Siamo talmente abituat* a visualizzare qualsiasi genere di immagine o leggere dichiarazioni fantasiose che il labile confine tra la reazione scritta di pancia e un’attenta riflessione non lo avvertiamo neanche più. Nulla sembra stupirci e quindi spingerci a meditare sulle modalità di intervento o meno. La mano freme sulla cliccata facile o la condivisione incontrollata. Ma se siamo arrivat* a questo punto forse conviene fare un passo indietro e valutare le conseguenze delle nostre azioni.

Torniamo a quando ci accostavamo con circospezione a queste piattaforme e sceglievamo con cura spazi e modalità di pubblicazione legati al frutto del nostro interesse di turno. Ecco, quel genere di atteggiamento non dobbiamo perderlo ma sfruttarlo piuttosto come monito, perché tutto quello che riversiamo in rete potrebbe tornare indietro come un boomerang o diventare oggetto di profondo pentimento. Questa è la giusta occasione per considerare un ritorno alle origini della confidenza coi media, rispolverando i motivi per cui usare i social significa esporsi al pubblico.

Tutte le opinioni trovano spazio nell’etere

La libertà di espressione e condivisione dei propri pensieri con il prossimo non ha mai goduto di un potere così diffusivo quanto oggi. Esporsi sui social è ormai prassi consolidata e consente a tutt* di manifestare le proprie idee. L’unico neo è che talvolta alcune peccano di desiderio di manifestazione anche quando converrebbe rimanessero private. È vero che queste piattaforme permettono a chiunque di essere conosciuto e riconosciuto ma spesso i toni utilizzati non risultano edificanti. E la cosa peggiore è che, chi ne è responsabile, non se ne rende neanche conto.

Le famose chiacchiere da bar rimanevano circoscritte al gruppo dei quattro amici che si ritrovavano al bancone per parlare del più e del meno, ora invece le sparate superficiali sono scolpite nell’etere in modo permanente. La speranza che un post indesiderato finisca nell’oblio del dimenticatoio è spazzata via da un ambiente virtuale pressoché illimitato dove chiunque può esprimersi liberamente su qualsiasi argomento. E da cui, una volta esposto, non ci si può tirare indietro così facilmente.

Il rispetto reciproco come pilastro portante della netiquette

Ad oggi fa trend la provocazione gratuita e polemiche sterili che non portano da nessuna parte ma ti proiettano nell’olimpo dei commentatori ferali. I social network hanno instaurato la «dittatura» dell’opinionismo democratico alla portata di tutt* quelli che fremono per dire la propria. Risultato: imbruttimento generale e uso spregiudicato degli strumenti digitali per veicolare liberi flussi di pensieri a proprio uso e consumo.

In sé e per sé questo aspetto non sarebbe connotato da accezioni negative, non fosse per la mancanza di strumenti utili al mantenimento della netiquette in rete. Ovvero una disciplina che accompagni gli utenti a sfruttare le connessioni con criterio badando a ciò che si pubblica nel pieno rispetto delle regole e degli altri che partecipano alla rete come noi. Invece l’ignoranza di questi principi fa sì che si ignori la premessa deontologica del web in nome dell’urgenza di esternare ciò che preme, pres* da discussioni in cui il confronto civile online finisce per essere bandito.

La perdita del confronto costruttivo

Tutti i contenuti che vengono postati sono ormai passibili di commenti che esulano dall’etica costruttiva. La teoria secondo cui dopo una fase storica complessa se ne esca persone migliori talvolta vacilla di fronte all’odio virtuale che si propaga a macchia di leopardo per motivi spesso futili. Si accaparra a morsi la ragione solo chi urla più forte, quando invece tanto rumore per nulla non smuove altro se non il discredito pubblico.

Il circolo vizioso finisce per svalutare la natura stessa del contenuto. Lo scarso tasso di tolleranza nei confronti del pensiero altrui, alla lunga, dovrebbe fare riflettere e desistere magari anche dal pubblicare indistintamente tutto, perché rimane traccia di ogni cosa in rete. Questo non è altro che il risultato di un imbarbarimento generale legato alla condivisione incontrollata sui social. L’assenza di vergogna e del senso del pudore verso il prossimo e noi stessi ci sta conducendo in un vicolo cieco da cui conviene uscire il prima possibile.

Investire in condivisioni più consapevoli

Gli strumenti per scardinare questo genere di saccenza virtuale sono maggior consapevolezza e autocritica. Questo metodo fa sì che ci si accosti a ogni istinto di pubblicazione in modo più riflessivo, traducendo in chiave rispettosa qualsiasi forma di comportamento sociale.

In realtà web e società sono legati a doppio filo: per migliorare le modalità di interazioni di uno dobbiamo apportare modifiche sostanziali all’altra e viceversa. Tornare a osservare i valori della convivenza e responsabilità civile permette di restituire una veste mite alla discussione pubblica. Vale la pena quindi ricordarsi che nulla è valido per sempre, è consentito cambiare idea, ma le tracce rimangono online anche quando non abbiamo più la stessa opinione su quello che avevamo deciso di condividere.

Sforziamoci perciò di pensare che quando pubblichiamo qualcosa ci esponiamo al giudizio dei nostri interlocutori virtuali: meglio allora contare – fate voi quanto – prima di agire.