La violenza ostetrica esiste, ma per affrontare la questione non basta puntare il dito contro gli operatori, cioè i medici o il personale ospedaliero.
La violenza ostetrica è anche frutto della medicalizzazione del parto
«La gravidanza e il parto dovrebbero essere eventi fisiologici nella vita della donna e come tali andrebbero vissuti» afferma Monica Piccoli, dirigente medico del Dipartimento di Medicina neonatale dell’IRCCS Materno Infantile Burlo di Trieste e specialista in Ginecologia e Ostetricia. «Oggi, purtroppo, spesso non è così: assistiamo a una forte medicalizzazione delle cure ostetriche, quindi si è perso il naturale processo del parto. Una delle conseguenze è il trattamento della donna in modo asettico. Si tratta di una condizione che accumuna spesso anche i pazienti oncologici, psichiatrici o gli anziani ricoverati in medicina interna. È un’attitudine medica che ha portato a un approccio meccanico alla medicina. Occorre sicuramente un’inversione di rotta».
Violenza ostetrica negli ospedali: perché
«La violenza ostetrica è un problema complesso perché colpisce la donna, ma viene vissuto negativamente anche dagli operatori – spiega Monica Piccoli – A partire dagli anni ’80 abbiamo assistito a una medicalizzazione delle cure ostetriche, con l’introduzione di molte pratiche che, nelle intenzioni, miravano a migliorare la salute del neonato e della donna. Non dimentichiamo che il parto è un evento fisiologico, ma rappresenta anche un momento molto delicato in cui la normalità può evolvere in dramma in pochi minuti. È anche accompagnato da un forte dolore, forse il più intenso per una donna, quindi contornato da molta ansia. La stessa che vivono anche gli operatori, per lo stress che implica il fatto di assistere la donna e, nel caso, fare le scelte migliori in pochissimo tempo», prosegue la ginecologa. Da qui l’introduzione di una serie di pratiche, come l’episiotomia e la manovra di Kristeller, allo scopo di minimizzare eventuali danni.
Proprio queste pratiche, però, figurano nell’elenco delle violenze ostetriche.
Episiotomia e manovra di Kristeller: violenza ostetrica o manovre necessarie?
Il dibattito sull’utilità di questi interventi è aperto, come conferma l’esperta del Burlo di Trieste: «Si tratta di pratiche usate in passato per minimizzare gli eventuali rischi di un parto, ma non hanno evidenze scientifiche e andrebbero abbandonate. L’episiotomia, per esempio, viene comunque utilizzata nel caso ci sia un calo del battito cardiaco del bambino; la Kristeller, che consiste nel praticare una pressione manuale sulla pancia della donna, si usa per accelerare la nascita se il bambino non scende, per aiutare la donna. Ma è un metodo usato soltanto in Italia e forse in parte in Germania: dalla mia esperienza nel Regno Unito, per esempio, posso confermare che non vi si ricorre, ma si usano il forcipe e la ventosa, che invece in Italia non si usano più o raramente solo il forcipe. Il punto è che il momento del parto è talmente intenso e percepito come ad alto rischio sia dalla donna che dall’operatore, che talvolta è difficile mantenere la calma necessaria per adottare le scelte più corrette».
Troppa ansia e cause legali in sala parto
Per evitare complicazioni, quindi, si tende ad automatizzare il ricorso ad alcune pratiche che rientrano a tutti gli effetti nella definizione di violenza ostetrica. «Dirò di più: io credo che l’ansia che vive la coppia, non solo la madre ma anche il padre, e che anche gli operatori spesso condividono, abbiano portato ad altre conseguenze come l’eccessivo ricorso al parto cesareo che è praticato con punte del 70% dei casi in alcune regioni del sud Italia e che è totalmente ingiustificato, ma spesso richiesto dalla donna stessa. Facilita le cose, riduce l’ansia, ma è una pratica scorretta e ha una sola giustificazione psicologica per tutti coloro che sono in sala parto», prosegue Piccoli. Esiste poi anche un problema di natura legale che ormai condiziona il personale medico: non si accetta che qualcosa possa non andare nel migliore dei modi in sala parto e si temono denunce. Questo porta a una sempre maggiore burocratizzazione, che allontana gli operatori dalla donna, mentre occorrerebbero maggiore sensibilità ed empatia» esorta la specialista in ginecologia ed ostetricia.
Violenza ostetrica: più formazione per i medici
Un ultimo aspetto, ma non di minor importanza, è la necessità di maggiore formazione per il personale medico e sanitario. «Nelle scuole mediche manca una formazione adeguata, sia da un punto di vista tecnico (per esempio non si insegna a usare forcipe e ventosa, che potrebbero evitare la manovra di Kristeller), sia da un punto di vista più umano, con quelle che si chiamano non technical skills: la comunicazione con la paziente, il rispetto della privacy, la sensibilità. Purtroppo nell’intento di offrire maggiore qualità nei servizi, oggi la sanità pubblica presta attenzione soprattutto ai numeri. A noi operatori è chiesto quotidianamente di garantire la produttività, mentre ci vorrebbe più attenzione alla programmazione, alla creazione di protocolli, alla cultura», osserva Piccoli.
Serve un’alleanza tra medico e donna
L’auspicio, quindi, è quello di uscire da una logica di contrapposizione tra medico e paziente, in questo caso la donna al momento del parto. «Sicuramente scontiamo anche un certo retaggio, nel ricorso ad alcune pratiche e comportamenti che sono più tipicamente maschili e che prevedono poco rispetto per il soggetto fragile, in questo caso la donna. Però credo che occorra essere alleati e non contrapporsi su fronti opposti, in modo da uscire da una certa logica e prassi. Solo così potremo evitare alcune pratiche e anche il numero di esami richiesti oggi (genetici, ecografici, ecc.): non sono necessari e rientrano nel tentativo di controllare tutto in modo quasi ossessivo, mentre la maternità forse andrebbe riportata alla sua essenza naturale», conclude l’esperta.