«Lascia perdere il tuo lavoro e fai la mamma. Al massimo mi aiuti con l’azienda di famiglia». Sembrava un gesto premuroso quello del marito di Francesca e lei subito ha detto sì: per anni si è divisa tra i figli e l’attività di lui, senza mai ricevere un vero stipendio. Un caso isolato? Tutt’altro. Secondo uno studio del Women Economic Indipendence & Growth Opportunity, il 53 per cento delle intervistate ha sperimentato una situazione simile. Situazione che può diventare l’anticamera della violenza economica.

Come nasce la violenza economica

«Spesso iniziano così gli abusi che sfruttano il denaro come strumento di potere ai danni della donna» dice Claudia Segre, presidente della Global thinking foundation, che promuove l’educazione finanziaria tra le fasce più deboli e organizza i corsi di alfabetizzazione finanziaria D2-Donne al Quadrato.

«La buona notizia è che la Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne ha finalmente riconosciuto questa forma di sopraffazione». Quella cattiva è che ancora oggi l’abuso passa inosservato, come ha sintetizzato la numero uno del tennis Serena Williams in una campagna di sensibilizzazione: «Se avessi un occhio nero, un osso rotto o un braccio pieno di lividi, si capirebbe subito che ho bisogno di aiuto. E le violenze che non si possono vedere?».

I soprusi iniziano di soppiatto

Per esempio con lui che ossessivamente verifica gli scontrini della spesa, si occupa in modo esclusivo delle operazioni bancarie, magari con la scusa di sollevare lei dall’ennesimo compito. «Per me era normale» racconta Francesca. «A un certo punto mio marito mi ha messo a gestire la cucina del suo ristorante. Non guadagnavo niente, ma in fondo avevo il bancomat per fare la spesa e così pensavo: “Dov’è il problema?”». Il problema è che queste scelte, all’apparenza innocue, sono spesso il preludio di un’escalation di angherie.

«I passi successivi sono racconti che ho sentito tante volte: lui che controlla tutte le spese, nasconde le reali entrate finanziarie, nega il denaro necessario al ménage famigliare o sequestra la carta di credito» racconta Claudia Segre. «Fino ai casi più gravi, in cui l’uomo dilapida i risparmi o fa firmare alla donna documenti compromettenti, come ipoteche o assegni scoperti».

La posta in gioco non sono tanto i soldi, ma la dignità di chi subisce la violenza

«La vita quotidiana scorreva senza intoppi, eppure avvertivo dentro di me un senso d’inquietudine» conferma Francesca. «In queste relazioni malate, il denaro è un’arma per far sentire lei inferiore» conferma Patrizia Romito, professoressa di psicologia sociale all’università di Trieste e coautrice di La violenza sulle donne e sui minori. Una guida per chi lavora sul campo (Carocci Faber). «Accentrando su di sé la gestione finanziaria l’uomo manda un messaggio preciso: “Tu non sei in grado di farlo”. Questo genera insicurezza nella donna, a maggior ragione se ci sono di mezzo dei figli, e anche un senso di dipendenza che spinge a pensare: “Senza di lui non posso stare”».

A volte possono partire frasi che feriscono come schiaffi: «Taci che ti mantengo!». Ma come le percosse, anche certe parole sono inaccettabili. «A questo punto, bisogna correre ai ripari senza aspettare che l’aggressività verbale si trasformi in qualcosa di più» continua l’esperta. «Si può parlarne con un’amica o con i familiari. Ma la soluzione migliore è rivolgersi a un centro antiviolenza. È normale che faccia paura, non bisogna però pensare che sia per forza l’anticamera di una denuncia. Spesso basta un confronto con persone che conoscono bene queste dinamiche per capire se si è ancora in tempo a raddrizzare la relazione o se, invece, è meglio rivolgersi a un avvocato».

Violenza economica: bisogna arginare le prevaricazioni 

«Quando ho deciso di separarmi, mi sono sentita in trappola: non possedevo nulla, perché lui aveva fatto sparire tutto dal conto corrente » racconta Francesca. «Per fortuna, mio padre mi ha lasciato un’eredità con cui ho mantenuto gli studi dei ragazzi e ho sostenuto le spese di una lunga battaglia legale». Per interrompere la spirale abusiva, però, serve consapevolezza. Il punto numero uno? «In un matrimonio (ma anche in una convivenza) è fondamentale parlare di soldi, senza temere che certi discorsi intacchino i sentimenti» avverte Claudia Segre.

«Inoltre, mai pensare che una scelta di natura finanziaria sia irreversibile. Il più delle volte basta un gesto per tutelarsi. Se una donna lavora, per esempio, non deve mettere a disposizione della famiglia l’intero reddito, a meno che questa non sia una libera scelta. Mentre chi sta a casa deve pretendere un conto cointestato, ma con firme disgiunte, oltre a Bancomat e carta di credito a proprio nome. E sarebbe bene pensare a una polizza pensionistica».