“No, non ho mai chiuso gli occhi davanti alla mafia”. Dalla Sicilia di fine anni ‘80 all’Emilia Romagna infiltrata dalla ‘ndragheta di oggi, Vincenza Rando, classe 1958, avvocato e attivista, responsabile nazionale dell’ufficio legale di Libera, la più importante rete associativa contro le mafie in Italia, ha continuato ad elaborare vere e proprie strategie civili contro la criminalità organizzata. Lo ha fatto producendo dapprima cultura, fondando un’associazione e lottando per la costruzione delle scuole per i bambini. “La scuola disturba chi vuole dominare i territori con la paura e a Niscemi la mafia impediva i lavori per completare la costruzione degli edifici scolastici – racconta – così, arrivammo a dormire di notte nei cantieri, per permettere alle imprese di completare le opere”.
Bisogna educare alla legalità
Da consigliere comunale a vicesindaco fino a presidente nazionale di Avviso pubblico (associazione che raduna le amministrazioni pubbliche che promuovono la cultura della legalità), si è sempre sentita poco “politica” ma più una cittadina al servizio del bene comune. “Le mie radici sono nell’associazionismo, per questo l’incontro con Don Luigi Ciotti è stato determinante nella mia vita”.
All’inizio degli anni duemila, Vincenza Rando si trasferisce a Modena. Lì prosegue la sua attività professionale di legale esperta in diritto amministrativo e contemporaneamente inizia la sua intensa opera di volontariato, entrando nell’ufficio di presidenza di Libera, diventando avvocato dell’associazione di parte civile nei maggiori processi contro la criminalità organizzata in Italia.
“L’Emilia Romagna è regione accogliente, dove non manca nulla. Ma appunto le mafie vanno dove c’è il denaro e qui ce n’è parecchio”. Vincenza ha l’occhio disincantato di chi ha studiato, ha seguito processi e strategie criminali, ci mette poco a comprendere che la criminalità organizzata è approdata anche lì. “Ci sono reati spia, come gli incendi dolosi verso automezzi e negozi, alternarsi di un certo tipo di esercizi commerciali che dovrebbero insospettire gli amministratori pubblici”. Ma come racconta Vincenza, è proprio mancata alla società emiliana una capacità di lettura di questi fenomeni. “Ingenuità che i sindaci di oggi non si possono più permettere”, precisa la Rando. Come sa bene il giornalista modenese Giovanni Tizian minacciato di morte perché raccontava gli intrecci delle cosche sul gioco d’azzardo, reati ripresi nel processo Black Monkey. Così come l’inchiesta giudiziaria Aemilia ha svelato la connessione tra imprese emiliane e ‘ndragheta nei lavori di ricostruzione del post terremoto e la profonda penetrazione sociale dei clan calabresi.
Vanno creati gli anticorpi
Come? “Portando i ragazzi e la società civile alle udienze, ad esempio – sottolinea convinta – una vera lezione di partecipazione e conoscenza del fenomeno mafioso”. Rito civile che accade ormai per decine di dibattimenti in tutta Italia. Così è stato per il processo per Lea Garofalo, uccisa dalla ‘ndrangheta per tutelare la figlia Denise Cosco, accompagnata nelle aule del tribunale di Milano da tanti giovani che non l’hanno mai fatta sentire sola. Ma non basta. “La strada è anche quella della formazione, coinvolgendo non solo i ragazzi delle scuole ma anche gli adulti professionisti, creando un patto tra generazioni” ribadisce.
Bisogna combattere le infiltrazioni mafiose nell’economia
“L’etica, la conoscenza dei meccanismi mafiosi va diffusa proprio verso chi con la propria attività può entrare in contatto con la criminalità organizzata, dai notai agli imprenditori”. Intanto la regione Emilia Romagna ha appena varato, il 26 ottobre 2016, la prima legge in Italia contro le infiltrazioni mafiose nell’economia che regola le normative su appalti, contro l’usura e il racket del gioco d’azzardo e quelle che disciplinano l’utilizzo dei beni confiscati alla mafia. Testo alla cui stesura Vincenza Rando ha contribuito. “Dobbiamo tutelare gli imprenditori che agiscono per il bene e isolare quelli che agiscono per il male”. Un altro risultato che rende sempre più scomodo il suo impegno crescente e la sua generosità, oggetto di attacchi e minacce. “Forse potrei fare meno cose e con più calma ma ora sento di poter dare tanto e vado avanti”. Il prezzo di tutto questo? Una vita vissuta a ritmi elevatissimi in cui rimane poco spazio per Enza, così la chiamano gli amici, e la sua vita privata. “Ma il tempo per me lo ritrovo, quando riesco ancora a ridere”. E capita spesso.