È l’argomento più chiacchierato, criticato e strumentalizzato delle ultime settimane. Parliamo della maternità surrogata, la possibilità di far nascere un figlio nel grembo di un’altra donna. Nel nostro Paese è una pratica vietata dalla legge 40 ma se ne discute da tempo (tanto da suscitare l’idea di una petizione all’Onu per chiederne l’abolizione nel mondo). Il motivo che ha fatto tornare l’utero in affitto al centro del dibattito italiano? Nel controverso disegno di legge sulle unioni civili in discussione in Parlamento è contenuta la “stepchild adoption”, ovvero l’adozione del bambino che vive in una coppia dello stesso sesso ma che è figlio biologico di 1 solo dei 2. Per alcuni, questo meccanismo legittimerebbe e incrementerebbe la maternità surrogata, al punto che persino il ministro della Salute Beatrice Lorenzin si è scagliata contro la pratica, definendola “ultraprostituzione”. Ma cosa accade davvero nei Paesi in cui è permessa? Come si tutelano le donne che si offrono di portare per 9 mesi il figlio di un’altra coppia? Scopriamolo.
Qui la gestazione per altri è realtà da 30 anni. «L’iter è consolidato» spiega Susanna Lollini, avvocato dello studio Menzione Lollini di Roma, uno dei più esperti nel campo. «Un’agenzia privata si occupa di ogni aspetto: trova la “portatrice” e stipula un contratto articolato con i diritti e i doveri della donna e dei futuri genitori. La madre surrogata deve avere un lavoro e almeno un figlio, per evitare che lo faccia per povertà e che sia poi tentata di tenere il piccolo. Durante la gravidanza è seguita passo dopo passo, viene accompagnata alle visite ed è in contatto costante con la coppia. Addirittura, davanti a problemi gravi è lei che ha l’ultima parola su un possibile aborto. Nessun paletto per i futuri genitori: possono essere etero, omosessuali e anche single, l’importante è che si impegnino a occuparsi del neonato fin dal primo istante. Ecco perché lo Stato è meta di centinaia di coppie che arrivano da tutto il mondo, Italia compresa. Anche se il costo supera i 100.000 dollari, di cui almeno 30.000 vanno alla donna che porta avanti la gravidanza». E sono in tanti a chiedersi proprio chi siano queste donne. «Ho 33 anni, una bimba di 6 e lavoro in un negozio» racconta Aylin F. «Tra 3 mesi partorirò un bebè per una coppia europea. Mio marito mi sostiene e la mia bambina ha capito che quello non sarà suo fratello. I soldi? Ci manderò al college mia figlia».
In Ucraina
Nell’ex Paese sovietico si contano 52 cliniche che si occupano di fecondazione assistita e gestazione per altri. Dal 2006, quando è stato approvato il nuovo codice sulla famiglia, qui tramite la maternità surrogata nascono ogni anno circa 100 bimbi, di cui 60 da genitori italiani. «Le regole sono ferree: la pratica è permessa a coppie sposate da almeno 5 anni, mentre la madre surrogata ha tra i 19 e i 35 anni, un marito e figli suoi, perché la maternità deve avvenire all’interno di una famiglia» racconta Serena Marchi, autrice di Madri, comunque (Fandango). «Il nascituro, poi, deve avere almeno il 50% del patrimonio genetico dei genitori: si può ricorrere anche a una donazione di ovuli o di sperma. Come viene scelta la portatrice? La donna è sottoposta a screening medici e psicologici e deve avere un reddito. Questo per evitare che cambi idea o che la sua decisione venga strumentalizzata da un marito a caccia di soldi. Ne ho conosciute alcune e mi ha colpito la normalità con cui affrontano questa esperienza. Sono donne serene, di poche parole, che non sembrano sfruttate. Non si vergognano di ammettere che lo fanno perché quella cifra cambierà la loro vita. Una portatrice riceve 10.000 euro, in un Paese in cui lo stipendio medio mensile si ferma a 150. Tutta la pratica, invece, costa circa 30.000 euro».
In India
La maternità surrogata è vietata ai cittadini stranieri. Recita così il comunicato del governo indiano, datato novembre 2015, che sbarra le porte a chi non è nato a Delhi e dintorni. La decisione è stata presa per fermare quello che da più parti era etichettato come un “commercio” in un Paese che ha alti tassi di povertà. «La legge è dettagliata su chi può diventare portatrice: deve trattarsi di donne tra i 21 e 35 anni, se sono sposate serve il consenso del marito, e non possono avere più di 5 figli in totale nella vita. Non è consentito il ricorso alla maternità surrogata per omosessuali e single» nota Francesca Maria Zanasi, avvocato esperto di minori e famiglia. «L’intera procedura costa al massimo 30.000 euro. La ragazza che porta avanti la gravidanza ne riceve 6.000 e non gode di tutele particolari. Alcune cliniche seguono queste persone per tutti i 9 mesi e garantiscono assistenza medica e psicologica, ma nella maggior parte dei casi non succede. Il rischio che le donne vengano sfruttate, quindi, è dietro l’angolo». I numeri lasciano pochi dubbi: fino al 2014 questo era un business da 5 miliardi di dollari all’anno.
In Gran Bretagna
Qui, dal 1985, tutto si fonda su una parola: altruismo. «La gestazione per altri è consentita gratuitamente» dice l’avvocato Susanna Lollini. «Non sono permessi compensi in denaro, ma solo un rimborso per le spese che la portatrice sostiene in gravidanza. Nella maggior parte dei casi la maternità surrogata si fa grazie a parenti o amici e, secondo alcuni studi, sono solo 150 all’anno. Il ricorso alla maternità surrogata è consentito anche agli omosessuali, non ai single, ma bisogna risiedere in Gran Bretagna. Il bimbo deve avere il 50% del patrimonio genetico dei genitori, quindi si può fare con la donazione di ovuli o di sperma. Entro 6 mesi dalla nascita, i genitori si presentano davanti a un tribunale: qui si verifica che tutto sia legale e si registra il certificato di nascita del piccolo». Karen P., 35enne di Londra, racconta la sua esperienza: «Tre anni fa sono stata la “culla” della bambina di mia sorella, a cui avevano tolto l’utero per un tumore. È stata una splendida gravidanza: aiutavo i miei famigliari a realizzare un sogno. Ora una coppia di amici mi ha chiesto di farlo di nuovo e dirò di sì. La natura mi ha dato un dono, la facilità di diventare madre, e io voglio condividerlo».
In Grecia
Dal 2014 l’accesso alla maternità surrogata è aperto anche a chi non risiede nel Paese. Atene e dintorni, quindi, sono diventati la nuova meta per le coppie sterili. «Anche qui la parola d’ordine è solidarietà» spiegano Marta Tomasi e Lucia Busatta di BioDiritto (www.biodiritto.org), il progetto dell’università di Trento dedicato a giurisprudenza e bioetica. «La spesa totale non supera i 20.000 euro e la mamma portatrice riceve un rimborso per le spese mediche e per il mancato guadagno lavorativo con un tetto massimo di 10.000 euro. Prima di tutto, però, i futuri genitori richiedono un’autorizzazione del giudice alla pratica: la donna deve sempre provare con certificato medico di non essere in grado di concepire, mentre chi porta avanti la gravidanza dimostra il suo stato di salute fisico e psicologico. Al tribunale si presenta anche un accordo scritto tra le parti e alla fine il giudice dà il via libera». Per ora mancano numeri sul fenomeno ed è difficilissimo capire cosa succede nelle cliniche che se ne occupano. Perché anche qui la gestazione per altri, in fondo, è ancora un tabù.