L’altro giorno mi sono messo a sistemare tutti i libri che avevo accatastato negli ultimi mesi senza un senso. Preso da manie di grandezza, ho deciso di sistemarli come in una biblioteca, per temi. Così, ho fatto una sezione dizionari e, nella sezione dizionari, ne ho trovato uno piccolo piccolo del 1962, lo Zingarelli, che usavano i miei genitori a scuola.
Incuriosito, sono andato a cercare delle parole che mi interessavano, per vedere come venivano definite nel 1962. Naturalmente, non poteva mancare la parola “donna”: da quando scrivo per Donna Moderna ho una specie di deformazione professionale.
Comunque, lo Zingarelli del 1962 definisce la donna così:
f. Femmina dell’uomo. / di casa, che sa accudire alle faccende domestiche / Sposa, Moglie. / Donna amata/ Signora, Padrona. / Servente di casa. / di cucina, Cucina, Sguattera / Ragazza in grado di prender marito. /nobil –, di condizione signorile. /prima -, Cantante o attrice che sostiene parti principali.
Non nego che mi ha colpito. Era il 1962, mia madre non aveva nemmeno vent’anni, stava cioè diventando una donna e quello che la comunità – il cui pensiero era ben espresso in quella definizione di dizionario – si aspettava da lei era questo: innanzitutto che la sua esistenza fosse vincolata a quella dell’uomo. Lei esisteva solo in quanto «femmina dell’uomo».
È vero, si potrebbe intendere per “uomo” specie umana, ma, come vedremo, definizioni successive negli anni, ripuliscono ogni traccia di questa ambiguità («Nella specie umana, l’individuo di sesso femminile», Treccani online; «An adult human female», Oxford online).
Ma andiamo avanti. La prima cosa che la comunità si aspettava da lei era che fosse una che se la sa cavare in casa. Nessun’altra aspettativa: quella è la prima locuzione che il dizionario riporta. Al massimo che fosse una sposa, una moglie (quindi sempre in relazione all’uomo) o che fosse in grado di cucinare. L’unica via di fuga da questo sistema era essere una cantante, un’attrice.
Per quasi trentacinque anni, mia madre ha lavorato invece in una fabbrica petrolchimica. Forse solo adesso capisco da dove venisse quel suo senso di colpa di lasciarci a casa ogni giorno, a me e a mio padre, prendere per quasi un’ora l’autobus per arrivare nella zona industriale di Pisticci Scalo e stare tutto il giorno fuori, e solo la sera riprendere l’autobus e ritornare. Solo la sera e il sabato e la domenica lei si sentiva quella donna lì, quella del dizionario ed era un poco più serena. Quel suo senso di colpa veniva dall’aver deluso le aspettative della comunità, cioè dello Zingarelli del 1962 che le diceva invece che avrebbe dovuto occuparsi di noi. Anche se noi, io e mio padre, ce la siamo cavata benissimo in quegli anni, con le melanzane surgelate che ci aveva preparato lei – e che lenivano un poco il suo senso di colpa – o con improvvisate paste al pesce e ketchup che cucinavamo con massimo divertimento. E noi eravamo orgogliosi di lei, della fatica che faceva, anche se non era come le donne di cui parlava lo Zingarelli del 1962. In questo, anche mio padre è stato bravissimo a essere precursore dei tempi, senza mai essere stato un rivoluzionario, così come mia madre.
Che poi, lo Zingarelli non aveva nessuna colpa: era solo il testimone di un’epoca. Oggi, le definizioni dei dizionari della parola “donna” sono diverse. Il Sabatini Coletti online, per esempio, prende atto di tutti i cambiamenti e tra le locuzioni che propone ce ne sono alcune che per lo Zingarelli del 1962 sarebbero state pressoché inimmaginabili:
Persona adulta di sesso femminile: d. giovane; d. sensibile; con valore collettivo: emancipazione della d.; con sottolineatura della raggiunta maturità psicofisica: diventare d.; può unirsi, come primo o secondo elemento variabile, a nomi di professioni formando composti, preferiti al genere femminile del sostantivo: donna-poliziotto; donna-soldato
E addirittura quella che era la definizione del 1962 oggi finisce per essere una locuzione dispregiativa:
d. oggetto, ridotta alla dimensione di cosa, privata di dignità
Le parole cambiano assieme al mondo, qualche volta cambiano il mondo. Di sicuro hanno il potere di far sentire le persone nel posto e nel momento giusto oppure in quelli sbagliati. Se c’è una cosa di cui sono felice è che in questo momento ci sono tante donne nel mondo che non hanno sensi di colpa perché un dizionario le definisce in modo diverso da come loro sono o si sentono. Ma ci sono ancora tante parole da cambiare perché questo sia un mondo migliore.