Dopo il vaccino per gli adulti e per gli adolescenti, sta per arrivare anche quello per i bambini. Negli Stati Uniti l’autorizzazione da parte dell’ente regolatore, la Food and Drug Administration, è attesa già per fine ottobre. In Europa sarà l’Agenzia del farmaco Ema a decidere, non appena avrà valutato i dati annunciati dall’azienda americana Pfizer e dalla tedesca BioNTech, che hanno definito il proprio prodotto anti-Covid «sicuro, ben tollerato» e in grado di fornire una risposta immunitaria «robusta» nei bambini tra i 5 e gli 11 anni.
La dose somministrata al campione impiegato negli studi clinici (2.200 bambini) è un terzo di quella prevista negli adulti. Se gli esperti mostrano entusiasmo – e nello stesso tempo cautela in attesa del via libera da parte delle agenzie del farmaco – la domanda che si pongono i genitori è: perché vaccinare i bambini, se finora si è visto che il virus non ha effetti gravi nei soggetti più giovani? Serve a proteggere loro o gli adulti non vaccinati e fragili? Mira a salvaguardare la loro salute oppure la loro socialità, evitando Dad e quarantene?
Ecco le risposte dell’esperto, il pediatra Rocco Russo, responsabile del Tavolo vaccinazioni della Società Italiana di Pediatria.
Perché vaccinare i bambini?
«È vero che il virus al momento non causa danni gravi ai bambini, ma la vaccinazione rappresenta un’opportunità per estendere la copertura anti-Covid a una popolazione più ampia possibile: l’obiettivo è bloccarne la circolazione per evitare la creazione di varianti che possano magari essere più aggressive anche nei bambini. Le mutazioni presenti al momento fortunatamente ci danno una certa tranquillità sull’evoluzione della infezione nei più piccoli, ma non conosciamo possibili effetti a lungo termine di questo virus anche sui giovanissimi» spiega il pediatra.
Cosa sappiamo degli effetti a lungo termine del vaccino?
«Anche questa è una domanda lecita. Va detto che dobbiamo attendere prima la valutazione degli organi regolatori (quindi FDA ed Ema), che vaglieranno i dati dei trial. Se daranno parere positivo, significa che avranno preso in considerazione la sicurezza ed efficacia del vaccino anche nei bambini. D’altro canto dobbiamo ricordare che “siamo in tempo di guerra” con questo virus: c’era scetticismo anche nei confronti del vaccino per gli adulti, ma abbiamo visto che funziona e bene nella riduzione degli effetti gravi della malattia Covid. I danni e i morti sono stati dovuti al virus, non al vaccino: in terapia intensiva oggi ci sono quasi esclusivamente persone non vaccinate» ricorda il pediatra.
La sperimentazione su un campione ridotto è sicura?
Tra i primi commenti all’annuncio di Pfizer e BioNTech c’è stato l’entusiasmo di Guido Silvestri, docente alla Emory University di Atlanta, che su Facebook ha annunciato «con grande orgoglio» che allo studio ha partecipato «anche mio figlio Nicholas di quasi 11 anni». Roberto Burioni, virologo dell’Università Vita Salute-San Raffaele di Milano, ha parlato di «Buone notizie» riferendosi all’efficacia ed effetti collaterali che sembrano «sovrapponibili a quanto visto negli adulti», pur sottolineando che il campione di 2.200 bambini è «numero secondo me troppo ristretto di soggetti».
«Spiace che un comunicatore come Burioni abbia posto l’accento su questo aspetto. I trial sui bambini, però, sono stati condotti dopo i risultati positivi ottenuti sia sugli adulti che sugli adolescenti, comunque su un campione che rispetta i requisiti minimi previsti dalle norme. D’altra parte reclutare soggetti così piccoli non è semplice: la procedura è molto complessa e prevede tempi più lunghi. Io posso dire che se avessi avuto un bambino piccolo lo avrei sottoposto al trial, perché conosco il vaccino, i benefici e il suo funzionamento» dice Russo.
Il vaccino nei bambini serve a proteggere loro oppure nonni e genitori?
«Io seguo diversi bambini con il Covid: al momento la natura è “dalla nostra parte”, i bambini possono contare su un sistema immunitario che in genere riesce a difendersi bene dal virus. Ma finché circola può replicarsi e mutare, e non è detto che una futura variante non possa risultare in grado di attaccare anche l’organismo dei più piccoli. Non significa voler fare catastrofismi, ma essere realistici – risponde l’esperto della Società Italiana di Pediatria.
Oggi, quindi, servirebbe soprattutto a proteggere eventuali familiari adulti fragili o non vaccinati? «Sì, anche, ma permetterebbe anche ai bambini di tornare alla socializzazione, a frequentare le scuole in sicurezza senza tornare alla Dad o alle quarantene, a evitare di essere vettore di un virus che potrebbe danneggiare un amichetto non vaccinato o immunodepresso» spiega Russo.
Perché vaccinare un bambino se si può contagiare comunque?
«È vero che alcuni vaccinati possono contagiare, ma non tutti. Secondo la maggior parte degli studi condotti finora, si tratta di una piccola fetta che potrebbe infettarsi e infettare anche da immunizzato, per diversi motivi: non va dimenticato che i vaccini non funzionano nello stesso modo su tutti i soggetti. Possono entrare in gioco anche predisposizioni genetiche o caratteristiche del sistema immunitario tali da impedire una risposta immunitaria adeguata. Oppure potrebbero subentrare comorbidità» risponde l’esperto.
Chi è vaccinato ha una carica virale più bassa?
«Ci sono molti studi che hanno cercato e cercano di chiarire questo aspetto. La maggior parte indica che in una prima fase di contagio la carica virale possa essere sovrapponibile a quella di un soggetto non vaccinato, quindi che entrambi possano infettare altre persone nello stesso modo. Ma in una seconda fase si è visto che la risposta immunitaria nei vaccinati è più efficace e tale da ridurre la diffusione del virus – spiega Russo – L’ideale sarebbe stato disporre di un vaccino che proteggesse anche dall’infezione oltreché dagli effetti gravi della malattia, ma per ora ci accontentiamo di questo che rappresenta comunque un’ottima arma».
Perché dose inferiore?
Un ultimo dubbio riguarda la dose di vaccino, che per i bambini sarebbe di un terzo rispetto a quella prevista per adulti e adolescenti: «Si tratta di una scelta dettata da un principio di precauzione, che comunque rappresenta una novità, perché non era mai avvenuto in passato con altri vaccini che si riducessero le dosi rispetto a quelle degli adulti. In questo caso i trial dimostrerebbero che con soli 10 microgrammi invece che 30 ci sarebbe un’adeguata risposta anticorpale. Le perplessità devono essere superate alla luce dell’esperienza dei vaccini in fascia adulta» conclude l’esperto.