Nel 1989 Elio e le storie tese sintetizzavano così il rapporto uomo e donna in Cara ti amo, canzone cult che ironizzava sulle richieste contraddittorie, al limite del bipolarismo, mosse dal mondo femminile a quello maschile. Sono passati quasi vent’anni, ma il ritornello resta sempre attuale, ci siamo lamentate a lungo che: «Gli uomini non cambiano» e ora chiudiamo le nostre chiacchiere tra amiche con un rassegnato «Non ci sono più gli uomini di una volta». Dove sta la verità?
L’impasse del sesso forte
Un tempo ai ragazzini si diceva «Sii uomo» come un invito al coraggio, alla forza d’animo e anche a quella fisica. L’uomo era uno, restava alle donne essere “dolcemente complicate”. Ma quel sii uomo oramai ha perso il significato univoco: si parla da decenni di crisi del maschio e si tentano etichette alternative come “metrosexual” (eterosessuale, urbano, attentissimo al proprio aspetto), “homo domesticus” (il casalingo sempre più impegnato nelle faccende di casa) o “new lad” (versione maschilista e retrograda dell’uomo che non deve chiedere mai), ma sono tutte definizioni insufficienti. E oggi, oltre che a essere in crisi, si scopre che il maschio quarantenne è anche in trappola. Proprio “The Man Trap” è il titolo di un recente articolo pubblicato dall’Economist che analizza l’impasse dell’ormai smarrito “sesso forte”, a cui si chiede determinazione sul lavoro e presenza in famiglia, sensibilità nel privato ma affermazione sociale. Steve, sceneggiatore di Brooklyn, racconta: «Siamo tutti progressisti a parole e vogliamo la parità, ma sono sicuro che la mia compagna, quando è sotto stress, mi direbbe volentieri: dovresti prenderti tu cura di me». Ancora più provocatorio è Nathan, avvocato a Manhattan: «Nel mondo in cui vivo, è più facile essere una donna che un uomo. Le donne devono combattere con la frustrazione di avere una carriera ed essere madri, ma non si rendono conto che anche noi affrontiamo una pressione altrettanto forte, senza poter giocare la carta del lascio il lavoro per occuparmi della famiglia».
L’educazione anacronistica
Dopo l’invidia del pene sembra fare capolino quella dell’utero, per scelte che agli uomini non sono concesse come, per esempio, ridimensionare il successo sociale a favore della coppia. L’origine di questa discrepanza va cercata in un tempo che chiede a gran voce la parità, ma che educa ancora secondo regole anacronistiche. Alle bambine si insegna a essere ciò che si vuole, a lottare, a lasciare le bambole, fare sport, essere ribelli ma lo stesso non vale per i bambini. «Basta osservare i modelli offerti dai cartoni animati, dove la stereotipia di genere è ancora forte» spiega Manolo Farci, sociologo e docente all’Università di Urbino. «Mentre alle ragazzine viene offerto tutto uno spettro di possibilità per identificarsi, ai ragazzi restano i supereroi che ricalcano ancora gli antichi guerrieri: il maschio in battaglia, la femmina in attesa del suo ritorno. L’articolo dell’Economist è interessante perché cambia punto di vista, introducendo il concetto di sessismo al maschile. Che esiste! Basta pensare che un padre dedito ai figli viene ancora chiamato “mammo”, una parola orribile, un travestimento denigratorio. Un uomo non deve rinunciare alla propria mascolinità per essere un genitore amorevole».
Il dialogo come via di uscita
Non si può comunque negare che il dibattito sia così acceso perché il mutamento dei costumi è reale. I mariti, i padri trenta-quarantenni, sono coinvolti nella vita della famiglia come mai prima, alla ricerca di una conciliazione con le proprie compagne. In questo senso «Non ci sono più gli uomini di una volta» viene da dirlo con un sospiro di sollievo. La vera trappola da temere è la fine del dialogo tra i sessi. Vediamo la vita per opposizioni: donna versus uomo, lavoro versus famiglia, senza capire che sono vasi comunicanti e non compartimenti stagni. Si chiama relazione e rapporto proprio per quello. Annalisa Carrera, psicologa e psicoterapeuta impegnata nel progetto helpingmama.it, sottolinea come i ruoli siano costruzioni sociali da reinventate ogni giorno, proprio all’interno della coppia. «Sarebbe fondamentale che noi donne ci chiarissimo le idee su quello che desideriamo da un uomo e le chiarissimo anche a loro. Nel confronto con il nostro compagno, aiutandoci reciprocamente a capire quali sono i reali bisogni, si cresce insieme anche come individui. È importante abituarsi al dialogo, perché la vita è fatta di evoluzioni che ci mettono alla prova e che purtroppo o per fortuna ci costringono a ricalcolare il percorso della nostra esistenza». Se l’uomo è in crisi è anche vero che dalle crisi si dovrebbe uscire con nuove consapevolezze. Magari smettendo di pensare il binomio lui-lei, come un costante tiro alla corda. La corda c’è, ma si può allentare la presa e saltarci dentro insieme, senza intrappolarsi nel filo. L’obiettivo in fondo è sostituire quel «Sii uomo», con un sii un uomo realizzato, chiunque tu sia.
Congedo di paternità
In Italia la campagna Diamo voce ai papà curata da Piano C, ha fatto emergere che il 72% degli intervistati da un campione Doxa conosce l’esistenza del congedo facoltativo eppure ne hanno usufruito solo due padri su dieci. Ma siamo sicure che il motivo sia la poca disponibiltà delle aziende o dello Stato e la paura di perdere il posto di lavoro e non il timore di essere etichettato come “mammo”?
La parità fa bene
Una recente ricerca condotta dalla Società italiana di andrologia evidenzia che secondo il 69% delle donne intervistate non è più lui a prendere l’iniziativa, il primo approccio è indifferentemente maschile o femminile. Ma, secondo lo studio, questa parità non viene considerata un’evoluzione del rapporto di coppia, ma uno di quei sintomi di crisi dei trenta-quarantenni italiani.