“Il mio nome non è Xiao Juan. Un alias è la mia ultima difesa. Un titolo sulla pagina di un giornale. Un mosaico che mi copre gli occhi (…) Impara il mio nome e ricordalo. Quando metteremo fine a questa tragedia?”. Così canta Tan Weiwei, popolarissima cantante cinese, nella sua canzone “Xiao Juan”, il cui titolo rimanda al nome fittizio che viene dato alle donne vittime di crimini alle quali non è possibile attribuire un’identità precisa (come succede in America con “Jane Doe”).
La canzone è diventata un fenomeno in Cina, dove su Bilibili (una piattaforma per lo streaming dei video simile a YouTube, che nel Paese è bloccato così come tutti i social occidentali) ha collezionato più di un milione di views, mentre su Weibo (che è un mix tra Facebook e Twitter) i post con l’hashtag “la canzone di Tan Weiwei è così coraggiosa” sono stati visti e commentati più di 360 milioni di volte.
In Cina, come in Italia e nel resto del mondo, la pandemia ha accentuato i problemi legati alla violenza domestica, con milioni di donne rinchiuse in casa con i loro partner violenti, al punto che già lo scorso aprile le Nazioni Unite segnalavano un allarmante rialzo delle denunce e spingevano i governi nazionali, impegnati sul fronte dell’emergenza sanitaria, a non sottovalutare la questione e a mettere in campo azioni di supporto per le vittime.
La canzone di Tan Weiwei, che è stata scritta dalla sua collaboratrice di lunga data Yin Yue, ha sollevato un dibattito nazionale sulla violenza di genere, in un Paese in cui l’argomento è ancora considerato tabù e che dal 2016 ha registrato almeno 900 vittime di femminicidio, come riporta il New York Times citando le statistiche di Beijing Equality, un’associazione che si occupa di diritti delle donne.
La canzone ha insomma toccato un nervo scoperto e, proprio com’è successo in Occidente dopo il #MeToo, ha spinto moltissime donne a condividere online le proprie storie e la propria rabbia verso una società patriarcale che molto spesso tende a schiacciare le donne. “Xiao Juan” fa infatti riferimento ad alcuni casi che hanno scosso la Cina, come l’omicidio della tibetana Lhamo, alla quale l’ex marito ha dato fuoco lo scorso settembre, e al caso di una donna i cui resti sono stati ritrovati in un fiume (“dal letto letto nuziale a quello del fiume”, canta Tan Weiwei). Un’altra frase della canzone – “Riponi il mio corpo in una valigia e mettilo in un frigorifero sul balcone” – ricorda invece uno scioccante caso di omicidio accaduto del 2016, quando un uomo di Shanghai uccise sua moglie e nascose i suoi resti in un frigorifero per oltre 100 giorni.
“Xiao Juan” è diventata quindi una canzone simbolo per il crescente movimento femminista in Cina, dove le donne più giovani, soprattuto studentesse, negli ultimi anni si sono fatte avanti per accusare di molestie sessuali uomini di spicco in vari campi, dai media alle università fino alle istituzioni religiose. Sempre più donne hanno poi denunciato casi di revenge porn e contestato l’odiosa pratica di riprendere di nascosto chi indossa pantaloncini o gonne in luoghi pubblici e diffonderne poi i video in chat private – al punto che molte indossano i cosiddetti “safety pants” ovvero dei pantaloncini sotto la gonna – un problema molto diffuso anche in Corea del Sud (dove per questo motivo la funzione della fotocamera di tutti i telefoni ha sempre il rumore del click che non si pò disattivare) e in Giappone.
«Solo quando questo tipo di dolore sarà veramente e ampiamente visto, ascoltato, riconosciuto e accettato, e solo quando questi problemi saranno affrontati e discussi apertamente, ci sarà la possibilità di porre fine a questa tragedia in futuro», ha detto l’autrice Yin intervistata dal giornale cinese New Weekly. E la sua canzone, unita alla voce intensa di Tan Weiwei, è riuscita a centrare l’obiettivo.