La Vespa, capolavoro della Piaggio, compie 70 anni. E tutti vorremmo soffiare su quelle candeline, perché tutti sentiamo che qualcosa di speciale ci lega a lei. Ma qual è il segreto del successo di questo scooter che ha rivoluzionato il mondo della guida in equilibrio, anticipando di mezzo secolo la globalizzazione?
Inarrestabile missionaria a due tempi, la Vespa ha diffuso ovunque nel mondo il verbo del genio italiano, abbattendo distanze geografiche e sociali. In sella ci si può trovare chiunque: l’operaio, il manager, il professore come la studentessa, o magari il fattorino che ci trasporta più cose di un furgone. In India la usano anche i bonzi, e può capitare di vederne in qualche foto vintage di Mosca, con alla guida un soldato dell’Armata Rossa. Ma un rottame di Vespa, che sembra morto e in realtà respira ancora, sa spuntare persino tra le capanne di uno sperduto villaggio africano, dove solo altre due cose sono riuscite ad arrivare dal Nostro Mondo: la Coca-Cola e il calcio.
Ecumenica e immortale, la Vespa ha unito generazioni intere, capelli al vento, in un grande sorriso alla libertà; ma sempre riuscendo ad appartenere a ciascuno singolarmente, attraverso una storia personale.
Da bambino, al tempo in cui pudicamente le signore si mettevano sul sellino di traverso, ne ammiravo la giurassica versione a tre marce che si vedeva per lo più in campagna, e già sognavo di guidarla. Nel giugno dell’80 festeggiai i 18 anni portando al mare la mia ragazza con la PX nuova fiammante che m’avevano appena regalato. Appena arrivati corremmo a tuffarci e quando tornammo a riva la guardai: era bellissima. La Vespa, intendo. Le cromature brillavano al sole, e il fanale sul manubrio, girato verso di me, sembrava ricambiare il mio sguardo.
L’estate scorsa sono tornato nello stesso posto, ma con mio figlio. Tutto era cambiato, tranne la Vespa. Quella Vespa dell’80 che ancora va una meraviglia e che, come dire? è una di famiglia. Ecco: forse, semplicemente, è questo il suo segreto.