Sembrava che il peggio fosse passato, che il vaiolo delle scimmie non fosse più una fonte di preoccupazione, ma gli ultimi dati allarmano l’Organizzazione Mondiale della Sanità. Proprio l’Oms ha fatto sapere, infatti, che a settembre si è registrato un aumento del 660% dei casi in Europa. Il tutto mentre fin dallo scorso anno in molti – compresi personaggi famosi come Costantino della Gherardesca – si sono vaccinati contro la malattia.
Boom di casa a settembre: +660%
Dal 1° al 30 settembre, secondo l’Oms, ci sono stati 229 nuovi casi di Mpox, il nuovo nome dato dalla stessa Organizzazione al vaiolo delle scimmie. Si tratta di un aumento del 660% rispetto al mese precedente e che riguarda l’Europa, mentre nel mondo ad agosto si era registrato un calo del 16%.
In tutte le altre regioni del globo, infatti, contagi sono in diminuzione compresa l’area del Pacifico occidentale, dove si segnala un calo del -32%. In Africa, addirittura, i casi di malattia sembrano indicare un crollo (-70%). Ma a questo proposito l’Oms spiega che «non è chiaro se ciò sia dovuto a una riduzione “effettiva “dei casi o a un ritardo nella segnalazione». A settembre, invece, «21 Paesi hanno segnalato un aumento dei contagi rispetto al mese precedente», indica il report. L’Europa è ora un sorvegliato speciale, con «il Portogallo ha riportato il più alto aumento relativo di casi (86 contro 3). Altri Paesi della regione europea che hanno registrato un aumento dei contagi segnalati includono Spagna e Regno Unito».
Il tutto dopo che lo scorso maggio l’Organizzazione mondiale della Sanità aveva decretato la fine dell’emergenza sanitaria e dopo che nei mesi scorsi si era fatto ricorso alle vaccinazioni.
Le prime vaccinazioni in Italia
Dopo la prima vittima italiana, a Cuba nei mesi scorsi, infatti, c’era stato anche il primo vaccinato a Milano contro il vaiolo e si era trattato di un volto noto: Costantino Della Gherardesca. Il conduttore tv e radio aveva postato una storia su Instagram, nella quale spiegava: «Adesso lo posso dire. Sono stato il primo a Milano ad essere vaccinato per il vaiolo delle scimmie. Fatelo anche voi. Grazie ospedale San Raffaele e grazie dottoressa Diana». A Milano, dunque, era stato il primo a ricevere il vaccino, ma la Regione era anche partita con una campagna di somministrazione, dopo aver ricevuto le prime 2.000 fiale a inizio agosto 2022, alle quali se ne erano aggiunte altre 2.847 dal Ministero della Salute.
La corsa alla protezione
Diverse regioni, infatti, si sono attrezzate nel corso del tempo e tra queste c’è stata anche la Lombardia, dove fin dal 1° settembre 2022 è possibile prenotarsi per ricevere il vaccino, tramite il portale online. È sufficiente fornire il codice fiscale e la tessera sanitaria regionale (prenotasalute.regione.lombardia.it), mentre le fiale sono disponibili presso i Centri Vaccinali delle ATS provinciali e nei Centri per la prevenzione delle Infezioni Sessualmente Trasmesse delle ASST /IRCCS lombarde. Intanto era scattato l’ allarme anche negli Usa, dove i casi da inizio agosto dello scorso anno erano stati 18mila in poche settimane, dei quali più di 3mila nella sola New York. Anche negli Usa, dunque, si era partiti con le campagne di vaccinazione, anche se il New York Times denunciava come i pazienti che avevano contratto l’infezione fossero stati spesso lasciati in balia di se stessi o stigmatizzati, perché la popolazione più a rischio sarebbe costituita da uomini, soprattutto con comportamenti sessuali a rischio come rapporti con altri uomini.
Ma come si contrae? Cosa c’è da sapere? Il punto sulla situazione e cosa c’è da sapere, secondo le indicazioni di Matteo Bassetti, infettivologo del San Martino di Genova.
C’è da preoccuparsi?
Tra i primi a intervenire, commentando le notizie sui contagi, era stato l’infettivologo del San Martino di Genova, Matteo Bassetti, che fin da maggio 2022 dal proprio account Instagram aveva scritto: «Finita l’emergenza del Covid, ecco un’altra infezione che mai si era vista trasmessa da uomo a uomo nel nostro continente. Si tratta del vaiolo delle scimmie». Sempre Bassetti, dopo aver spiegato le caratteristiche della malattia, aveva esortato a riconoscere i casi e isolarli per «fermare sul nascere questa infezione. Bisogna agire rapidamente e uniti. Non possiamo permetterci una nuova epidemia».
A lui avevamo chiesto alcuni chiarimenti sulla malattia.
I nuovi casi di vaiolo delle scimmie
Come ricorda il dottor Bassetti, i primi 14 casi erano stati segnalati in Portogallo, 9 nel Regno Unito e 7 in Spagna, con un numero poi destinato a crescere nei mesi, tanto che di vaiolo delle scimmie si sta parlando ancora oggi e anche in Italia. Il cosiddetto “paziente zero” in Inghilterra era stato identificato dall’Agenzia per la sicurezza sanitaria del Paese (UKHSA) in un uomo rientrato dalla Nigeria, in Africa. All’epoca lo stesso ente sanitario precisava che non era scattato alcun allarme, anche se poi si erano registrate altre segnalazioni e tutte le persone che avevano viaggiato o erano entrate in contatto con la persona infettata erano state rintracciate per iniziare la profilassi contro il vaiolo. «Io credo sia importante fare quella che gli inglesi chiamano awarness, cioè una vigilanza attiva. Sono rimasto colpito perché, dopo aver scritto il post, ho ricevuto molte critiche: sembra che la gente preferisca non sapere. A preoccupare, ora, non è tanto la letalità della malattia, quanto la sua diffusione, come in tutte le malattie infettive» spiegava l’infettivologo.
Cos’è il vaiolo delle scimmie
Il nome “vaiolo delle scimmie” deriva dal fatto che è stato scoperto per la prima volta nel 1958 su alcuni primati in laboratorio. È una forma analoga a quella umana, debellata da tempo grazie ai vaccini, anche se con la fine delle campagne di somministrazione gli esperti indicano un numero di casi in aumento, pur se contenuto. La malattia che colpisce le scimmie e che ora è passata anche all’uomo, sarebbe meno contagiosa: «Il problema più importante è soprattutto il controllo infettivo. Lo abbiamo visto col Covid: oggi in un soggetto sano non crea particolari problemi, fino a qualche mese fa poteva anche andar male, ma in un anziano il rischio di complicanze era altissimo. Adesso il virus del vaiolo è passato dalle scimmie all’uomo e il contagio sappiamo che avviene tramite contatti molto ravvicinati e prolungati, ma occorre fare attenzione a cosa potrebbe accadere nel momento in cui si diffondesse da uomo a uomo con maggiore facilità. Inoltre non possiamo prevedere eventuali mutazioni che lo rendano più insidioso». Come “riconoscere” la malattia, dunque, e cosa fare?
Sintomi del vaiolo delle scimmie
I sintomi principali sono febbre e dolori muscolati, soprattutto alla zona della schiena, accompagnati spesso da mal di testa, «linfonodi gonfi, malessere generale e spossatezza. Nell’arco di 1 –3 giorni (talvolta anche di più) dall’insorgenza della febbre, il paziente sviluppa eruzione cutanea pustolare», come spiega Epicentro dell’Istituto Superiore di Sanità. Le pustole compaiono soprattutto sul viso, ma non è esclusa la presenza anche su altre parti del corpo, per poi diventare croste e cadere. «La malattia generalmente dura da due a quattro settimane. In Africa il vaiolo delle scimmie è fatale in circa il 10% delle persone che contraggono la malattia. La mortalità per il vaiolo umano era di circa il 30% dei casi prima cha la malattia fosse eradicata», aggiunge l’Iss.
Trasmissione e cura del vaiolo delle scimmie
«In caso ci fossero sintomi compatibili, occorre rivolgersi al proprio medico, che possa riconoscere la malattia o indirizzare a uno specialista infettivologo. Ma non c’è una cura specifica. Per fortuna il vaiolo delle scimmie “si autolimita”: sappiamo che ha una letalità del 10% nella forma trasmessa dalla scimmia all’uomo, ma non è detto sia la stessa tra uomo e uomo, potrebbe essere più bassa o anche non mortale, ma il problema è la sua diffusibilità. Come altre malattie infettive, non è detto che sia letale, ma costringe comunque a star male e quindi è da evitare. Purtroppo il rischio è che possa diffondersi e dunque diventare incontrollata».
Dov’è finito il vaccino contro il vaiolo?
Fino a circa la metà del 1970 era previsto il vaccino antivaioloso, poi abbandonato perché la malattia era considerata debellata: «Non sappiamo l’età delle persone finora contagiate, ma è possibile che, se sono giovani, non siano state vaccinate. Ora occorrerà valutare cosa fare per evitare l’insorgenza di focolai. Se tra tre settimane rimarranno pochi casi, non ci sarà da preoccuparsi, altrimenti bisognerà ripensare tutto e capire come agire» conclude Bassetti.