Alzarsi un mattino e fare le cose di sempre. La doccia, il caffè, le prove allo specchio. Quell’ultimo imprevisto che ti fa perdere tempo, le chiavi che non si trovano, gli occhiali da mettere in borsa, il rossetto del colore sbagliato. Uscire pensando che sia un giorno qualunque, ed essere quasi felici. Sei appena stata assunta in via definitiva, è luglio, c’è il sole, e va tutto bene. Così la giornata vola. Chiami tuo figlio per avvisare che stai per tornare. La gioia di quel messaggio che tutte abbiamo mandato uscendo dal lavoro, pensando al weekend o alla cena. Non tornerai.

Morire in un giorno qualsiasi

Manuela, 50 anni, è stata freddata all’uscita della clinica in cui lavorava come fisioterapista dall’ex marito. Due colpi di arma da fuoco, sparati dal posto di guida, col finestrino abbassato. Neanche lo sforzo di uscire dall’auto. Fucile a canne mozze, come nei film di sbirri e malavita. Appena il tempo di chiedere aiuto e già non c’era più. Morire in un parcheggio, l’ultimo giorno di lavoro prima delle ferie. Morire senza motivo, come un civile seccato da un cecchino. Vittima di una guerra senza regole, che è tutta nella testa del tuo assassino. È questa la cosa che più mi lascia sgomenta davanti alle storie di femminicidio.

Ventisette dall’inizio dell’anno. Forse di più quando uscirà questo pezzo. Assistere alla fine di una vita che coraggiosamente aveva ripreso a battere. Manuela aveva chiuso da tre anni col suo ex, nessun segnale sospetto, nessuna confidenza ad amiche o colleghe su quel compagno balordo che già aveva avuto precedenti per atti persecutori e stalking legati a una precedente relazione. I loro rapporti sembravano civili. Tutto normale.

La beffa di morire pur avendo annusato il pericolo ed essersi salvata. Se neanche questo basta, uscire cioè dal perimetro del rischio, chiudere in tempo, cos’altro c’è da fare? È il guscio che si crepa, come la crosta di un cremino, quello che fa paura. La fragile membrana che divide il consueto dall’abominevole. La tragedia che irrompe senza ragione e senza preavviso in un momento qualsiasi, lasciando polvere e macerie, cambiando per sempre la traiettoria del dopo. Uno schema che si ripete.

Violenza di genere, quando l’amore è avariato

Per questo non riesco a togliermi dalla testa le 52 foto scattate da Filippo Turetta il giorno in cui ha ucciso Giulia Cecchettin. La cronistoria dell’ultimo appuntamento archiviata nel suo telefonino. Tre ore e 20 di vita cristallizzata prima dell’indicibile, dalle 17.50 alle 21.10.

Scene di un pomeriggio qualsiasi, di cui solo uno dei due conosceva la trama completa. Lei scherza, prova un vestito, si presta svogliata al gioco dei selfie mostrando un sorriso tirato. Sa bene che quel succedaneo di amicizia non si avvicina neanche a un buon rapporto tra ex, è solo un placebo per tamponare la smania di controllo di Filippo, tenerlo buono. Ma Giulia ha già capito che c’è qualcosa di strano. «Sei ossessionato, mi spaventi» gli dice in un vocale.

Avverte la minaccia sotto la scorza di dolcezza. Tutte quelle attenzioni, quei regali, non hanno niente di tenero e di vero, sono le tracce di un amore avariato, che rischia di esplodere se non è ricambiato. In macchina ad attenderla c’è uno zainetto pieno di peluche vicino a due coltelli da cucina. L’ordinario accanto all’inaudito.

Nessuno è immune contro la violenza di genere

È questo che rende tanto difficile porre fine alla violenza di genere. La sproporzione tra la causa e l’effetto, la difficoltà a credere che possa accadere davvero, anche se hai colto i segnali e alzato la guardia. Perché lo conosci e perché ti conosci, e sei sicura che a te non può succedere. Restare sul bordo della tragedia, sperando che non capiti niente. E invece capita, nessuno è immune.

Manuela rimarrà un nome e un numero nel conteggio delle vittime di femminicidio. Insieme ad Anna, dottoressa uccisa dall’ex marito dopo l’udienza per l’affidamento dei figli e Rosa e Ester e Elisa… Giulia forse no. La immagino il giorno della laurea, 5 giorni dopo il suo assassinio. Una vita davanti finita di colpo e senza motivo. Il suo viso è un fotogramma indelebile nella memoria collettiva. Un monito a porre fine a questa guerra.