Loris Stival è morto mentre giocava con le fascette elettriche. È stato un incidente. Non l’ho ucciso io. Io ho portato il corpo nel canalone”. Ecco l’ultima verità di Veronica Panarello, 27 anni, la mamma di Santa Croce Camerina accusata dell’omicidio del figlio di otto anni e del tentativo di non far trovare subito il cadavere, buttato vicino al Mulino Vecchio. Per mesi, arrestata e rinchiusa in carcere, la giovane donna aveva giurato di aver accompagnato Loris a scuola, sbugiardata dalle riprese delle telecamere di sorveglianza del paese ragusano. Poi ha raccontato di non aver portato il figlio né a lezione né altrove, sostenendo che lui era rientrato in casa da solo. Ora, a ridosso dell’udienza preliminare e del probabile rinvio a giudizio, il cambiamento di rotta di Veronica e le prime ammissioni.
Veronica alla vigilia dell’udienza preliminare ha cambiato ancora versione: perché?
Il tribunale del Riesame di Catania, confermando la custodia cautelare in cella, l’aveva definita “una lucida assassina“, capace di elaborare una “strategia manipolatoria” e “di un’agghiacciante indifferenza”, con “totale assenza di pietà”. I giudici della Cassazione, motivando il no alla scarcerazione, ne hanno evidenziato “la personalità contorta”.
La psicoterapeuta Anna Salvo, docente di Psicologia dinamica dell’università di Cosenza, prova a spiegare che cosa può essere accaduto nella testa e nel cuore della donna. “L’elaborazione di una cosa così drammatica, l’omicidio, può richiedere tempo, molto tempo. Posso dire che da un punto di vista psichico non è da escludere che l’evento traumatico sia stato temporaneamente rimosso. È già successo altre volte. All’ospedale psichiatrico giudiziario di Castiglione delle Stiviere, dove venivano portate le mamma assassine incapaci di intendere e volere e pericolose, il direttore mi raccontò che per ammettere l’assassinio di un figlio ci volevano anche due, tre anni“. Annamaria Franzoni, altro caso, non ha mai confessato. Continua a professarsi innocente.
Il comportamento immediato dopo la morte del figlio quadra con l’incidente domestico?
L’incidente domestico, secondo l’esperta, per Loris “in teoria ci potrebbe anche stare, però non torna con la reazione di Veronica, sempre dal punto di vista psichico: la donna non ha urlato, non ha aperto la finestra per richiamare l’attenzione dei vicini, non ha telefonato all’ospedale. Ha preso il corpo, ora lo ammette, e lo ha portato in un canalone, liberandosi anche dello zaino del figlio. E in una situazione del genere, come se niente fosse successo, subito dopo si è presentata a un corso di cucina al castello di Donnafugata”. Poi sono arrivate le bugie, le lacrime e i tentativi di depistare gli investigatori, comunque sia andata. Perché? “Le risposte – sostiene sempre Anna Salvo – le avremo dal processo. Non voglio dare io giustificazioni, né suggerire strategie difensive, ma da ciò che ho letto sui giornali questa donna ha avuto un passato complicato. C’è il quadro di una personalità disturbata, ci sono state sofferenze e sbavature”. “Dopo quasi un anno di carcere – constata ancora l’esperta – Veronica comincia ad arrivare vicino a quello che è accaduto. Ammette il trasporto del corpo, ad esempio. Rimane il grande buco nero, le cause della morte del piccolo Loris, che lei in questa fase riempie con l’incidente domestico”.
Perché mentire anche al marito?
Veronica ha davvero una mente criminale e ha previsto che in carcere potessero intercettare i colloqui con il marito, regolandosi di conseguenza? Oppure almeno a lui ha detto qualche frammento di verità? “ll compagno – ricorda la psicoterapeuta – è la persona che l’ha aiutata a tirarsi fuori dalla famiglia d’origine e dai problemi dell’infanzia e dell’adolescenza, consentendole di costruirsi una esistenza serena. È lui il giudice che Veronica teme di più”.