Vanessa Zappalà, 26 anni, viene uccisa dall’ex fidanzato mentre passeggia sul lungomare di Acitrezza (Catania) con alcune amiche. Una vera esecuzione. Lui poi scappa e poche ore dopo viene trovato impiccato nelle campagne lì intorno. Lascia un biglietto per i suoi due bambini, di 10 e 5 anni, e l’ex moglie.

Gli agguati di lui segnati sul diario

Quella con Vanessa era una relazione violenta e malata, come racconta al Corriere della sera il padre della ragazza, che aveva accettato la convivenza turbolenta dei due a casa sua, durata qualche mese: più volte Vanessa viene picchiata e costretta a uscire con foulard e fard per mascherare i lividi. A dicembre 2020, dopo altre botte e insulti, lei lo lascia, il padre di Vanessa gli toglie le chiavi di casa e lui comincia ad appostarsi, con le amiche che la avvisano quando lo vedono anche sotto casa loro. Vanessa segna gli agguati su un diario, con data e orario preciso: dieci in cinque giorni. Intanto sta tutto l’inverno in casa per paura di incontrarlo e poi a giugno decide di denunciarlo per stalking quando scopre che lui la spia dal sottotetto attraverso il camino, grazie a una copia delle chiavi. Insomma, “Totò” ascolta le parole e i rumori di casa di Vanessa. I carabinieri trovano perfino un gps sistemato sotto la macchina della ragazza, che monitora i suoi spostamenti.

Prima gli arresti domiciliari, poi il divieto di avvicinamento

Dopo la denuncia per stalking, il 7 giugno Antonino Sciuto passa una notte in caserma e un’altra di interrogatorio, a cui seguono gli arresti domiciliari. Il 13 giugno però è sotto casa della vittima perché il provvedimento cambia: ora ha solo l’obbligo di non avvicinarsi nel raggio dei 200 metri. Poi, come racconta il padre, due mesi di pace, e così Vanessa comincia a uscire di casa dopo Ferragosto. Finché, il 22 agosto, viene uccisa sul lungomare. Lui fugge, tutti lo cercano, infine il ritrovamento del corpo, impiccato.

La foto segnaletica diffusa dai Carabinieri dopo l'omicidio di Vanessa.
La foto segnaletica diffusa dai Carabinieri dopo l’omicidio di Vanessa.

I segnali premonitori di una possibile tragedia c’erano tutti, anche sui social, dove “Totò” lasciava indizi generosi, come Pollicino con le briciole di pane. Queste immagini oggi sono ancora più inquietanti, insieme a frasi come: «Non dimentico nulla, aspetto solo il momento giusto» con a fianco la figura di Tony Montana nel film “Scarface”

Perché solo il divieto di avvicinamento?

Possibile che di fronte a tutti questi segnali l’uomo abbia ottenuto solo una misura cautelare come il divieto di avvicinamento? Ci sono alcune cose che non tornano in questa bruttissima vicenda. Lo chiediamo all’avvocata Rossella Benedetti, che per l’associazione Differenza Donna difende tante vittime di violenza. «Il momento della denuncia è il più delicato per una donna, che esce dalla sfera di controllo dell’uomo e quindi è più vulnerabile. Ricordiamoci che per un compagno violento, l’unico modo per riprendere il potere su di lei diventa la violenza. Difficile capire come il giudice, dopo gli arresti domiciliari, abbia modificato la misura cautelare in quella, più morbida ancora, del divieto di avvicinamento. Per quale motivo? Forse per esigenze di lavoro? In realtà ogni dispositivo si può cucire sulla persona come un abito su misura, adattandolo alle esigenze del caso. Anche in questo caso andava fatto. Si poteva per esempio disporre nello stesso tempo il braccialetto elettronico, strumento che funziona molto bene e che si sta usando sempre di più: quando il detentore del braccialetto si avvicina alla persona offesa, anche senza che questa lo veda, suona un allarme. Di sicuro per lui sarebbe stato un deterrente».

Vanessa sapeva del divieto di avvicinamento?

Altra cosa che non torna è se Vanessa sapeva della modifica della misura cautelare, cioè se era a conoscenza del fatto che gli arresti domiciliari erano diventati un semplice divieto di avvicinamento. «Quando viene introdotta una modifica, va notificata alla persona offesa che ha diritto di intervenire: se una donna ha molta paura, può chiedere che la misura non sia cambiata. Ci sono due giorni di tempo per farlo, e se la notifica non è stata inoltrata alla donna, per un giudice la misura è inammissibile. Insomma quello che è accaduto rappresenta davvero un fallimento della giustizia». Lo ha pubblicamente dichiarato anche la senatrice Valeria Valente, presidente della Commissione parlamentare d’inchiesta sul femminicidio: «L’uccisione di Vanessa Zappalà è una sconfitta dello Stato, come tutti i casi di femminicidio annunciati. Le misure di protezione in gran parte già esistono, ma vanno usate di più e meglio e al contempo rese più efficaci. Altrimenti diventerà sempre più difficile chiedere alle donne di denunciare».

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Anche nel caso di Vanessa, la violenza dell’uomo è stata sottovalutata, come dice l’avvocatessa Benedetti: «Purtroppo succede in molti casi: chi deve tutelare le donne non riesce a “leggere” le situazioni e a capire che ha di fronte non un uomo geloso, ma un potenziale assassino. E che il conflitto tra i due non è una lite di coppia, da risolvere bonariamente, ma un esercizio di potere in cui la donna soccombe sempre». Quella di Vanessa è stata un’esecuzione vera e propria. Annunciata.