a quelle annuali calcolate sulla base del proprio Isee, pagano una maggiorazione che varia da università a università e va dal 10 al 50% in più. Molti atenei la richiedono solo a partire dal secondo anno fuoricorso e tutti tengono sempre conto del reddito. Tanto che in alcuni casi la maggiorazione può essere minima o nulla. Per esempio, per gli studenti che non hanno guadagni propri ma hanno più di 26 anni e non risiedono con i genitori, perché in quel caso fanno nucleo familiare a sé e il reddito della famiglia di origine non rientra nel calcolo Isee. Oppure per gli studenti lavoratori con contratto che hanno la possibilità di iscriversi come part-time e pagare meno.
I NUMERI
700.000 i fuoricorso in Italia.
53,6% gli studenti italiani che si laureano in tempo. Sono il 60,1% tra i magistrali biennali, il 53,9% tra i laureati di primo livello e il 40,0% tra i magistrali a ciclo unico.
26,5% i laureati in Italia, rispetto a una media Ue del 39,9.
(fonte: AlmaLaurea)