La prima volta che ho pensato che potevo essere carina avrò avuto 17 anni. Venivo da un passato di bambina bullizzata per via del peso (no, tranquille, non farò la vittima, un’infanzia da sfigati è una mirabile palestra per temprare il carattere) e preadolescente confinata nei gironi più bassi delle orribili classifiche dei maschi sulla “più bella della classe”. Non è che fossi proprio pessima, ma ero come certa frutta difettata: “carina, ma…”. L’avversativa sottolineava quei difetti che rendevano le altre qualità non sufficienti per rientrare nei parametri in voga sul mercato, che prevedevano come minimo un certo standard di magrezza e altezza. Vi ricordo che erano gli anni ’80. L’era delle super top. Della taglia 38. Di Kate Moss. La body positivity era un concetto sconosciuto e valorizzare la propria bellezza sembrava un’impresa.
L’orto del vicino è sempre più verde del nostro?
Ambivo allora, pur senza troppa pena, alla fulgida e inconfutabile bellezza di Francesca, che vantava lunghi capelli biondi, grazia da danzatrice e una mise sempre all’ultima moda declinata in tutte le sfumature del rosa. O a quella indomabile e selvaggia di Paola, che svettava abbondantemente sopra il metro e settanta e abbinava a un fisico atletico una sensualità spregiudicata mascherata da modi da maschiaccio. Io, al massimo, ero un tipo. Quella che i ragazzi sceglievano più come amica che come fidanzata. Una a cui chiedere un consiglio, non un appuntamento. Non mi truccavo, non mi agghindavo, non mi depilavo. Non era ideologia, era proprio pigrizia. E ancora i peli proliferavano indisturbati. Persino sotto le ascelle di Pretty Woman, alias Julia Roberts.
La bellezza come strumento di potere
Però un giorno, a teatro, accadde una magia. Mi passarono matita e rossetto e mi dissero che dovevo usarli per andare in scena. Non è che fossi proprio pratica di trucchi, ma bastarono due interventi rapidi su occhi, guance e labbra per vedermi diversa. E sentirmi diversa. Non solo più “piacevole”, ma più forte. Miracolo. È in quel momento, credo, che ho iniziato a capire che la bellezza può essere un incredibile strumento di potere.
Cioè, l’avevo già capito misurandola sulle altre. Ma solo allora ho realizzato che quel potere potevo averlo anche io, e senza essere una “bellezza da manuale”, semplicemente cambiando lo sguardo e iniziando a piacermi. I chili sono rimasti quasi tutti al loro posto, sono io che gli ho tolto peso. In parte con le diete, in parte imparando a valorizzare i miei punti di forza e a non concentrare l’attenzione solo su quelli che mi facevano sentire vulnerabile. Dopo essermi vergognata per anni delle mie cosciotte, finalmente ci ho fatto pace. Ho capito che fanno parte di me, dicono ciò che sono.
Per valorizzare la propria bellezza ci vuole soprattutto coraggio
Prendere il toro per le corna, cioè sfidare a viso aperto ciò che ci crea imbarazzo o ci fa paura, credo sia il segreto. È quello che ha fatto Pamela Anderson il giorno che ha deciso di non truccarsi più. Per una che ha costruito la sua fama su un aspetto bombastic, immaginate che stress pensare di “sfiorire” (che brutta parola!). Per questo si è tolta la maschera. E ha fregato il tempo.
Ora dice: «Invecchiare mi elettrizza!». Ma, attenzione, non ti stiamo invitando a mollare gli ormeggi. Tutt’altro! Ti diciamo che incredibile alleata può essere la bellezza, se solo impariamo a prendercene cura senza esserne ossessionate. Puntando all’autenticità. Che è uno dei nuovi “canoni estetici” di cui ti parliamo. Cioè le regole su cui si fondano l’estetica e la cosmetica contemporanee. Le altre sono: sostenibilità, versatilità, accessibilità, innovazione. Insomma, il massimo della performance, in modalità facile e democratica. Perché la bellezza è un diritto di tutte. Prendiamocela!