Essere trattate come bambine inconsapevoli, non ricevere informazioni, essere tenute all’oscuro, subire manovre non richieste, avere paura di fare domande. Non riuscire a far sentire la nostra voce, anzi: vedere che la nostra voce viene silenziata. Ti sei mai trovata in questa condizione durante una visita ostetrico-ginecologica? Ti è successo, in gravidanza, di sentirti maltrattata, di provare dolore nello studio ginecologico e non essere ascoltata, oppure di ricevere commenti inappropriati sul tuo aspetto, sulle tue abitudini sessuali o sulla tua volontà di abortire, e non poter replicare? Se ti è capitato e hai provato disagio e frustrazione, se ti sei sentita inadeguata e perfino in colpa, il problema non era tuo ma di chi ha usato su di te una forma di violenza.
Violenza ostetrica: cos’è
Si chiama violenza ostetrica, una forma di violenza di genere codificata in legge in alcuni Paesi (Italia esclusa), quelli in cui viene riconosciuta come violazione dei diritti umani, in particolare di quelli riproduttivi. Nel 2014 L’Organizzazione mondiale della Sanità la identifica come un grave problema di salute pubblica, in grado di mettere a rischio il benessere e la salute della madre e del bambino.
Valentina Milluzzo come il 21 per cento delle donne italiane
Talmente a rischio che a volte succede addirittura che la madre muoia, com’è accaduto a Valentina Milluzzo nel 2016. Un caso archiviato come malasanità, per cui sono stati condannati in primo grado e assolti in appello due mesi fa quattro medici dell’ospedale Cannizzaro di Catania, dove la donna era ricoverata. Ma dietro questa storia c’è molto altro: ci sono le tante sfumature della violenza ostetrica che, rivela la prima indagine Doxa del 2017 (una delle più complete) condotta in Italia per conto di Ovo – Osservatorio sulla violenza ostetrica, negli ultimi anni ha riguardato più di un milione di italiane. Sempre da questo rapporto, si valuta che siano circa 20mila i bambini non nati ogni anno per motivi legati all’assistenza sanitaria ricevuta al primo parto, mentre il 21 per cento delle mamme italiane con figli di 0-14 anni dichiara di aver subito un maltrattamento fisico o verbale.
La cultura che nutre la violenza ostetrica
Dati impressionanti, ma soprattutto poco raccontati nel nostro Paese, dove paghiamo lo scotto di una cultura che tende a romanticizzare la gravidanza, a raccontarla in modo retorico privilegiando l’enfasi e nascondendone il più possibile i rischi. Una cultura per cui la donna nel momento in cui diventa mamma, perde i suoi diritti di persona, per il bene superiore del bambino. La violenza ostetrica è soprattutto questo: spegnere la voce della donna per farla diventare semplicemente “mamma”, infantilizzarla e poterla così gestire.
Il mancato aborto terapeutico di Valentina Milluzzo
Un tema molto scivoloso e delicato di cui si occupa il libro in uscita il 22 gennaio Senza spegnere la voce (Noüs ed.) di Giorgia Landolfo, giornalista e insegnante di yoga, dedita in particolare al benessere delle donne in gravidanza, alla preparazione al parto e al post parto. Il libro nasce dall’esperienza vissuta come giornalista in Sicilia nel seguire il caso di Valentina Milluzzo, ma anche dal vissuto personale relativo alla propria gravidanza in attesa di Riccardo e dai tanti, tantissimi incontri con donne poi diventate mamme.
«La storia di Valentina fu uno shock per tutta Italia: una donna incinta di due gemelli alla 19esima settimana, che morì perché non le fu praticato l’aborto terapeutico» ci spiega l’autrice. «Il tema dell’obiezione di coscienza non entra mai nel processo perché gli esiti della perizia da parte della commissione inviata dal Ministero della Salute esclusero questa possibilità, bollando il caso come malasanità. La verità però sta nelle parole della famiglia di Valentina, quando genitori e marito raccontano che i medici non intervennero svuotandole l’utero per tentare di salvare i feti. Feti che alla 19esima non avrebbero avuto alcuna probabilità di sopravvivere».
Violenza ostetrica è non poter scegliere
I confini tra malasanità, quindi errori di valutazione, e obiezione di coscienza, in questo caso sono molto labili. «Ciò che conta, però – prosegue Giorgia Landolfo – è che a questa donna sono mancati gli strumenti per poter scegliere, cioè le informazioni necessarie per capire cosa le stava succedendo e poter decidere eventualmente per l’aborto terapeutico, conoscendone quindi i rischi. Anche questa è violenza ostetrica. Nella cartella clinica non esistono tracce di tutto ciò, quindi non sappiamo se i medici si siano resi conto effettivamente della gravissima infezione in corso, o se abbiano trascurato l’infezione per tentare di salvare almeno uno dei feti».
L’obiezione di coscienza è una forma di violenza ostetrica
Fatto sta che Valentina Miluzzo è morta tra dolori terribili che nessuno ha curato nel modo giusto, tranne all’ultimo momento, quando era troppo tardi per salvarla. «In questa storia, purtroppo, sono convinta che resti protagonista l’obiezione di coscienza, anche questa una condizione gravissima in Italia, unico Paese al mondo in cui accade, e che lede i diritti della donna. Parliamo di diritti riproduttivi ma, ancora più in generale, di diritti umani» prosegue Giorgia Landolfo. «L’ultimo report sull’applicazione della legge 194, riporta che in Sicilia l’obiezione arriva all’81,5 per cento, in Molise al 90,9 per cento, per citare solo i dati più eclatanti. Anche non ottenere l’aborto è violenza ostetrica».
Quante manovre con consensuali sul corpo delle donne
Secondo i primi dati che possiamo al momento fornire relativi a un’indagine sul benessere dopo il parto svolta dal Dipartimento di studi urbanistici dell’Università di Urbino su 1.300 donne, hanno riferito di aver subito violenza ostetrica il 76,2 per cento. Il 62,2 dice di aver ricevuto cure non consensuali. «Proprio quello che è successo a me quando la mia ginecologa mi propose di sottopormi allo scollamento delle membrane» ci racconta l’autrice del libro. «Una manovra dolorosa per indurre il parto che, se eseguita senza consenso, invece che facilitarlo lo ritarda e lo complica. Questa pratica, molto frequente tra i ginecologi, consente loro di programmare le nascite e quindi organizzarsi con le visite al meglio, secondo la propria agenda e non secondo i tempi della partoriente. E così anche io mi sono ritrovata nella condizione di qualcuno che voleva decidere per me ma, a differenza di tante altre donne a cui è capitato, sono riuscita a impormi, rinunciando a lei e scegliendo un altro medico. Ma quante di noi restano in silenzio? Quante, in un momento di fragilità come questo, si lasciano guidare, senza capire cosa stia realmente accadendo nel loro corpo? Molte donne che ho anche incontrato di persona subiscono questo e altri interventi non richiesti, molti non necessari e pure dannosi, come in certi casi l’episiotomia». Che, rivela sempre l’indagine Doxa – Ovo, negli ultimi 14 anni è stata praticata senza consenso a tre donne su dieci, un milione e 600mila casi.
La pressione per allattare
Anche la pressione per allattare è una forma di violenza. Sempre secondo l’indagine dell’Università di Urbino, la più recente sul tema, oltre il 43 per cento delle donne riferisce di aver subito pressioni per l’allattamento. «Quella dell’allattamento forzato al seno è ancora oggi una non-scelta. Molte donne raccontano di aver subito maltrattamenti verbali per aver scelto l’allattamento artificiale, mentre alcuni ospedali non hanno neanche più il nido dove poter tenere il bambino mentre la donna riposa, proprio perché si dà scontato il roaming in, il fatto cioè di far stare il neonato da subito con la mamma, anche senza l’aiuto di qualcuno della famiglia che stia con lei».
Mancanza di risorse complice della violenza ostetrica
Certo anche i reparti di ostetricia e neonatologia scontano gli ormai cronici tagli, che a ogni Finanziaria si ripetono (nell’ultima, i fondi stanziati per il Sistema sanitario nazionale sono scesi sotto il 6 per cento del PIL). In molti casi, la buona volontà e la professionalità di medici, ostetriche e infermiere si scontrano con la mancanza di risorse, economiche e professionali, per assistere in modo adeguato le donne. Nel raccontare il fenomeno della violenza ostetrica non si può prescindere da questo contesto così complesso, ma neanche dal clima culturale che lo sostiene, come denuncia nella prefazione al libro la dottoressa Sasha Damiani, medica anestesista impegnata da anni con il progetto Mamme a nudo (un profilo social e un podcast) a smantellare la retorica della gravidanza e a sostenere le donne in questo periodo così particolare della loro vita, anche facendo formazione presso la classe medica.
La formazione dei medici e operatori
«Nell’ambito della mia attività di formazione a colleghi e colleghe – scrive la dottoressa Damiani – ho coniato l’espressione “Not all meds” per indicare il modo in cui la nostra categoria tende ad autoassolversi e girarsi dall’altra parte con fastidio. Dobbiamo invece dissociarci da questi atteggiamenti, anche da quelli apparentemente più innocui. Dietro ogni abuso macroscopico per cui ci indigniamo, c’è un iceberg di atteggiamenti paternalistici, frasi sminuenti e prassi irrispettose quotidiane: chiamare mamma qualunque donna abbia un test di gravidanza positivo, come se avesse improvvisamente smesso di essere sé stessa. Esaltare il sacrificio delle madri come cartina tornasole del loro valore. Invisibilizzare la salute mentale materna. Negare il riposo e la ripresa del post partum in nome delle policy ospedaliere (e dei relativi tagli al budget) sul rooming in. Colpevolizzare una donna ogni qual volta osi formulare richieste e decisioni, pur consapevoli e legittime, che non si conformano alle aspettative – dalla modalità e luogo del parto alla scelta di non allattare al seno».
La retorica vuota della gravidanza
Nella sua prefazione la dottoressa denuncia la retorica vuota dell’empowerment dei percorsi di maternità, che spesso si trasformano in imposizioni mascherate. «Sei libera di decidere, sì, ma solo entro i confini tracciati dagli altri. Il vero empowerment non è conformarsi a un ideale, bensì avere in mano le carte per poter giocare la propria partita ed essere rispettate nelle proprie scelte, qualunque esse siano». Insomma, per poter usare la propria voce.
Come accorgerti della violenza ostetrica
Ma come renderci conto se quello che ci sta capitando è una forma di violenza? Se quello che ci viene detto è solo un’informazione parziale, buona per silenziare i nostri dubbi, le paure e poter così avere una gravidanza e un parto standard? Giorgia Landolfo alla fine del libro lascia a tutte noi un vademecum pratico, scritto in collaborazione con Elisabetta Canitano, ginecologa romana oggi in pensione, presidente e fondatrice della onlus Vita di Donna: consigli chiari e concreti che tutte noi possiamo tener presente per capire quando i nostri diritti vengono calpestati, quando la nostra voce viene silenziata, quando veniamo considerate madri, prima che persone.