Dopo l’autorizzazione dell’Ema, l’agenzia europea del farmaco, era atteso anche il “sì” da parte dell’Agenzia italiana, che è arrivato. Anche i bambini nella fascia 5-11 anni, dunque, potranno vaccinarsi, dopo che la Commissione tecnico scientifica dell’Aifa ha approvato l’estensione di indicazione di utilizzo del vaccino Comirnaty di Pfizer per questa fascia d’età anche nel nostro Paese.

Prevenzione e socializzazione

Come chiarito dalla Cts, «sebbene l’infezione da SarS-CoV-2 sia sicuramente più benigna nei bambini, in alcuni casi essa può essere associata a conseguenze gravi, come il rischio di sviluppare la sindrome infiammatoria multisistemica (MIS-c), che può richiedere anche il ricovero in terapia intensiva». Da un lato, dunque, c’è l’esigenza di prevenire possibili effetti negativi di una infezione da coronavirus, dall’altra c’è anche la volontà di non sacrificare la socializzazione dei più piccoli, come chiarisce ancora la commissione dell’Aifa: «La vaccinazione comporta benefici quali la possibilità di frequentare la scuola e condurre una vita sociale connotata da elementi ricreativi ed educativi che sono particolarmente importanti per lo sviluppo psichico e della personalità in questa fascia di età». Quanto alla sicurezza, la Cts chiarisce: «I dati disponibili dimostrano un elevato livello di efficacia e non si evidenziano al momento segnali di allerta in termini di sicurezza»

Le domande e le risposte dell’esperto, Rocco Russo, responsabile del tavolo vaccinazioni della Società italiana di Pediatria (SIP).

Quando sarà disponibile il vaccino?

Il vaccino Pfizer, secondo quanto comunicato, sarà disponibile in Europa dal 13 dicembre, perché occorre un tempo tecnico per gli approvvigionamenti: «Il vaccino dovrebbe arrivare fisicamente nei frigoriferi dei centri vaccinali a Roma a metà o fine dicembre, per poi essere distribuito alle sedi regionali, tramite la struttura commissariale, presumibilmente da gennaio anche se c’è la volontà di accelerare. Questo perché si tratta di una dose diversa da quella utilizzata per adolescenti e adulti (che avevano la stessa concentrazione), cioè 10 microgrammi invece che 30. Prevede, quindi, una linea di produzione differente che non è immediatamente disponibile» risponde Rocco Russo.

Perché vaccinare i bambini?

È la domanda che si pongono in molti, soprattutto di fronte ai dati che indicano che la malattia Covid nei bambini si manifesta generalmente in forme più lievi. «Tutto ciò che è nuovo crea disagio nella popolazione e in tutti noi, questo è chiaro. Come Società italiana di Pediatria noi stiamo monitorando i dati disponibili, soprattutto degli Usa dove la vaccinazione pediatrica è partita prima, e possiamo fare qualche valutazione: prima di tutto la fascia pediatrica è diventata il bersaglio del virus, perché trova maggiore possibilità di attecchire, non essendo vaccinati, e perché si tratta di età nelle quali si fatica di più a rispettare le distanze di sicurezza, a lavare le mani di frequente e a indossare correttamente la mascherina – spiega l’esperto – Sappiamo che il virus fortunatamente trova nei bambini un sistema immunitario tale da non creare generalmente gravi complicanze, perché nella maggior parte dei casi i più piccoli superano brillantemente la malattia, ma non conosciamo ancora eventuali strascichi che la malattia può lasciare. Quindi, se possiamo disporre di uno strumento di prevenzione, è importante sfruttarlo, valutando eventuali danni che il contagio può causare anche in termini indiretti, cioè l’eventuale sospensione scolastica in caso di contagio, o delle attività ludiche o di socializzazione, che abbiamo visto essere così importanti nei giovanissimi».

Anche i bambini sono a rischio Long Covid?

«È difficile fare una valutazione univoca perché i dati a disposizione finora non sono omogenei né per fasce d’età, né per tipologia di effetti. È anche difficile valutare sui bambini alcuni sintomi classici da Long Covid che sono stati riscontrati negli adulti, come malessere generale, astenia, annebbiamento cognitivo, perché i più piccoli hanno una reattività differente. Quindi occorre cautela, anche se è vero che in alcuni paesi, come nel Regno Unito, sono stati creati centri specializzati per supportare la gestione del Long Covid sia in età adulta che nella fascia pediatrica» risponde Rocco Russo.

Il vaccino serve solo ai più fragili?

«Come detto, può essere utile a tutti, anche se la priorità deve essere lasciata ai soggetti più fragili, come accade per tutte le strategie vaccinali di prevenzione. Parliamo di soggetti con patologie neuromuscolari, diabetici, con Sindrome di Down o fibrosi cistica, o altre comorbidità, oltreché pazienti oncologici, che potrebbero essere esposti a rischio di contagio e con un decorso diverso e più serio rispetto ai bambini sani» spiega l’esperto.

Quante dosi e che quantità?

«La concentrazione è di un terzo rispetto a quella prevista per adulti e adolescenti, quindi 10 microgrammi invece che 30. In ogni fiala ci sono 10 dosi, rispetto alla fiala per adolescenti che può servire per sei somministrazioni. Nell’organizzazione delle vaccinazioni, quindi, se ne dovrà tenere conto, ad esempio raggruppando 10 bambini alla volta per consumare una fiala» chiarisce Russo. Le dosi, invece, sono sempre due e con un intervallo minimo di 3 settimane tra la prima e la seconda».

Quanto è sicuro?

A chi si chiede se il vaccino sia sicuro sul lungo periodo, l’esperto risponde: «Sul dubbio di una eventuale cancerogenesi e mutagenesi, sollevato da alcuni colleghi in audizione in Senato purtroppo è utilizzato dai No Vax per creare disorientamento e inculcare sospetti che, ad oggi, non trovano conferme. I dati sui vaccini somministrati finora nel mondo non portano a pensare che possano modificare l’equilibrio clinico di un soggetto, tale da scatenare un eventuale tumore. Credo che siano valutazioni pretestuose per inculcare sospetti infondati».

Perché è meglio il vaccino della guarigione?

«Intanto perché la guarigione non è permanente per il soggetto che ha avuto la malattia che si può reinfettare. È vero anche il vaccinato può farlo, ma abbiamo visto che porta a forme meno gravi della malattia e a minori decessi, permette di contenere il virus e i suoi eventuali danni. Insomma, la protezione da vaccino sembra essere migliore rispetto a quella della malattia. L’esempio delle miocarditi lo confermerebbe: i danni del virus legati alla malattia Covid, specie negli adolescenti, sono nettamente superiori alle eventuali conseguenze che potrebbero insorgere dopo la vaccinazione, che sembrano rare e con un nesso di semplice causalità temporale, quindi non chiaramente attribuibili al vaccino» risponde l’esperto della Società italiana di pediatria.

Ci sarà un obbligo di vaccino?

A parlarne è stato il presidente dell’Aifa, Giorgio Palù, che non esclude l’obbligo della vaccinazione per questa fascia di età spiegando che «il rischio dell’infezione sta diventano molto superiore al rischio del vaccino che negli studi non esiste». «La possibilità che diventi obbligatorio oggi appare una forzatura, soprattutto perché non è stato previsto neppure per tutti gli adulti, ma solo per categorie che hanno contatti con persone particolarmente a rischio, come i sanitari. In ogni caso potrebbe essere una decisione politica, qualora cambiassero le condizioni» spiega il pediatra della Sip, che aggiunge: Lo stesso discorso vale per un eventuale richiesta della vaccinazione per accedere a scuola o in ambienti sportivi, per i bambini dai 5 agli 11 anni».

Il vaccino serve a fermare il virus?

«Sì, riduce la circolazione del virus che è appunto anche uno dei motivi per i quali viene raccomandato in età pediatrica, anche perché se continua a circolare aumenta anche il rischio che muti, creando varianti potenzialmente più contagiose o anche aggressive» chiarisce l’esperto.

Occorrerà tenere anche la mascherina?

«Da questo punto di vista non cambia nulla: la vaccinazione, per nostra sfortuna, non è la soluzione al problema, ma un’arma aggiuntiva per contrastare diffusione del virus. Le norme che però abbiamo rimparato a seguire, come il distanziamento e il lavaggio delle mani, insieme alla mascherina devono rimanere, così come il tossire in un fazzoletto e nel gomito e l’aspettare la completa guarigione dopo che il bambino si è ammalato e non appena sono scomparsi i sintomi. Tutto ciò aiuta a controllare il virus e a contenere la sua circolazione» conclude Rocco Russo.