La Siti (Società italiana di igiene, medicina preventiva e sanità pubblica) denuncia la carenza di vaccini influenzali che si sta registrando in alcune parti d’Italia. Ipotizza che circa il 5 per cento degli anziani sia rimasto tagliato fuori dalla possibilità di immunizzarsi senza spendere soldi. E cerca di individuare le ragioni della sottovalutazione della domanda e delle scorte esaurite o a singhiozzo: per esempio l’aumento delle richieste da parte dei pazienti, l’approvvigionamento di dosi gratuite, quelle da mettere a disposizione delle categorie a rischio, calibrato sull’adesione alle vaccinazioni rilevata negli anni scorsi e non in base a previsioni attendibili e, infine, una programmazione sballata e la corsa al risparmio.
Pochi vaccini: perché?
“Le regioni – spiega Fausto Francia, past president della Siti – hanno dovuto ordinare i vaccini da somministrare gratuitamente tra maggio e giugno. Le quantità sono state decise sulla base della percentuale di vaccinati dell’anno o del biennio precedente, senza grossi correttivi. Sono stati fatti ordini ‘prudenti’. Nella stagione 2011/2012 – ricorda – la percentuale dei vaccinati era al 70 per cento, poi crollò al 20 per cento. Si è partiti da una platea stimata nel 50 per cento, aggiungendo solo qualche punto in più”.
Secondo aspetto da valutare: “I vaccini sono di due formule diverse: trivalente e tetravalente. Alcune regioni hanno deciso di acquistarne solo un tipo, affidandosi ad unico fornitore. Così si sono esposte alla possibilità di restare senza scorte, e senza ripieghi, in caso di situazioni problematiche”.
Altra considerazione, sempre di Francia: “Il clima è quello che è. Chi di questi tempi i si sentirebbe di incrementare gli ordini, con la possibilità di ritrovarsi con giacenze di vaccini inutilizzati, prestando il fianco a critiche e contestazioni? C’è bisogno di una migliore programmazione, certo, l’anno prossimo. Ma c’è anche il dovere di capire che la vaccinazione è un investimento e non un costo. Se ci si ammala, si grava in misura maggiore sul sistema sanitario e sulla produttività. Si consumano più farmaci, si perdono giornate di lavoro”.
Il quadro della situazione
L’Agenzia italiana del farmaco dà un quadro della situazione, a monte. Delle tre aziende produttrici di vaccini – quelle che riforniscono il sistema sanitario del nostro Paese, regolandosi in base agli ordini ricevuti dai committenti pubblici – una ha finito le scorte e non è in grado di rimediare entro la fine della stagione, un’altra ha i magazzini vuoti ma potrebbe far arrivare entro decine di migliaia di dosi dall’estero, una sola ha ancora giacenze di magazzino disponibili per richieste aggiuntive da parte delle Regioni. Per quanto riguarda la disponibilità e le vendite nelle farmacie – l’altro canale di diffusione, residuale – a Federfarma “non risulta alcuna segnalazione” in negativo.
Le regioni con più criticità
I più penalizzati dai “buchi” nei magazzini delle aziende sanitarie, stando a un inchiesta de “La Stampa”, sono risultati gli abitanti a rischio di Sardegna, Campania e Emilia Romagna. Qualche problema, sempre secondo il quotidiano torinese, si è registrato in Piemonte, Liguria, Trentino Alto Adige e Lombardia. Hanno invece retto meglio le regioni del Centro e le altre del Sud. Alcune, come la Toscana, sono riuscite a rimediare in corsa. “C’è stata una domanda maggiore rispetto all’anno scorso – ha spiegato l’assessore al Diritto alla Salute, Stefania Saccardi – ed è un buon segno, vuol dire che la campagna di vaccinazione ha funzionato. Per questo motivo i vaccini ordinati alle case farmaceutiche, sulla base delle richieste delle aziende sanitarie, non sono stati sufficienti. E quindi sono stati richiesti altri quantitativi. Nessuna delle persone che vorranno vaccinarsi – ha assicurato – resterà senza vaccino”.
Umi: “Eccesso di contenimento della spesa”
Francesco Falsetti, presidenti dell’Umi (Unione dei medici italiani, di famiglia e ospedalieri), punta ugualmente l’indice contro le politiche regionali sanitarie, “improntate al massimo risparmio”. Sostiene: “Solo una parte delle categorie a rischio (ad esempio anziani, donne incinte, bambini e adulti portatori di patologie particolari, cui l’antidoto è fornito gratuitamente ) decide di vaccinarsi. Le aziende sanitarie e le regioni – aggiunge, confermando l’analisi del collega Francia – richiedono quantitativi di dosi per la copertura non del cento per cento di questi aventi diritto, ma su una certa quota. La stima viene fatta sulla base della percentuale di adesioni alle precedenti campagne vaccinale, indicata dal ministero della Salute. Ci sono dei correttivi e degli aggiustamenti, in alcune regioni. Ma in genere si va al ribasso, al minimo possibile. E succede che si sbaglino gli ordini, per difetto. La giustificazione delle scelte sballate? Contenere la spesa. Le vaccinazioni costano e non solo per il prezzo dei vaccini. Vanno pagati i medici e gli altri operatori. Ci sono i costi gestionali, quelli logistici… Il guaio è che risparmiamo le regioni povere e pure quelle ricche, a cominciare dalla Lombardia”.
Sigg: “Positivo l’aumento di richieste”
Nicola Ferrara, presidente della Sigg (Società italiana di gerontologia e geriatria), mette l’accento sull’aumento delle persone che in queste settimane hanno deciso di vaccinarsi. “Il dibattito politico sui vaccini ha avuto un risultato positivo. Ha fatto salire la richiesta di vaccinazioni, perché ha sensibilizzato i pazienti e pure gli operatori sanitari. I no vax sono rimasti no vax. Sono cresciuti i cittadini pro vax, quelli che prima erano neutri o scettici. Questo ha portato ad un incremento di richieste anche per le vaccinazioni antinfluenzali, dopo anni. Un incremento inaspettato, sottovalutato. Noi non abbiamo ricevuto segnalazioni di carenze di vaccini da parte dei nostri associati. Abbiamo saputo della cosa dalla stampa, non conosciamo i dati precisi. Posso parlare in generale. Tempo fa – continua il dirigente Sigg – furono acquistate troppe dosi. Andarono buttate e ci furono polemiche, per gli sprechi. Dobbiamo decidere che cosa vogliamo. Risparmiare? Azzardare, con il denaro di tutti? Una volta diciamo che i vaccini sono troppi, la volta dopo che sono pochi… Dobbiamo decidere che cosa vogliamo”. E l’importante è non perdere di vista l’obbiettivo. La prevenzione. C’è ancora tempo per immunizzarsi, scorte permettendo “Il picco d’influenza – rammenta il professor Ferrara – dovrebbe arrivare a gennaio. Restano due settimane, tre al massimo, per provvedere. Attenzione: il fai da te non va bene. Bisogna consultarsi sempre con il proprio medico”.
L’andamento della stagione influenzale
Si veleggia verso il milione di casi di influenza. Dall’inizio della sorveglianza (al 12 dicembre) si stimano 814mila malati. La fascia di età maggiormente colpita dall’influenza è quella dei bambini al di sotto dei cinque anni (con un’incidenza pari a 6,88 casi per mille assistiti). Tra gli over 65 anni, invece, il tasso è di 1,53 casi per mille assistiti. Le regioni più colpite – ma si ragiona su dati in parte frammentari – sono Molise, Sicilia, Abruzzo e Piemonte.