La scienza ce lo ha spiegato da tempo. Gli umani, fin dal giorno
in cui costruirono il primo utensile, si sono progressivamente allontanati da uno stile di vita dettato dall’istinto per adeguarsi a una serie di consuetudini forzate, ma funzionali alla sopravvivenza della loro società. Cosa c’è di più innaturale di una sveglia che suona interrompendo bruscamente il nostro sonno? Ebbene, vi sorprenderà, ma anche gli uomini primitivi erano in lotta contro la natura per rispettare le consuetudini stabilite a tavolino dalla società in cui vivevano.
Tra queste consuetudini, c’è sempre stata la codificazione del prototipo di maschio e femmina. Ciascuna civiltà ha stabilito quali caratteristiche biologiche e fisiche, ma soprattutto quali atteggiamenti, inclinazioni, ruoli, impulsi, gusti e occupazioni dovessero avere gli individui appartenenti all’una o all’altra categoria. Inutile dire che l’individuo è tanto più felice quanto più aderisce naturalmente al prototipo della società in cui vive. La maggior parte, pur non aderendo totalmente, impara a recitare la parte, al costo della propria infelicità. Altri, pochi a dir la verità, si ribellano. E pagano con l’esclusione, la morte o qualunque sanzione sia prevista per chi si sottrae al proprio dovere di maschio o femmina.
Ma veniamo a noi. Abbiamo la fortuna di vivere in una società che sta provando a liberarsi delle consuetudini superflue, quelle che non minano in alcun modo la tenuta sociale. Una di queste è proprio la rigida codificazione di maschio e femmina: da quelli che sono i compiti e i desideri di ciascun genere a quelli che sono gli orientamenti sessuali.
Mi soffermo su questi ultimi, perché qualche giorno fa abbiamo festeggiato i 20 anni dal primo matrimonio gay, celebrato dopo la mezzanotte del 1° aprile 2001 nei Paesi Bassi. Da quella notte, altri 28 Paesi hanno consentito per legge i matrimoni omosessuali. E non abbiamo assistito a nessun cataclisma. Il matrimonio etero è una consuetudine inutile ai fini della sopravvivenza della società. La storia lo ha già provato.
Non è facile cambiare le consuetudini di una società. Per farlo, occorrono gli stessi strumenti utilizzati per costruirle, ovvero le leggi. C’è voluta una legge, in Italia, perché le coppie omosessuali acquisissero diritti, non paragonabili a quelli del matrimonio, ma comunque validi: le unioni civili.
E ci vuole una legge perché l’omosessualità, non più punibile per legge da tantissimo tempo, non lo sia neppure a livello sociale, con violenze e insulti. Ecco, questa è la legge Zan, che riconosce un’aggravante per chi commette violenza mosso da motivazioni legate al genere, all’orientamento sessuale o alla disabilità. Una legge che punisce chi, con la violenza, si arroga a paladino di una regola che la società non riconosce più come tale.
Questa legge, promossa alla Camera, oggi è ferma al Senato perché alcuni partiti vi si oppongono, invocando la libertà di espressione. Difendono cioè la libertà di espressione di chi insulta un omosessuale, un disabile, una donna. E non la libertà di espressione di un omosessuale, un disabile o una donna che chiede solo di essere se stesso, in una società che ha già capito che quel suo essere se stesso non la minaccia in alcun modo.