«Ho 45 anni e due bambini che non vedo dal 2020. La prima volta che ho dato uno schiaffo a una donna ne avevo 26». Inizia così, senza giri di parole, il racconto di Guido, nome di fantasia, fisico minuto e mani grandi. L’anno scorso, dopo uno spintone più violento del solito e alcuni atti persecutori, è stato denunciato dalla ex compagna.
I primi passi nel centro per uomini maltrattanti
Ora ha due processi in corso, uno per maltrattamento e l’altro per stalking. Ma da quello spintone è iniziato anche il suo percorso all’interno di un centro per uomini maltrattanti. In salita, all’inizio. «È tutta colpa di lei» ripete. Ma dopo alcuni mesi qualcosa cambia: «Ho iniziato a trovarmi bene, ho capito che potevo parlare, sfogarmi, senza che nessuno mi giudicasse. Se faccio qualcosa che non devo – perché ormai lo so, quando vado in tilt, esagero, non riesco a rispettare i confini – me lo dicono. Qui ho trovato un mio spazio. Dove però non c’è solo la pacca sulla spalla, del tipo “Oh, poverino”, ma qualcuno che mi fa vedere, come in uno specchio, anche quelle che sono le mie difficoltà».
Il primo centro per uomini maltrattanti
Fino a non molto tempo fa Guido e gli uomini come lui non avrebbero avuto questa possibilità. In Italia le strutture per le vittime di violenza esistono dagli anni ’90, quelle dedicate al recupero dei soggetti maltrattanti si sono diffuse dal 2009: quando si è cominciato a capire che per contrastare la violenza di genere non occorre solo mettere in salvo le donne e aiutarle e rifarsi una vita, ma bisogna agire anche sugli uomini per impedire loro di nuocere. Ora sul territorio ci sono circa 60 centri. «Negli ultimi anni ci sono stati passi avanti nella prevenzione, ma si potrebbe fare di più» spiega Mario De Maglie, psicoterapeuta e vicepresidente del C.A.M., il primo Centro italiano di ascolto uomini maltrattanti, nato nel 2009 a Firenze su iniziativa della struttura antiviolenza Artemisia.
La violenza non è una malattia
E a dirlo sono i numeri. Quelli drammatici e certi, come emerge dal dossier annuale del Viminale: tra il 1° agosto 2021 e il 31 luglio 2022, in Italia sono state uccise 125 donne, in media più di una ogni 3 giorni. E quelli che si fa fatica a quantificare, perché non hanno un epilogo così efferato, ma che dovrebbero comunque farci riflettere. «Le statistiche Istat ci dicono sommariamente che 3 donne su 10 nella loro vita subiscono qualche forma di violenza». E le forme più gravi di abuso sono esercitate da partner o ex partner. «Di certo sono stime al ribasso, perché si basano sulle denunce sporte, ma c’è un sommerso importante. Le vittime saranno almeno 5 su 10» continua De Maglie. «Se il 50% delle donne subisce un comportamento violento, significa che c’è un 50% di uomini che questo comportamento lo agisce. Sono numeri altissimi che ci dicono che non possiamo pensare che la violenza sia una malattia: la metà della popolazione maschile non può essere malata. Crederlo sarebbe una sorta di deresponsabilizzazione: se io sono malato, non è colpa mia. Invece è importante insegnare a questi uomini che i loro comportamenti derivano dalle scelte che fanno. Se si può scegliere di agire in modo violento, si può anche scegliere di non farlo».
Come? Acquistando consapevolezza. Cercando di capire che nello sguardo della propria compagna c’è paura, che il figlio va male a scuola perché magari c’è tensione a casa, che litigare in famiglia è normale ma che dare uno schiaffo o chiudere la partner in bagno come mi racconta Guido – «Solo per tre minuti, mica per tutto il giorno!» – non lo è. «In 14 anni dal nostro centro sono passati circa 1.300 uomini, di tutte le età, dai ragazzi di 18 anni ai pensionati di 70, e di tutte le estrazioni sociali» dice De Maglie. «Un numero destinato ad aumentare, se si pensa che quest’anno abbiamo accolto circa 200 soggetti». Un dato che cresce anche grazie alle leggi. Il Codice Rosso, in vigore dal 2019, oltre a velocizzare le indagini, prevede che la sospensione condizionale della pena in caso di condanna per violenza domestica sia subordinata alla partecipazione a percorsi di recupero ad hoc.
Protocollo Zeus: cos’è
Esiste un altro strumento importante: si chiama Protocollo Zeus (dal re dell’Olimpo, il più noto dei maltrattanti), è stato siglato nel 2018 tra il Centro Italiano per la Promozione della Mediazione (CIPM) e la Divisione anticrimine della Questura di Milano per merito di Alessandra Simone e oggi è attivo in 55 città italiane. «Davanti a una condotta che potrebbe sfociare in violenza ma non è ancora reato, il questore emette un ammonimento: convochiamo l’uomo intimandogli di interrompere ogni forma di aggressione e invitandolo a seguire un percorso di recupero in un centro specializzato. La segnalazione alla Questura può essere fatta da chiunque, avendo la garanzia dell’anonimato: il medico, il vicino di casa, l’infermiere, il poliziotto che interviene in un litigio» spiega Simone, ora questore a Savona dopo aver lavorato per anni contro la criminalità organizzata a Reggio Calabria. «La violenza è ciclica, c’è sempre un percorso di inizio, e purtroppo alle volte di fine, e in questo percorso c’è un’escalation di aggressività che spesso dai maltrattamenti conduce al femminicidio. È proprio in quell’inizio che il protocollo Zeus incide. Perché se non interveniamo sugli uomini e ci limitiamo solo ad allontanare le donne maltrattate, l’uomo troverà sempre un’altra vittima».
Come funzionano i percorsi riabilitativi gratuiti
«Il nostro staff è composto da psicologi, psicoterapeuti, psichiatri ed educatori. Dopo alcuni colloqui individuali, questi uomini iniziano una rieducazione singola o di gruppo, che di solito dura nove mesi» spiega De Maglie. Considerare i soggetti maltrattanti soltanto come carnefici non serve a nessuno, neanche alle donne. Rieducare, senza sminuire la gravità di quanto fatto ma facendola comprendere è invece la strada giusta da per- correre. Partiamo da un dato: «In assenza di un intervento di supporto, oltre 8 uomini maltrattanti su 10 tornano a commettere violenze contro le donne. Coloro che riescono a ritrovare autonomamente un equilibrio dopo un primo episodio di violenza sono una minoranza esigua».
I dato del protocollo Zeus
Il dato è contenuto nella Relazione sui percorsi trattamentali per uomini autori di violenza nelle relazioni affettive e di genere, approvata il 25 maggio di quest’anno dalla Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio. «Mentre con il Protocollo Zeus abbiamo avuto ottimi risultati: il 90% degli uomini che hanno intrapreso il percorso riabilitativo non ha più manifestato forme di violenza» continua il questore Simone. Una misura che tutela in primis le donne ma che va a favore an- che degli uomini. «Quando sono violenti stanno male. Maltrattare è un fallimento, e molti lo riconoscono. Un uomo che non ha bisogno di agire potere su una donna è un uomo che sta meglio, che è più consapevole, che è un genitore migliore» aggiunge De Maglie.
Il percorso di responsabilizzazione degli uomini
Il percorso di recupero mira a responsabilizzare questi uomini, a dar loro gli strumenti per leggere la realtà e le loro emozioni. Per non banalizzare. «È lei che è andata via», «Sì, vabbè, ogni tanto si litiga ma si litiga in tutte le coppie», «Non è colpa mia se si fa male molto facilmente, appena la tocco si fa un livido» sono alcune delle frasi che mi dice Guido. «La violenza è un fallimento della comunicazione. Quando io assumo un comportamento maltrattante, è perché non riesco più a esprimere i miei bisogni in modo funzionale e la violenza interrompe la comunicazione: “Basta, tu non parli più. Fai come dico io”. Questi uomini hanno una difficoltà a leggersi dentro, a leggere i loro bisogni, le loro paure, non sono abituati a ragionare su loro stessi e trovare un posto dove possono farlo, fa la differenza» conclude De Maglie. E la differenza è tutta in quest’ultima frase di Guido: «Una delle cose più importanti che ti insegna questo percorso è conoscere te stesso, guardarti dentro. Ora la mia vita è cambiata, vorrei essere stato denunciato prima» dice, con un sorriso, perché finalmente oggi rivedrà i suoi bambini.
Cascina Ri-nascita: un luogo speciale
GUARDANDO IL SORRISO con cui Alessandra Kustermann, ginecologa, ex primaria ora in pensione della clinica Mangiagalli di Milano, ne parla si capisce che si tratta di un’iniziativa speciale. Il progetto, che vede in prima linea SVS Donna Aiuta Donna Onlus e l’associazione Casa di Accoglienza delle Donne Maltrattate di Milano, si chiama Cascina Rinascita e avrà la sua sede a Cascina Carpana, una villa con corte, parco e maneggio, alla periferia sud di Milano. «Non a caso ho scelto questo nome» dice Kustermann. «La cascina ospiterà in 12 appartamenti donne maltrattate con figli, aiutandole a recuperare autostima e autonomia. Qui potranno riprendere confidenza con la vita, formarsi, lavorare. In 10 anni contiamo di assumerne 900». In attesa che la cascina sia pronta, nel 2024, a fine gennaio le donne potranno già frequentare i laboratori di ceramica e la scuola di alta cucina.