La vicenda è grottesca e farebbe sorridere, se non riconducesse a un tema che è tutto fuorché divertente: la violenza contro le donne. Succede in Umbria. All’ordine del giorno del consiglio comunale di Perugia, il 5 ottobre approda la proposta di due consiglieri “Finché violenza non ci separi”: una serie di iniziative per contrastare la violenza di genere, con l’obiettivo, tra gli altri, di mandare in vacanza “per staccare la spina” i partner di coppie “in crisi” , che magari vivono una situazione di violenza.
La proposta per ora è ferma
La protesta dell’opposizione e delle associazioni femministe che operano da decenni sul territorio a tutela delle donne fa sì che l’atto venga rivisto e, dopo una seconda seduta, rimandato in commissione, dove al momento è fermo. Per ora, solo uno stop politico per una mossa che riaccende i riflettori su una regione dove freschissima è la polemica sui fasci littori al mercato coperto di Perugia, dove le donne di fatto possono praticare l’aborto farmacologico in day hospital in pochissime strutture e dove è pronto un disegno di legge per smembrare i consultori e affidarli alla gestione delle associazioni cattoliche e pro-famiglia.
La violenza non è riducibile a conflitto di coppia
Il provvedimento quindi per ora non è stato approvato per la protesta di 14 associazioni, che hanno scritto una lettera aperta al Sindaco e al Consiglio Comunale (disponibile anche come petizione). In prima fila, l’associazione RU2020 – Rete Umbra per l’autodeterminazione, seguita da organizzazioni storiche come Udi Perugia, Liberamente Donna Ets e Terni Donne. Alla base della protesta, l’equivoco e la confusione che regge il progetto, cioè la riduzione della violenza di genere a conflitto di coppia. «La gravissima e pericolosa derubricazione della violenza di genere a conflitto di coppia – si legge nella lettera – conduce di fatto alla normalizzazione fino alla negazione della violenza maschile contro le donne. In maniera grottesca si propongono viaggi e vacanze, gadget e visite ai musei: “Per rendere ancora più appetibile alle coppie l’adesione all’iniziativa, si potrebbe pensare di legare l’adesione a qualche benefit o gadget forniti da qualche sponsor del progetto, visita gratuita a qualche museo, teatro etc.”».
La violenza di genere va chiamata col suo nome
Come spiega bene Valentina Pigmei su Valigia blu, «Il Comune di Perugia, a direzione Forza Italia-Lega, sembra voler fare uno sforzo apparentemente giusto nelle intenzioni per portare “soluzioni”, possibilmente pratiche e immediate, all’“emergenza” della violenza di genere. Peccato che, nelle parole dei vari consiglieri ed esperti che si sono alternati, non si parli di “violenza di genere” o “violenza contro le donne” bensì di “violenza contro le persone”, come è stato più volte sottolineato da tutti i sostenitori della proposta». Abbiamo raggiunto Sara Pasquino, avvocata di RU2020: «In questo modo si lascia passare l’idea che la violenza non sia un fenomeno di genere, che sia un’emergenza quando in realtà è strutturale a tutti i Paesi dl mondo e che si possa affrontare con interventi nella coppia riducendola a “crisi”, quando invece è un atto unidirezionale dell’uomo contro la donna, in un rapporto sbilanciato basato su una disparità di potere. Oltretutto una disparità che, in base alla Convenzione di Istanbul, non si può affrontare con metodi diversi dal ricorso alle pene obbligatorie. Vuol dire, insomma, che di fronte a una donna che denuncia o a una coppia dove c’è un uomo violento, non è ammissibile la mediazione familiare, tanto meno una vacanza, ma bisogna ricorrere ad altri strumenti». Il punto è proprio questo: «Un conto è il conflitto, un conto la violenza: se si individua il conflitto, si mandano i partner in mediazione familiare ma, se c’è violenza, l’ultima soluzione è proprio quella di mettere marito e moglie in un residence, oltretutto presentato in maniera attrattiva, condito pure di gadget e bonus. Un modo evidente, insomma, di strumentalizzare la violenza per creare consenso politico».
Il punto cruciale è riconoscere la violenza
La proposta si articola in vari punti tra cui la formazione. Ma, anche qui, «Non si propone una formazione che parli ai/alle giovani di rispetto e parità, ma si vorrebbe “imporre una seria riflessione sulla motivazione che inizialmente affascina anche alcune delle potenziali future vittime”». Insomma, ancora una volta si sottintende che le donne scelgono la violenza quando in realtà, dice l’avvocata Pasquino, sappiamo bene che «La subiscono, hanno difficoltà a riconoscerla e ad allontanarsi dalla persona con cui hanno una relazione affettiva». Nella proposta si mira anche a creare corsi prematrimoniali. La senatrice Valeria Valente, Presidente della Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio, chiarisce a Valigia Blu: «Quando mi è stata chiesta un’opinione sulla generica possibilità di inserire anche nei corsi prematrimoniali indicazioni contro la violenza sulle donne, mi sono dichiarata favorevole, ma solo a patto di finalizzare la formazione alla maggiore consapevolezza degli uomini che, ricordiamolo, sono gli autori di una violenza asimmetrica e che quindi non possono essere messi sullo stesso piano delle donne. Ciò che sta emergendo sull’ordine del giorno presentato ripetutamente dal centrodestra al consiglio comunale di Perugia è quindi qualcosa di non corretto. Per debellare la violenza di genere è assolutamente indispensabile riconoscerne la matrice specifica di violenza maschile contro le donne».
Le famiglie vanno sostenute, quindi ben venga che la politica se ne occupi, ma un conto è la “crisi di coppia” – per cui attivare percorsi di mediazione – un conto è la coppia con un uomo violento, che va affrontata in un contesto specifico e sicuramente non a colpi di gadget e sconti per visitare musei.