«Non tutti gli uomini discriminano le donne, non potete colpevolizzare un intero genere in nome di pochi». Nelle discussioni sul tema del sessismo questo argomento difensivo è così frequente da aver assunto un nome: not all men, non tutti gli uomini, appunto. Chi lo usa non discute che esista il maschilismo, ma reclama per sé una patente di innocenza e invita l’interlocutrice a prendersela con qualcun altro, come se il patriarcato fosse una scelta personale consapevole e non un terreno culturale in cui abbiamo le radici immerse tutti e tutte.
L’episodio ormai celebre della sedia negata a Ursula von der Leyen è stato una rappresentazione fisica dell’inconsistenza dell’argomento not all men. Da un lato, abbiamo visto il patriarcato più esplicito, quello che tutte siamo in grado di riconoscere perché si autonomina come tale. Lo ha rappresentato il premier turco Erdoğan, facendo scientemente predisporre un posto a margine per la presidente della Commissione europea. Le intenzioni del leader turco erano molteplici, non solo quella sessista, ma l’effetto sulla nostra sensibilità è quello di raccontare l’esclusione da un consesso di potere di una donna in quanto donna, nonostante avesse tutto il diritto di starci. L’altro lato, quello di chi pretende innocenza, è quello del presidente del Consiglio europeo Charles Michel, giustamente criticato per come (non) ha reagito alla situazione: certo non ha colpe per come è stata arredata la stanza dell’incontro, ma si è comunque seduto comodamente nella situazione che ha trovato. Chi lo attacca ha ragione: puoi non avere la colpa della situazione in cui ti trovi, ma se non fai niente per cambiarla ne diventi complice.
Eppure i fatti di Ankara – che ci piace pensare come il frutto della deriva islamica imposta da Erdoğan – non sono così lontani dalla nostra quotidianità di presunto Occidente emancipato. Tutti i giorni, in ogni consiglio di amministrazione, in ogni cattedra di rettorato, in ogni ufficio e in ogni posizione apicale di qualunque ambito professionale c’è una sedia che viene fatta mancare e non c’è dubbio, dati alla mano, che sia proprio quella che spetterebbe alle donne. Qualcuno l’ha tolta e tutti gli altri uomini – all men – si sono seduti e continuano a sedersi senza porsi minimamente il problema che quella sedia non ci sia. Se l’indignazione per il gesto di Erdoğan servisse in qualche modo a far vedere che la dinamica che ci ha indignati è la stessa che ci appartiene, Ursula von der Leyen non sarebbe rimasta in piedi invano.
Ma ridurre l’episodio turco a una questione di sessismo loro e nostro sarebbe ancora riduttivo. Il dato realmente interessante è quello politico: cosa ci fanno i leader di un continente democratico seduti a parlare con il capo di una democratura (così si chiamano i governi autoritari che ancora fingono di farsi eleggere) che viola sistematicamente i diritti umani? Non è un segreto: sono andati a finanziarlo perché trattenga i profughi della guerra siriana all’interno dei suoi confini e impedisca loro a tutti i costi di migrare in Europa. C’è una sala in Europa, quella del diritto a una vita dignitosa, dove noi restiamo seduti mentre facciamo togliere la sedia per tutti gli altri. Non meravigliamoci quando il gioco della seggiola ogni tanto lascia in piedi noi.